Nonostante i tumulti che scuotono Rio de Janeiro negli anni 70, la madre e casalinga Eunice Paiva si tiene ben lontana dalla politica. Ma quando il marito viene rapito dalle forze della dittatura militare, la donna subisce una metamorfosi e diventa la più feroce oppositrice del regime totalitario che governa il paese.
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Walter Salles porta in scena un'opera molto sentita e personale, che lo ha toccato da vicino essendo venuto a contatto con la famiglia di cui viene narrata la storia nel film, una pellicola in linea con i suoi ideali e con quanto mostrato fin adesso dalla sua filmografia, tuttavia, per quanto a livello ideologico sia un film altamente condivisibile, l'ho trovato fin troppo di compromesso, per intenderci, c'è uno stile vagamente patinato e retorico che mi ha fatto storcere il naso in diversi punti, la classica operazione di avvicinamento ad un grande pubblico, ma anche all'Academy, con discreto successo dato che il film è riuscito ad ottenere qualche nomination all'oscar e gode di una buona popolarità, che però lo rende troppo vicino ad altre opere simili.
Il film racconta la storia della famiglia Paiva durante gli anni della dittatura militare in Brasile, introducendo un corposo background dei personaggi e degli avvenimenti, con Rubens, ex deputato poi destituito dall'arrivo della dittatura e sua moglie Eunice, assieme ai loro cinque figli, l'atmosfera che si respira fin da subito è quella del classico finto paradiso, per intenderci, la famigliola è estremamente conviviale, Rubens ha uno splendido rapporto coi figli, con la moglie, con i vicini e altri amici, organizzano spesso festicciole, si divertono, si godono una bella giornata di sole tra le spiagge del Brasile - questi elementi che sto elencando sono quelli che contribuiscono a creare quella patina di cui parlavo prima, diciamo vi è una rappresentazione tipica della famiglia del Mulino Bianco, talmente tanto positiva da rischiare di diventare nauseante - allo stesso tempo vi è la costante sensazione dell'incombenza di qualche problema, con le riunioni a cui ogni tanto partecipa Rubens, qualche segretuccio di troppo e qualche scena sintomatica della situazione politica del paese - il posto di blocco iniziale, con i militari che perquisiscono con metodi violenti i giovani che stavano rientrando a casa -
Ovviamente le sensazioni diventeranno presto realtà e un bel giorno dei militari incaricati dal governo verranno a portare via Rubens col pretesto di una breve deposizione, rimanendo in casa anche durante la notte col resto della famiglia, generando sia una sgradevole sensazione di invadenza che una certa tensione di stampo paranoico, con la conseguente permanenza di Eunice e la figlia in carcere per qualche giorno, mostrando una situazione particolarmente tesa, con metodi dispotici e un orrore invisibile per i personaggi, spesso denunciato da qualche urlo straziante.
La seconda parte del film è una continua ricerca della verità, con la totale scomparsa di Rubens e la determinazione di Eunice di far luce su una vicenda torbida e costantemente oscurata dalle istituzioni di un paese senza il minimo rispetto per i diritti umani, è qui che Salles affonda la sua critica tagliente verso la dittatura militare, il film prende una piaga da dramma familiare, mostrando la tragedia della scomparsa del marito e padre sotto un punto di vista intimista, cosa che ho gradito a metà, per quanto la realizzazione riesca a mantenere ottimi livelli, senza mai strafare nella melensità come nei tipici drammi americani - per intenderci, non è un film di Ron Howard o del tardo Spielberg e per fortuna non c'è Tom Hanks - rimane un archetipo che chi è un minimo abituato ad un certo cinema ha visto, rivisto e stravisto in fin troppi film.
Alla fine ritengo "I'm Still Here" riuscito a metà, di per sé la rappresentazione della dittatura militare in Brasile è un soggetto interessante, che difficilmente si trova nella filmografia che ha avuto un minimo di successo nel contesto internazionale, ma è trattato come fin troppi altri film a sfondo storico-biografico del genere, grandiosa la perfomance di Fernanda Torres che trasuda una certa vitalità, determinazione e un dramma vissuto costantemente con quegli occhioni lucidi di chi deve trovare la forza nell'angolo più remoto del cuore.
Cinema politico abbastanza convenzionale, potrei elencare altri 40 film identici provenienti da altrettanti Paesi. Confezione, sceneggiatura e recitazione senza guizzi, per rendere la visione più standardizzata e di più facile accesso per gli americani, che di fatti sono subito corsi a nominarlo agli Oscar. Parte benissimo con un incipit che restituisce tutto il calore della famiglia, si prosegue più stancamente e si finisce con un buon finale in cui la veterana Fernanda Montenegro ruba la scena alla figlia Fernanda Torres (brava sì ma non particolarmente memorabile).
Al contrario delle dittature cilena ed argentina, quella brasiliana a livello cinematografico è certamente meno prolifica e Salles riesce ad adottare come nucleo portante non un gruppo di oppositori al regime, ma una famiglia che più borghese non si può. Vero che il capofamiglia è un ex deputato laburista destituito illegittimamente dal regime militare, tenendo i contatti tra i dissidenti della giunta e le proprie famiglie, ma gli altri membri della famiglia non ne sono coinvolti rimanendo in apparenza piuttosto neutri dal punto di vista politico. L'arresto e la successiva scomparsa di Ruben Paiva è l'inizio del calvario di una donna che cerca di mantenere l'unità familiare senza l'importante riferimento del marito. Anch'essa, insieme ad una delle figlie viene imprigionata e tenuta per giorni in un luogo segreto ed interrogata per giorni ininterrottamente. Non è uno sguardo ampio quello di Salles, perché pur facendo percepire in maniera tangibile la dittatura, sceglie come punto di osservazione una dimensione domestica in cui il personaggio della Torres, moglie del deputato acquisisce consapevolezza e tenacia nel chiedere la sorte del marito. Ed è proprio Fernanda Torres, vero valore aggiunto e vincitrice morale della Coppa Volpi femminile di Venezia 81. Oltre alla Torres c'è anche una buona sceneggiatura che rende la narrazione scorrevole malgrado la sontuosa durata, arricchita da ottimi dialoghi. Uno dei migliori film del concorso veneziano.