risorse umane regia di Laurent Cantet Francia 1999
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risorse umane (1999)

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locandina del film RISORSE UMANE

Titolo Originale: RESOURCES HUMAINES

RegiaLaurent Cantet

InterpretiChantal Barré, Jean-Claude Vallod, Jalil Lespert

Durata: h 1.40
NazionalitàFrancia 1999
Generedrammatico
Al cinema nell'Aprile 1999

•  Altri film di Laurent Cantet

Trama del film Risorse umane

In una piccola fabbrica di Gaillon in Normandia, dove prende servizio il neolaureato Frank. Il ragazzo, appena arrivato da Parigi, è figlio di un operaio della fabbrica, che vede in lui la propria rivincinta sociale. Frank viene incaricato di lavorare alla soluzione dello scontro sulle 35 ore nella fabbrica, ma la direzione sfrutta il suo lavoro per predisporre una drastica riduzione del personale, che prevede anche il licenziamento del padre.

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Voto Visitatori:   7,56 / 10 (8 voti)7,56Grafico
Migliore opera primaMiglior attore debuttante (Jalil Lespert)
VINCITORE DI 2 PREMI CÉSAR:
Migliore opera prima, Miglior attore debuttante (Jalil Lespert)
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Voti e commenti su Risorse umane, 8 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR wicker  @  21/03/2020 19:14:25
   7½ / 10
Risorse umane è un film estremamente essenziale per contenuti ,svolgimento e interpretazioni . per questo non vuol dire che sia debole o lento e fiacco di sceneggiatura .
Confronta i due mondi del lavoro, dalla parte di chi fa e da quella di chi decide e le tensioni che non mancano sono anche in famiglia ,non solo a lavoro .
il padre cerca il riscatto della sua posizione sociale , inserendo il figlio dal lato secondo lui più importante dell'azienda ma deve fare i conti con la coscienza del ragazzo , la coscienza di un giusto che non guarda solo ai numeri del profitto..
Bella opera di Cantet , dura,secca e molto empatica.

Crimson  @  07/03/2014 13:03:17
   9 / 10
Spoiler presenti.


Mentre si persiste nel discutere sugli effetti della legge Aubry, il primo lungometraggio di Laurent Cantet offre ancora oggi la possibilità di guardare oltre il momento storico in cui è avvenuto questo controverso cambiamento. Il regista proveniva dal mondo dei documentari, ma il film non sarebbe ancora così attuale se si fosse limitato a descrivere la molteplicità di reazioni e dibattiti sulla legge in questione, non ancora entrata in vigore nel momento in cui sono state effettuate le riprese ma già nota a tutti.

Attraverso l'ingresso di Franck in fabbrica si parte dall'interrogativo della soglia salariale fino ad addentrarsi progressivamente nella duplicità esistenziale di un uomo in fieri. Colmo della purezza della teoria ma ancora privo della concretezza del vissuto, dal destino già solcato all'interno di piani alti fatti di responsabilità, riunioni e decisioni, uffici personalizzati e spersonalizzanti. Ma quale divisa rende più spersonalizzante?

Tutti i personaggi gli danno sempre del "tu", perché Franck è inizialmente un ibrido. Ha la cravatta ma è figlio e fratello di operai, eppure non conosce ancora le persone che lo circondano. Si fida dei "padroni" solo perché teoricamente entrambe le parti possono trarre vantaggio dai più moderni principì economici, quindi perché semplicemente non applicarli?

Quando sottopone ingenuamente agli operai il questionario in cui viene richiesto di esprimere un'opinione circa la soglia salariale, i turni e le altre condizioni di lavoro, Alain afferma "Non ci credo per niente".
Alcuni anni più tardi ne 'La classe' si domanda agli studenti di raccontare ciò che hanno imparato durante l'anno scolastico. "Non ho imparato niente", esclama una studentessa al professore. Quest'ultimo tenta razionalmente di dimostrare il contrario, invano. La verità inaspettata fa male, specie se contraria alla bontà delle intenzioni.
I film di Cantet ci ricordano quanto la logica, nell'inevitabile gioco delle parti, non sia sufficiente per comunicare.

In Risorse umane, esordio di struggente bellezza e autenticità, c'è soprattutto il rovesciamento della logica della strada già solcata dai genitori per i propri figli, ossia quella di autoimporsi sacrifici disumani per permettere loro di ergersi ad un ruolo di "maggior rilievo e valore" secondo le regole della società in cui viviamo. La moltiplicazione dei suicidi di piccoli imprenditori incapaci di elaborare il linguaggio della vergogna dinanzi all'immagine che gli è stata affibbiata e dietro la quale non hanno mai riconosciuto sé stessi è indicativa dell'attualità di un film come questo.

Franck inizialmente crede di conoscere il padre, ma non l'ha mai visto all'opera.
Non l'ha mai visto venire umiliato.
Non ha ancora conosciuto le sue reazioni dinanzi alla sempre più manifesta ingiustizia.

Mentre la camera intelligentemente schiaccia i dirigenti mozzandone alcune teste, si fa strada un sentimento di dilagante rabbia e tenerezza, a cui si unisce una identificazione sempre più forte della propria identità. Finalmente figlio e uomo: dal pianto silenzioso e in disparte, in una delle sequenze più toccanti, fino al confronto intenso che costituisce l'acme del film, Franck individua il sentimento più profondo che giaceva inespresso nella sua storia personale. Scuote il padre con l'autenticità della sua vergogna.
Questa figura stanca, curva, ripetitiva, alienata, assoggettata, finalmente spegne la macchina che ne teneva in vita la "carcassa", liberandosi. La vergogna è la medesima, e oltre a turbare entrambi, li ha riaffrancati.
Per la prima volta il regista esprime come la vera consapevolezza avvenga innanzitutto attraverso il riconoscimento dell'autenticità dei legami più intimi.

Nella sequenza successiva il padre di Franck gioca con il suo nipotino, testimonianza della riappropriazione dei propri ruoli.
Franck lo osserva, finalmente lo riconosce. Ora è tempo di ricollocarsi nel proprio futuro.
Il semplice ma efficace movimento di macchina finale sovrappone il suo corpo a quello di Alain.
"Dov'è il tuo posto?" in tal modo appare un interrogativo che li accomuna.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  15/08/2012 21:42:39
   8 / 10
Franck è una figura interessante, aspirante manager figlio di un operaio, ed in un certo senso sembra rappresentare la sintesi di due mondi, il capitale ed il mondo operaio, che da sempre hanno vissuto, vivono e vivranno in perenne contrasto. e' proprio attraverso questa figura che Cantet trova il grimaldello di parlare di tematiche generali come le 35 ore anche attraverso uno sguardo minimalista di una piccola realtà e le forti lacerazioni create all'interno della stessa famiglia di Franck, con un padre che attraverso questo figlio non cerca soltanto di riscattare il suo status sociale, ma letteralmente cancellare la "vergogna" di essere un operaio.
Risorse umane in fondo è il fallimento di un'utopia, perchè Franck dovrà ad un certo punto schierarsi, perdere l'unicità della sua figura e rientrare nell'eterna lotta tra sfruttatori e sfruttati. Bello lo stile di Cantet, molto documentaristico e privo di orpelli inutili.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento pompiere  @  22/03/2012 17:12:58
   9 / 10
Jalil Lespert è Franck Verdeau, un giovanotto dalla faccia pulita che, nell'attesa di ottenere la laurea, si presta a fare uno stage di qualche mese presso un'azienda un po' speciale. La ditta infatti è quella che lui ha sempre "sognato", per un motivo o per l'altro, quando da piccolo vedeva le grandi ciminiere fumanti nei cieli della Normandia. Poi il trasferimento a Parigi per poter studiare, mentre il padre prestava all'impresa la sua indispensabile attività di operaio, raggiungendo oltre 30 anni di efficiente fedeltà.

Siamo in un periodo imprecisato tra il 1998 e il 1999, e il padre (lo straordinario non professionista Jean-Claude Vallod, dalla fisionomia e dall'indole di una chiocciola) fa parte di una generazione che si sente obbligata verso coloro i quali gli concedono quei diritti fondamentali e sacrosanti come il lavoro. Un posto divenuto ormai consueto, che ha sempre raggiunto a piedi, così comodo, così abitudinario, così essenziale… Come il premio di fine anno per la puntualità, le père si accontenta di sopravvivere e basta, lumachina che striscia fra le ortiche lungo il muricciolo dell'edificio. In realtà è tutta la famiglia di Franck a dipendere dalla fabbrica: pure la sorella, esponente di una società più ugualitaria, svolge lì la sua attività a orario non ridotto. Pronto per mettersi da parte, il genitore un po' invecchiato diventa invisibile con il tessuto del divano per permettere al figlio di trovare il suo posto nel mondo. Una posizione altrettanto sicura e intoccabile, come si è sempre pensato fosse possibile.

Cantet, qui alla sua prima opera cinematografica, strizza l'occhio ai contenuti socialisti di Ken Loach cercando di rimanere il più neutrale possibile, anche se è difficile districarsi e rendersi imparziali di fronte ad argomenti così complessi e profondi. Storicamente va ricordato che il primo ministro Lionel Jospin introdusse, a partire dal primo gennaio del 2000, una legge varata dal governo per rispettare l'impegno preso 3 anni prima con i suoi elettori e che fissava a 35 ore la durata legale del lavoro settimanale. Le modalità dovevano essere negoziate settore per settore, azienda per azienda, secondo il buon senso di padronati e organizzazioni sindacali.

Cantet ci ricorda che le trattative riguardanti le 35 ore non erano solo un affare tra imprenditori e sindacalisti, tra cupi arrivisti e semplici operai. Quello che il negoziato colpiva andava al di là dell'aspetto puramente "industriale", coinvolgendo anche le abitudini lontano dall'azienda. Sarebbero stati scalfiti i passatempi, le modalità interpersonali: tutta la vita sarebbe stata messa rimessa in discussione. Non si poteva non pensare che le prassi lavorative fossero avulse dai comportamenti sociali: basti pensare ai semplici rapporti con gli amici, ai meccanismi tra genitori e figli (chi paga cosa? Chi paga al posto di chi? Come si arriva a valutare la prospettiva di scalare di un posto quando si fa tutti parte della stessa famiglia, anche se appartenenti a generazioni diverse?).

Ciò che restava inalterato erano le diseguaglianze del capitalismo: la classe lavoratrice usciva ancora una volta indebolita nella sua capacità di solidarizzare con i propri simili, favorendo la competizione; i sindacati risaltavano come colpevoli di aver accettato la negoziazione di un orario di lavoro a livello aziendale piuttosto che settoriale; lo sfruttamento esasperato delle risorse naturali, accanto alla velocizzazione del ciclo produttivo, non poteva tenere il passo di quello consumistico, e questo rese i lavoratori ancora più vincolati al capitale.

Per questo, e per aver superato la prova dei primi dieci anni di vita molto agevolmente, il film di Cantet fa sorgere una serie di domande e dubbi, tutti molto tormentati, e ribadisce la propria indispensabilità. Lo fa spegnendo le immagini con dissolvenze in nero e concedendosi solo una carrellata come introduzione all'ambiente infernale e fagocitante dell'usine. Tra le sue pareti respingenti, le risorse umane latitano e rimangono unicamente gli apparati tecnologici.

Invia una mail all'autore del commento Totius  @  12/01/2011 00:28:11
   8½ / 10
L'eterna lotta tra il capitale ed il proletariato, tra padrone e operaio, sfruttatore e sfruttato. Sono molti gli spunti di riflessione di questa bellissima pellicola di Cantet. E la non risoluzione finale bistrattata dai commenti precedenti non è che una scelta. Come a significare che la lotta di classe è eterna come tale senza grandi novità significative e sempre uguale o simile a sè stessa. Taglio documentaristico è vero ma non è che un pregio del film. Inoltre non credo affatto che i personaggi siano male caratterizzati. E' solo che forse siamo abituati a troppi clichè americaneggianti con facce, faccine ed occhioni luccicanti di lacrime. Questa è altra cosa.
Infine nella prima parte è possibile avere anche un piccolo saggio di quello di cui si occupa la Psicologia del lavoro.

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unpoeta67  @  20/04/2010 12:50:04
   5½ / 10
direi non sufficiente questa pellicola di Cantet , il punto di vista , per chi lavora in una azienda internazionale in fondo è condivisibile , il fatto è che la piega che prende il film , come detto precedentemente, non offre che spunti di riflessione fini a se stessi che scivolano senza lasciar traccia . L'ineluttabile è tale e tale resta . lasciate perdere . si puo' evitare . l'unico personaggio caratterizzato è il padre del protagonista , ma il film non fornisce alcun chiarimento sulla metodologia di pensiero del soggetto che si puo' solo intuire ne' si comprende il pensiero dello stesso alla fine dopo le (chiamiamole così ) mutazioni degli eventi.

risikoo  @  22/11/2007 14:03:06
   5 / 10
Film su di un argomento interessante, ma a mio avviso recitato non bene e sviluppato male. Alla fine fornisce qualche spunto di riflessione e nulla più, personaggi non molto caratterizzati, a parte il padre del protagonista.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Requiem  @  22/04/2005 11:45:10
   8 / 10
Conflitti tra generazioni diverse, sguardo lucido sul mondo del lavoro, e su quello arrogante dei dirigenti.
Un film diretto da un ex documentarista, chiaro e lucido nel suo sguardo, che invita a riflettere.
Penso sia un film da vedere.

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