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Anche i ricchi (si) annoiano. Cosa rimane in questo film della verve irriverente e della carica trasgressiva e innovativa dell'omonima serie televisiva? Beh, si infrangono tutte in un matrimonio gay che più finto e macchiettistico di così si muore (con tanto di protagonisti "à la Cage aux Folles" ma senza la classe di Molinaro!), in una giovane e avvenente tata (che si scoprirà lesbica, pardon: "a cui piacciono altre tate"!) che fa sobbalzare le tette senza reggiseno sotto i vestiti appena si muove, nei problemi di temperatura basale (e di conseguenti secrezioni umorali interne) che distruggono la vita intima di una delle protagoniste costringendola a finti amplessi rumorosi con aitanti maschioni ben ripresi di schiena mentre simulano rapporti da favola, in un'erezione accennata (due secondi attraverso un costume da bagno, cosa credevate?) da parte di un componente di una squadra di rugby in vacanza in un hotel di Dubai accuratamente ricostruito in... Marocco. Fine. Perché il resto è la solita apologia del matrimonio, della fedeltà, del "come è bello star male piuttosto che star peggio". Liza Minnelli offre un cammeo iniziale con tanto di battuta autoironica sull'importanza del matrimonio: da Scorsese a Patrick King, la nostra attrice ne ha fatta di carriera!! Un paio di meriti questo film li ha: specialmente nella parte centrale (quella dedicata alla finta Dubai) riesce a essere un efficacissimo rimedio naturale contro l'insonnia (!!); l'altro, veramente inestimabile, è quello di riuscrire a girare perfettamente a vuoto per ben 140 minuti!!! Pensate che io sia troppo ironico? Provate voi a scrivere una sceneggiatura senza alcun senso e tantomeno una trama con tanto di battute per coprire 140 minuti di cinema (dimenticavo: disponendo pure di un bel sacco di dollaroni per la produzione e la distribuzione)!! Infine, il peggior difetto del film: il moralismo di cui gronda. Sarà che ormai ho deciso di chiudere coi film statunitensi (ad eccezione della filmografia indy e dei pochi Maestri, naturalmente) ma, francamente, ne ho piene le tasche di predicozzi sulla bellezza della famiglia matrimoniale (adesso anche gay), sulla vera libertà che vige solo "in the USA", in definitiva sulla intrinseca superiorità della "States-culture": da un Paese che ha insegnato a tutti gli orrori della Finanza globale, che ha imposto una globalizzazione liberista selvaggia, che esporta democrazia a colpi di cannonate per mascherare operazioni che hanno fini molto meno nobili e che si vanta di essere la culla della assoluta libertà d'espressione... mi aspetterei un po' più di spirito critico. Che peraltro c'è: i vari Moore, Mann, Stone, Eastwood (solo per citare i primi che mi passano per la testa), ci raccontano un'altra America, meno sfavillante di lusso sfrenato e più contraddittoria; in una parola: più UMANA. Persino la serie televisiva che avrebbe ispirato questo film è immensamente più ironica e anche tragica nel suo impianto generale. Come dire: quando Hollywood si ispira alla miglior televisione sa dare il peggio di sé. Mi consola il fatto che la sala gremita di giovani dove m'è capitato di essere trascinato a vedere questo "film" era già ampiamente "cotta" e provata a fine primo tempo. Risparmiate il costo del biglietto, è un consiglio spassionato.