united red army regia di Koji Wakamatsu Giappone 2007
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united red army (2007)

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locandina del film UNITED RED ARMY

Titolo Originale: JITSUROKU RENGÔ SEKIGUN: ASAMA SANSÔ E NO MICHI

RegiaKoji Wakamatsu

InterpretiMaria Abe, Maki Sakai, Yuki Fuji, Junpei Kawa, Go Jibiki

Durata: h 3.10
NazionalitàGiappone 2007
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 2007

•  Altri film di Koji Wakamatsu

Trama del film United red army

Tra i primi anni ’60 e i ’70 diversi gruppi di matrice terrorista si sono formati a partire dai movimenti contestatari di studenti giapponesi. Tra questi la “United Red Army”, violentemente contraria all’imperialismo americano, che dopo anni di atroce selezione al suo interno (con 14 membri uccisi dagli stessi militanti) nel 1972 ingaggiò dieci giorni di lotta armata sulle pendici del monte Asama.

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Voto Visitatori:   8,33 / 10 (3 voti)8,33Grafico
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Voti e commenti su United red army, 3 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  25/04/2019 22:52:13
   8½ / 10
Un affresco storico meraviglioso sul movimento studentesco giapponese dagli anni sessanta agli inizi degli anni settanta. Una cronistoria che parte dagli slanci di protesta delle università contro il Trattato di Sicurezza con gli Usa, colpevole di minare dalle fondamenta le tradizioni del Giappone a favore di un capitalismo che guarda solo al profitto. L'esplosione di di queste proteste, proseguono con una seconda parte cui segue l'implosione del movimento stesso, isolato nella montagna e preda di una violenza fisica e psicologica di un'ideologia che diventa dogma mortale. L'autocritica è solo l'anticamera della condanna a morte. La rivoluzione rivolta verso le masse è un boomerang autodistruttivo a forza di addestramento militare e disciplina ideologica cieca. Wakamatsu firma il suo miglior film della sua maturità. Freddo e glaciale nella sua esposizione cronachistica, quanto nella sua rappresentazione scenica. Processi ed esecuzioni sommarie sono un vero pugno nello stomaco alla coscienza dello spettatore, mentre l'ultima parte è la resa dei conti tra due fronti contrapposti. La rivoluzione che divora i propri figli, nata per scopi leggittimi e persino condivisibili, ma persa dentro errori ed orrori che ne hann snaturato gli stessi obiettivi.

Ciaby  @  28/06/2010 21:49:29
   8½ / 10
RItorna Koji Wakamatsu. Abbandona il suo cinema "classico" per addentrarsi in un evento storico giapponese che sta molto a cuore al regista, tant'è che abbandona la sua durata standard di 70 minuti per concedersi 190 minuti di cinema purissimo.
Il film inizia con un tono meticoloso nel raccontare l'evento in toni inizialmente quasi documentaristici che per mettono -anche a chi non ha conoscenza dlel'argomento-di comprendere ciò che sta succedendo, e poi il film inizia.
Una cascina persa nel niente ed è il lento cammino nel dolore. Il valore prima di tutto.
Chi è debole perisce (la ragazza che ha paura di morire viene sfregiata) e il regista, aiutandosi con una splendida fotografia di toni autunnali, riesce ad inquadrarne la tristezza, in ogni attimo.
Ma è la parte finale, splendida, quella nella casa occupata abusivamente, ad aumentare il coinvolgimento emotivo dello spettatore, distruggendolo completamente, fino ad un finale esplicativo che chiude il film alla perfezione.

Eccellente, cinema vero, approfondito, splendido nelle immagini, talmente coinvolgente da non far sentire la sua lunghezza. "United Red Army" sicuramente non rientra tra i migliori del grande Wakamatsu, ma è un film assolutamente da vedere.

Gruppo REDAZIONE K.S.T.D.E.D.  @  21/12/2009 15:28:48
   8 / 10
Wakamatsu, regista giapponese che ha girato, con questa, qualcosa come 101 pellicole, ha diretto i suoi primi film intorno agli anni '60, anni in cui il Giappone(i giovani giapponesi in particolar modo), e non solo, era in fermento. In varie pellicole di quel periodo, infatti, si respira chiaramente quel particolare stato d'animo che permeava la nazione, riassumibile e in ideali nuovi e nella voglia di combattere per essi. Prima di "United Red Army", però, Wakamatsu si era concentrato, più che sull'attivismo vero e proprio, sulle conseguenze in parte indirette di tali cambiamenti(che restavano sullo sfondo), tratteggiando con un taglio lucido, freddo ed essenziale l'altra faccia degli stessi, ossia il non avvicinamento al nuovo, da una parte, ed il distaccamento dal vecchio, dall'altra. A venirne fuori erano quindi giovani senza scopi o aspirazioni particolari, autodistruttivi, fermi, nel bel mezzo dell'occhio del ciclone (vedi "Su su.."). Solo con "Seizoku" il regista giapponese inquadra molto più da vicino i giovani impegnati sul fronte della protesta e della lotta civile, delineando però una sorta di deviazione dalla strada principale da parte di un gruppo di giovani in fuga, che finiscono per perdersi in se stessi e in ideali poco chiari, troppo pesanti e pertanto affogati nel sesso, onnipresente, e in altri eccessi.
Questa volta, invece, il regista di film pinku eiga della durata, così come voleva il genere, di un'ora, alza il tiro e dirige una sorta di documentario ad ampio respiro della durata di 3.10h, puntando inizialmente al cuore dell'attivismo, per poi concentrarsi sull'estremismo e su uno dei gruppi più famosi in quello scenario storico: l'URA (United Red Army).
Si individuano facilmente tre blocchi in quest'ultimo lavoro del giapponese. La prima parte, mischiando found footage e finzione documentaristica, delinea la situazione generale, individuando cause, conseguenze, motivazioni e avvenimenti, i più importanti, che hanno contribuito alla nascita di quella particolare situazione in Giappone; quindi la formazione delle coscienze dei giovani attivisti, il patto di sicurezza nippo-americano, la formazione di vari gruppi, conflitti e scissioni degli stessi, i primi scontri e le prime vittime. Questa prima parte, inoltre, serve a W. per presentare e descrivere alcuni dei giovani che avranno poi un ruolo primario nella formazione dell'URA.
La seconda parte è di sicuro la più Wakamatsiana, o comunque quella in cui ilr egista giapponese si trova a suo agio. La stessa, infatti, si concentra esclusivamente sulla neonata URA e sull'addestramento sui monti dei membri della stessa, per poter poi affrontare quella che loro stessi definivano "la guerra a tutto campo". Quanto succede in questa parte è una perdita totale, completa e definitiva della visione iniziale, o anche solo di una visione coerente e solida, e della situazione e delle motivazioni alla base della formazione del gruppo stesso. Si giunge così ad un degrado umano disturbante e a punizioni corporali inflitte in nome di un ideale estremizzato e di uno strumento del tutto distorto(e poco chiaro anche agli stessi membri) come l'autocritica comunista. Uno scenario fatto di rigidità, prigionia, violenza e terrore in cui Wakamatsu sa muoversi benissimo. E così fa. Con la sua classica regia scarna ed essenziale rende questo secondo blocco particolarmente crudo, estenuante e a tratti grottesco. Bilancio finale di tale addestramento: 14 morti, uccisi violentemente dagli stessi compagni perché non ritenuti abbastanza rivoluzionari.
Si giunge così alla terza ed ultima parte, che racconta l'occupazione di una baita - baita dello stesso Wakamatsu che continua ad autofinanziarsi e ad autoprodursi - da parte dei restanti membri dell'URA in fuga dalla polizia. Un assedio durato giorni e ovviamente conclusosi con gli arresti degli occupanti. La regia di W. non è forse troppo a suo agio con le scene d'azione, che quasi assumono l'aspetto di un filmino, ma la cosa è assolutamente secondaria, se non proprio terziaria, data l'importanza di tutto il resto. In quest'ultima parte, inoltre, il regista di "Embryo" non manca di introdurre delle riflessioni critiche anche sull'operato delle forze dell'ordine e più in generale dello stato.

A venirne fuori, quindi, è uno spaccato di quella parte della società che nel pieno di un caos socio/politico/economico ha deviato verso soluzioni estreme, attraverso la distorsione, più o meno consapevole, di ideali largamente condivisi. Più in generale, però, si può osservare il ritratto, il linea col cinema di W., come detto i precedenza, di una società in lotta con i cambiamenti e con se stessa che sembra rifugiarsi o cercare vie d'uscita attraverso altre forme, spesso estreme. Non è un caso, infatti, che "estremo" sia tra gli aggettivi che meglio descrivono il cinema di uno dei registi più prolifici di sempre.

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