In Italia, alla fine della Seconda guerra mondiale, tre sorelle abitano in un piccolo paese di montagna e le loro vite vengono sovvertite dall'arrivo di un soldato sconosciuto.
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Non è un film facile "Vermiglio", pieno com'è di silenzi e di dialoghi in dialetto stretto. E' però un bel racconto di un'Italia che non esiste più, severo nei toni e nel tratteggio di una famiglia dai rigidi principi che nelle difficoltà si chiude in se stessa, con la guerra a far da temibile contraltare lontano e la pace della natura montana ad amplificare se possibile i drammi dei protagonisti. Un gioiellino, come detto non adatto a tutti i palati.
Piccolo film ben fatto che racconta un piccolo mondo ormai scomparso, che sembra distantissimo nel tempo e nello spazio, una storia semplice, quasi banale, ambientata nel 1945 nelle alpi trentine. Si percepisce un buon lavoro etnoantropologico dietro la pellicola. Bello.
Un film quasi neorealista che inquadra la situazione nelle campagne del Trentino durante la seconda guerra Mondiale. Una guerra che non tocca la popolazione direttamente ma lo fa con lo status sociale portando poverta' e restrizioni varie.
Il racconto della vita di campagna cosi asciutto e freddo mi ha ricordato un po' "L'albero degli zoccoli" di Olmi.
Ottimo ritratto del nostro paese. Poi da qui a vincere un oscar...
Vermiglio è un film particolare, di difficile approccio verso lo spettatore medio, a discapito di altre pellicole italiane dello scorso anno per fare un esempio. Un film che vive non di regia, ma di dialoghi ed emozioni, di cui i primi sono portati avanti dalla parte giovane degli attori, e delle seconde che iniziano ad arrivare nell'ultima mezz'ora. Girato con una fotografia molto fredda, anche per far intendere che siamo in Trentino sul finire del secondo conflitto mondiale, in mezzo alla neve, con qualche ripresa molto suggestiva di scorci come cascate e boschi. La storia è tutta nel seguire una famiglia italiana del periodo, quindi indottrinata allo studio, alla religione, con la donna che non è solo colei che porta avanti la famiglia ma un ''animale da riproduzione'', con un grande rispetto verso il capofamiglia. Un film così particolare sarebbe gia un miracolo solo a vederlo nella cinquina all'oscar.
Opera che mi ha lasciato abbastanza indifferente, nonostante la cura riposta nel mostrare la vita pastorale (siamo comunque ben lontani dai livelli raggiunti da Olmi nel L'albero degli zoccoli).
Bel film della Depero, è un'opera dall'ambientazione bucolica e isolata, tra le montagne del Trentino in un paese di poche anime, che da il nome al film, durante la Seconda guerra mondiale, posto che vive di una pace quasi irreale, la regista dopo una lunga introduzione, scendendo per bene nei particolari di una quotidianità che oggi definiremmo stantia, tra andare a mungere le mucche, occuparsi del pollaio, della famiglia e via dicendo, oltre a conoscere questa larga famiglia del maestro del paese, aggiunge un elemento esterno, di rottura, un soldato siciliano che probabilmente disertore, si è venuto a rifugiare in questo paesino assieme ad uno dei figli del maestro, anch'esso sotto le armi.
Da qui il film nel suo lento incedere si occupa di analizzare a fondo la società patriarcale e la radicata mentalità che vigeva, passando dalle critiche della popolazione alla diserzione, per una questione di patriottismo, onore e tutti i vari concetti obsoleti che possono esserci e che rimandano ad una mentalità arretrata, oltre che ad una forte ipocrisia di fondo dato che queste parole sono spesso pronunciate da persone che non sono neanche partite in guerra, fino ad arrivare ai concetti base della famiglia, mostrando sotto più punti di vista il matrimonio da parte di una delle figlie maggiori del maestro con questo elemento esterno, partendo da una premessa sessuale, in una scena in cui i due sembrano non riuscire a controllare le proprie passioni ma devono comunque reprimerle perché verrebbero giudicati nel caso consumassero un rapporto senza essere sposati, arrivando, nella seconda parte, ad una svalutazione della stessa moglie, rimasta da sola dopo la partenza del marito e la sua scomparsa, c'è il solito nesso tra verginità e valore messo in evidenza, tipico della società patriarcale e bigotta, ma sono principi che partono a monte, radicati nelle stesse tradizioni che la regista prende di mira, vogliamo parlare della canzoncina che i bambini cantano durante il matrimonio? Passa tutto in buona fede, i bambini sono convinti di onorare la sposa cantando come sarà brava come moglie ad accudire la casa, cucinare e occuparsi dei figli, è tutto così radicato a monte che né bambini né adulti se ne accorgono realmente, l'unica eccezione la fa il maestro, che è pure capofamiglia, che più volte rimarca l'importanza della cultura per elevarsi e cercare di distaccarsi dai retaggi del passato, ma la sua sembra una lotta contro i mulini a vento, se non per qualche piccolo spiraglio di luce mostrato dalla collaborazione dei bambini, molti dei quali suoi figli, ancora in tenera età per comprendere ed uscire dalla mentalità ristretta del paesino.
Coraggiosa la scelta narrativa di far morire il marito per via di un delitto d'onore commesso dalla prima moglie, non scagliandosi ciecamente contro l'uomo in se, addossando il fardello del patriarcato direttamente sulla donna che ne è influenzata, non creando fazioni opposte uomo-donna ma mettendo tutti sulla stessa barca.
Grande lavoro di messa in scena della regista, con un'ambientazione bucolica, con un bianco preponderante nella prima parte dato dalle scenografie di montagna fortemente innevate, colori freddi e una fotografia leggermente desaturata con interni bui data anche l'assenza di elettricità che fanno vivere bene il contesto, valore aggiunto è la narrazione dilatata che fa ancor di più empatizzare e provare una certa tensione drammatica con i tempi lunghi che si vivevano durante il periodo, l'arrivo di una lettera dal fronte, o dalla Sicilia da parte del marito, richiede spesso tanto, troppo tempo, e la regista riesce a far provare questa sensazione di impazienza anche allo spettatore.
Bel film, spero abbia la sua possibilità agli oscar.
Film di distanze e di attese: l'attesa di una madre (e di una moglie) per il ritorno a casa del figlio dalla guerra, l'attesa di bambini che stanno arrivando, l'attesa di un futuro di studi che forse non può arrivare mai, l'attesa di una moglie che aspetta il ritorno del nuovo marito dalla Sicilia. Nei piccoli paesi di montagna (e non solo) il ciclo della vita e le giornate sono scanditi dalle attese, dalla pazienza, dalle piccole cose. La Delpero riesce a catturare questo mondo quasi sospeso, raccontando anche il maschilismo che "sporca" un mondo che in realtà bucolico non è. A volte si ha la sensazione di film "da mulino bianco" ma per fortuna la regista riesce a non renderlo un polpettono moralmente e retoricamente tale da depotenziare forza e bellezza delle immagini.
Delizioso spaccato storico e storie ben raccontate. La lentezza della narrazione e l'inevitabile lettura dei sottotitoli (in film è in dialetto) appesantisce il film.
Sembra uno di quei bei romanzi storici, saghe familiari, di 400-500 pagine, completamente immersivi nelle vite dei suoi personaggi. Maura Del Pero ha la grande capacità di riprendere i personaggi (tutti, nessuno escluso, anche il più veloce cameo) e coglierne la personalità, le peculiarità, l'anima con poche e semplici immagini, piccole piccole. In particolare il personaggio di Ada è particolarmente riuscito e sorprendente, sprizza umanità da tutti i pori, curiosa e contraddittoria com'è. Ma anche il giovane Dino, per quanto silenzioso, fa decisamente commuovere. E infine Tommaso Ragno che si cala perfettamente in un personaggio di pater familias allo stesso tempo saggio e bastardo. Un ottimo film, che ha l'unica pecca di essere troppo autoriale (e quindi lento, con questa concezione obsoleta che autorialità=lentezza) mentre invece avrebbe potuto essere un Piccole Donne trentino più pop e accessibile.
Vermiglio è un luogo sperduto tra le montagne del Trentino ai confini con la Lombardia che sembra essere legato ai suoi ritmi e dove ogni singola variazione può comportare piccoli e grandi scompensi. Richiamandosi in parte al cinema di Olmi proprio per il approccio non lontano dal documentario con l'uso del dialetto (comunque comprensibile), le vicende del piccolo villaggio sono legate ad una guerra mondiale che di lì a poco è prossima a terminare (siamo verso la fine del '44). La comparsa di un soldato siciliano, probabilmente disertore, commilitone di uno dei figli del maestro, vera autorità del paese, influenzerà il suo andamento. Visto con sospetto, almeno inizialmente, sarà proprio il maestro ( un bravissimo Tommaso Ragno) a predicare la tolleranza verso chi è forestiero. Allo stesso tempo però, all'interno delle mura domestiche, assume lo status di pater familias. Con un deciso autoritarismo senza essere dittatoriale, decide in maniera unilaterale il destino dei propri figli e soprattutto delle tre figlie, personaggi fondamentali nella composizione di un mosaico molto corale del film. Vermiglio è il riflesso di un'Italia lacerata dalla guerra è di una nazione che deve formarsi, ma le cui caratteristiche ed istanze sono ben visibili. Il ruolo fortemente subordinato delle donne, una società fortemente radicata al patriarcato. Molto radicato sul luogo tanto che gli spostamenti sono molto rari e che diversi accadimento avvengono fuori campo. Un'ottima conferma per la Delpero, dopo il buon esordio di Maternal e coronato con il Gran Premio della Giuria a Venezia 81.