Un ex marine viene coinvolto suo malgrado nel tentativo di stabilirsi su di un pianeta particolarmente ricco di specie vegetali ed animali e di sfruttarne le grandi risorse: quando però la razza indigena si ribellerà a questo colonialismo cosmico, l’uomo passerà dalla loro parte per guidarne la rivolta.
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"Ciò che ho sempre trovato di più bello, a teatro, è il lampadario." (C. Baudelaire)
Ecco, diciamo che "Avatar" vanta proprio un bell'impianto d'illuminazioni, e ci si distrae ad ammirarne i cristalli, certamente appariscenti, certamente ben temprati, ignorando tutto il già visto che s'inscena sul palcoscenico - ch'è poi l'ennesimo confronto tra natura incontaminata e civiltà corrotta, tra cinismo e fantasia, o il solito, e tutto cinematografico, trionfo dell'amore e del senso di libertà su tutto.
E' tanto ricco quanto povero, tanto fantasioso quanto pigro, questo film di Cameron, ma un po' ci cattura. E ci cattura soprattutto per i suoi scenari titanici, per le creature dalle reminescenze preistoriche, per i suoi fondali illuminati, per i continui trasferimenti tra dimensione fantastica e fantascientifica, per le sue "panterine" blu; e - con un pizzico di malizia si potrebbe pensare - perché ben attento a proporre molti dei temi che oggi più vanno di moda (quali l'ecologia, la vita virtuale, il confronto multietnico), ma senza approfondirne i contenuti, né azzardare qualche spunto nuovo.
Bene, calato il sipario ho dato una botta di gomito al mio vicino di posto e gli ho chiesto: "Scusa, sai forse dirmi cosa trattava la storia?" "Non saprei" lui m'ha risposto, con un sorrisetto soddisfatto sulla bocca: "eravamo tutti intenti a guardare il lampadario".