Geppetto, un vedovo falegname che vive nella grigia Italia fascista, costruisce una marionetta in onore del figlio perduto: Pinocchio. Pinocchio prende vita e, per rendere il padre fiero di lui, intraprende un viaggio in compagnia di Sebastian, il grillo che viveva nel tronco da cui è stato ricavato.
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Visivamente superbo ma con un character design altalenante, facilone e pigro in certi frangenti. Non è per nulla chiaro perché Pinocchio metta su quell'insultante numero per Mussolini quando nulla nel film lascia intuire se abbia o meno la minima percezione della situazione politica e sociale che lo circonda; tanto, perché dare spiegazioni quando insultare il duce è così facile? Canzoncine orribili e fastidione e finale stucchevolmente strappalacrime. Non il miglior del Toro che, dopo il ruffianissimo "La forma dell'acqua" e l'anonimo (anche se bello, tutto sommato) "La fiera delle illusioni", fatica a ritornare quello di una volta.
Perché del Toro è ossessionato dall'effetto traumatico ch'i totalitarismi storici hanno avuto sull'infanzia? Sottolineo: i totalitarismi storici e non quelli attuali. Chi se ne frega? Perché è così incapace d'allargare il proprio discorso com'il don Milani de "L'obbedienza non è più una virtù" (1965)? Perché, volendo condannare l'obbedienza cieca e acritica da burattini, parassita Collodi invece d'inventarsi una storia originale tutta sua? Sfrutta il brand? "Legnoso" (Valerio Sammarco).
Ps: il cognome NON va scritto con la "d" maiuscola.