Straordinaria maschera comica, impareggiabile tratteggiatore di personaggi apparentemente grotteschi, al tempo stesso clown e burattino senza fili; Roberto Benigni è, attualmente, il più amato e completo attore comico, e non solo, della cinematografia italiana; per la sua vena esuberante e per l'incredibile capacità di suscitare immediata simpatia.
Nato a Misericordia, un piccolo paese nel comune di Castiglion Fiorentino, in provincia di Arezzo, il 27 ottobre del 1952, Roberto è figlio di Luigi Benigni e Isolina Papini, morti nel 2004, a pochi mesi di distanza l'una dall'altro. Ancora molto piccolo si trasferisce con i genitori e le tre sorelle, Bruna, Albertina e Anna, a Vergaio, una frazione di Prato, in Toscana, dove il padre continua il suo mestiere di contadino, mentre la madre trova lavoro come operaia, in una delle tante fabbriche tessili della zona.
La sua è una famiglia molto povera: 'talmente povera che dormivamo tutti e cinque in un lettone', ricorda spesso Roberto.
Da ragazzo ha passato qualche mese in un circo, facendo da spalla a un mago, ma siccome il mago non era molto bravo, e il piccolo Roberto aveva il corpo tutto bruciacchiato, la mamma disse, 'questo è troppo, stop', e lo mandò in seminario dai gesuiti, a Firenze, perchè voleva che diventasse prete. Ma nel 66 ci fu l'alluvione, e la scuola si allagò, allora la madre disse 'stop' per la seconda volta e Roberto tornò a casa a continuare gli studi alla Casa del popolo: 'cioè la stessa cosa, ma vista da un'ottica differente', come è solito dire quando racconta di sè.
Terminata la scuola, Roberto sente il bisogno di viaggiare, fare nuove esperienze, girare il mondo, ma, soprattutto, ha una voglia irresistibile di esibirsi in pubblico, perchè ciò gli dà una sensazione bellissima e inebriante, specie quando riesce, per la verità molto spesso, anzi sempre, a far ridere e a divertire gli spettatori.
Nel 73, poco più che ventenne, lascia il lavoro di barista alla casa del popolo di Vergaio, e si trasferisce a Roma, con una chitarra e tre amici: Silvano Ambrogi, Carlo Monni e Aldo Buti, che divideranno con lui i primi anni di apprendistato e di dura gavetta.
Insieme a loro, debutta al teatro dei Satiri, con la commedia 'I Burosauri', di Silvano Ambrogi
Attratto irresistibilmente dalla vita di attore, partecipa ad altre produzioni teatrali, frutto, spesso, dell'entusiasmo e della passione di autentici appassionati.
Conosce, poi, Giuseppe Bertolucci, fratello del regista Bernardo, e con lui si inventa il personaggio di Cioni Mario, il protagonista del monologo, 'Cioni Mario di Gaspare e fu Giulia', messo in scena, dapprima al teatro Alberichino di Roma, il teatro più 'in' della capitale in quel periodo, poi in tournèe per l'Italia.
Comincia così a farsi un nome e ad essere conosciuto fra gli addetti ai lavori, tanto che, nel 1976, gli viene offerta l'opportunità di un programma televisivo, 'Onda libera', il primo, vero programma di evasione, nell'austera e censuratissima televisione italiana.
L'anno successivo, il suo personaggio viene ripreso da Giuseppe Bertolucci, e trasposto sul grande schermo, nel film "BERLINGUER TI VOGLIO BENE", che rappresenta l'esordio cinematografico del comico toscano.
La pellicola, oggi diventata un vero e proprio cult, all'epoca fu accusata di propaganda politica, e boicottata, per alcune scene forti (Benigni usa un linguaggio in cui abbonda l'uso di termini genitali), tanto che la censura di allora, quella moralista e bacchettona dell'Italia democristiana, arrivò ad impedirne la diffusione nelle sale. Nel film, Cioni Mario, oppresso da una madre ingombrante e invadente, che vorrebbe fargli sposare una ragazza zoppa, soffre del complesso di Edipo, e sogna una ipotetica rivoluzione, guidata dal segretario del PCI; ma tutto si esaurisce in sfoghi verbali, coloriti e scurrili, in cui si mescolano perle di saggezza contadina toscana, ed estro surreale e fantasioso, da geniale grullo di paese.
Nel 1978, Benigni diventa presenza fissa nello spettacolo televisivo di Renzo Arbore, 'L'altra domenica', in cui, interpretando un bizzarro e particolare critico cinematografico che non vede mai un film, conquista una vasta popolarità, diventando un personaggio di 'nicchia', specie fra i telespettatori più illuminati, che riescono ad apprezzarne la comicità travolgente e contagiosa, ma al tempo stesso, dissacrante e corrosiva.
In quel periodo, oltre alla televisione, si dedica anche agli spettacoli popolari, come i Festival dell'Unità, ai quali non manca mai, e ai quali offre il suo contributo di divertita, divertente ironia.
Nel 1979 partecipa, con brevi ruoli, a una serie di film, spesso diretti da registi di nome, Cosa-Gravas o Bernardo Bertolucci, fratello di quel Giuseppe con cui ha cominciato la sua carriera; e come protagonista alla pellicola di Marco Ferreri, "CHIEDO ASILO", un apologo sull'ingenuità e la spontaneità dell'infanzia, in cui, maestro di una scuola materna, facendosi piccolo fra i piccoli, riesce a farsi apprezzare e voler bene dai bambini.
Nell'80 presenta il Festival di Sanremo, dando alla popolare, ma stanca manifestazione, un tocco di beffarda allegria (bacia appassionatamente la sua partner, grida Wojtylaccio e fa battute al vetriolo sull'allora Presidente del Consiglio Craxi), e una nuova, inattesa vitalità.
L'anno successivo partecipa ai film, "IL MINESTRONE" di Sergio Citti, e "IL PAP'OCCHIO" di Renzo Arbore: il primo parla di di un gruppo di personaggi alla spasmodica ricerca di cibo, durante un viaggio in lungo e in largo per l'Italia; il secondo, che raccoglie, al gran completo, l'allegra brigata di 'L'altra domenica', ironizza su un ipotetico spettacolo inaugurale della TV vaticana.
Fino ad ora, pur avendo diretto vari spettacoli teatrali e curato la partecipazione ai vari festival dell'Unità, non si è ancora cimentato con la regia cinematografica; ma nell'88 comincia anche a curare la parte registica delle sue pellicole, dirigendo il film a episodi, "TU MI TURBI", quattro sketch bonariamente irriverenti, così come bonariamente irriverente è la cultura contadina toscana.
Il film, che dà il via ai suoi grandi successi cinematografici, è contemporaneo al surreale e un po' folle "F.F.S.S. CIOE'... CHE MI HAI PORTATO A FARE SOPRA A POSILLIPO SE NON MI VUOI PIU' BENE", ancora di Renzo Arbore, ancora con la sgangherata banda di 'L'altra domenica'
Nel 1995 arriva il grande successo popolare con "NON CI RESTA CHE PIANGERE", girato e interpretato in coppia con il compianto Massimo Troisi, in cui, l'uno bidello e l'altro maestro elementare, per ripararsi da un furioso temporale, si rifugiano in una locanda, e si ritrovano catapultati all'indietro, nel 1492. Incasso top della stagione, il film dà inizio alla serie di pellicole campioni d'incassi, che seguiranno negli anni successivi.
Nell'86 arriva la prima esperienza americana, con il film di Jim Jarmusch, "DAUNBAILO'", con Tom Waits e John Lurie, una pellicola dal sapore decisamente fantastico, che in poco tempo diviene un cult, grazie anche al talento inarrivabile di Benigni, carcerato creativo, che qui sfoggia una irresistibile parlata tosco-americana; parlata che riprenderà più tardi, nel 1998, quando una emozionata e smagliante Sofia Loren, grideà il suo nome come vincitore del premio Oscar come miglior attore protagonista. Il suo grido di esultanza: "My body es in tumult", diventa popolare e di uso comune nel linguaggio dei giovani cinefili e non.
Lo stesso anno di "Daunbailò", esce il lungometraggio "TUTTOBENIGNI", girato dal vivo durante la lunga e fortunata tournée teatrale.
Nell'88 ritorna dietro la macchina da presa per dirigere sè stesso, a fianco di Walter Matthau, nella commedia, campione d'incassi, "IL PICCOLO DIAVOLO", in cui è un incontenibile diavoletto di none Giuditta, che coinvolge un prete sorcista americano, in una serie di scoppiettanti e divertenti disavventure.
Accetta poi il ruolo di voce recitante, nella fiaba musicale 'Pierino e il lupo' di Prokofiev, con il maestro Claudio Abbado che dirige la European Chamber Orchestra, nell'ambito della rassegna 'Ferrara musica' del 1990.
Immediatamente dopo avviene l'incontro con Federico Fellini, per cui, in "LA VOCE DELLA LUNA" (sua ultima opera), si trasforma in mite e ingenuo sognatore, che insegue la luna e vagheggia l'amore, per le campagne della pianura padana. Un film geniale e poetico, come solo un film di Fellini sa esserlo, un elogio della follia, e una satira della volgarità, un ritratto dell'Italia anni 80, così come 'La dolce vita' lo era stato del periodo del boom economico, e 'Amarcord' del periodo del fascismo.
L'anno successivo torna in America, con Jim Jarmush, per interpretare "TAXISTI DI NOTTE", nell'episodio 'Roma', in cui, logorroico conducente di taxi, non si accorge della morte del prete che sta trasportando, a cui sta confessando la sua incontenibile passione per le zucche, le pecore e le cognate.
Subito dopo torna in Italia, per dirigere e interpretare, per un nuovo record d'incassi, il suo quarto film, quel "JOHNNY STECCHINO" in cui è, insieme, il candito autista di un pulmino per handicappati, e il sosia di un mafioso pentito: attirato a Palermo dalla donna del boss, che vuole usarlo come bersaglio, per salvare la vita al suo uomo che la mafia vuole eliminare, riuscirà a salvarsi, proprio in virtù della stella che protegge gli ingenui.
Nel 93 interpreta il ruolo del gendarme Jacques Gambrelli, il figlio segreto dell'ispettore Clouseau, nella commedia di Blake Edwards, "IL FIGLIO DELLA PANTERA ROSA"; poi, l'anno successivo, è di nuovo dietro la macchina da presa, per dirigere e interpretare "IL MOSTRO", storia di un presunto serial-killer, aspirante donnaiolo, e di una bella poliziotta che vuole smascherarlo. Il film, che è apertamente un omaggio ai grandi del passato, come Buster Keaton, TOTÒ e Charles Chaplin, pur non convincendo appieno i critici, sulla scia del successo di 'JOHNNY STECCHINO', lo supera negli incassi, stabilendo un nuovo, inatteso record ai botteghini.
Il 1998 è l'anno dell'apoteosi, e della vera e propria consacrazione internazionale: esce, infatti, il suo film capolavoro, "LA VITA E' BELLA", un film diverso da tutti gli altri, bellissimo, toccante, che racconta la storia di un ebreo, deportato in un campo di concentramento, che fa credere al figlioletto Giosuè, deportato insieme a lui, di stare partecipando a un gioco a premi, cercando così di mascherare la dura realtà che sta vivendo, e al tempo stesso, di salvargli la vita, anche a costo di sacrificare la sua.
La grandezza di Benigni, e del cosceneggiatore, Vincenzo Cerami, sta proprio qui, nell'aver saputo trattare un argomento così tragico, e così indicibilmente drammatico, con un tocco di tragicomica leggerezza, senza mai cadere nel falso pietismo, riuscendo, allo stesso tempo, ad aumentarne la commozione, per lo scempio dei valori umani, che la tragedia e la follia dello sterminio, hanno fatto.
Il film riceve gli elogi della comunità ebraica, stabilisce il nuovo record d'incassi, e fa incetta di premi: David di Donatello, Gran Premio della Giuria al 51° Festival di Cannes, Golden Globe e tre Oscar (miglior film straniero, miglior colonna sonora originale, miglior attore protagonista), oltre al record di telespettatori (più di 16 milioni), che ne hanno seguito la trasmissione su RAIUNO.
Clamorosa l'esplosione di gioia di Benigni, all'annuncio del suo nome da parte della Loren, che raggiunge il palcoscenico camminando sulle spalliere delle poltroncine, su cui erano seduti tutti i divi di Hollywood, e sale la scaletta per raggiungere il palco, saltando i gradini a canguro, con i piedi uniti. Esilarante, come detto, il discorso di ringraziamento, che, sicuramente, rimarrà negli annali della storia, del premio più prestigioso e ambito del mondo.
Dopo questa straordianaria performance, il successivo impegno lo vede nei panni del legionario Detritus, in "ASTERIX & OBELIX CONTRO CESARE", versione antropomorfa del celebre fumetto di René Goscinny e Albert Uderzu.
Nell'estate del 2001 inizia le riprese di "PINOCCHIO"; il film, che uscirà nelle sale nel 2002, diretto e interpretato dallo stesso Benigni nei panni del celebre burattino di legno, e scritto insieme a Vincenzo Cerami, tratto da 'Le avventure di PINOCCHIO' di Carlo Collodi, interiormente poetico, non ha ottenuto il successo sperato, forse perchè, lungamente annunciato, ha sollecitato troppo le aspettative, finendo per deludere un po' i fans del popolare comico.
Nel 2003 ha preso parte al film "COFFEE & CIGARETTES", ancora di Jim Jarmush, nell'episodio 'Strange to meet You', riprendendo così una interessante e proficua collaborazione, iniziata nel lontano 1986.
Il nuovo film annunciato, "LA TIGRE E LA NEVE", vede il geniale attore toscano nei panni di un poeta, che per amore , segue una donna nell'Iraq martoriato dalla guerra.
Nel dicembre del 2001, Benigni ha sposato l'attrice Nicoletta Braschi, sua partner fissa nei suoi film, a partire dal 1983 con 'TU MI TURBI'.
Lo spunto iniziale per il film 'La vita è bella', gli è venuto dai racconti del babbo, sulle sue vicende di guerra, e sui due anni, dal 43 al 45, trascorsi come deportato, nel campo di concentramento nazista di Bergen Belsen.
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Biografia a cura di Mimmot - ultimo aggiornamento 15/03/2005
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