Recensione 12 regia di Nikita Mikhalkov Russia 2007
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Recensione 12 (2007)

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locandina del film 12

Immagine tratta dal film 12

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Immagine tratta dal film 12
 

Il film di Nikita Mikhalkov, meritato vincitore del Gran Premio della Giuria alla Mostra Cinematografica di Venezia dello scorso anno, è la rielaborazione del testo scritto da Reginald Rose già utilizzato in Twelve Angry Men (La parola ai giurati), film diretto da Sidney Lumet nel 1957.

Mikhalkov sposta la vicenda dall'America delle lotte razziali alla Russia attuale: questa è una "tipica storia russa" dice uno dei protagonisti, ma noi sappiamo che potrebbe essere anche una storia italiana, in tempi attuali di globalizzazione. E' la storia di un paese in cui le scuole hanno tubature a vista costruite quarant'anni prima; in cui i becchini usano squallidi trucchi per guadagnare qualche soldo in più; in cui le banche stritolano i deboli, mentre aiutano palazzinari senza scrupoli a ottenere con qualsiasi mezzo l'oggetto della speculazione; in cui le persone diventano schiave di oggetti di consumo quali cellulari, televisioni, automobili e perfino coltelli. Un paese in cui tutti sappiamo che funziona così (da sempre); un paese dove tutti oramai siamo più o meno corrotti dall'individualismo più sfrenato.
Ma dove istituzioni e giustizia falliscono, emerge la legge del cuore, che fa alzare una mano sola contro undici, quando ormai il destino di un ragazzo ceceno era già deciso: "è uno sporco selvaggio assassino, uno di quelli che ci fanno sentire stranieri nella nostra stessa terra" dirà il più problematico dei dodici giurati e sembrano parole in bocca ad un qualsiasi italiano stanco degli immigrati.

Completamente ambientato in una fatiscente palestra in disuso - a parte le vicende belliche in cui ci viene narrato il terribile percorso di crescita del ragazzo - il film è innanzitutto una grande prova corale di attori, strepitosi nella magistrale direzione di un grande vecchio del cinema russo e mondiale. Un regista che ha mosso i primi passi insieme al grande amico e compianto regista Andrej Tarkovskij, dirigendo insieme a lui, a soli vent'anni, Il rullo compressore e il violino, cortometraggio di diploma al Corso di Cinematografia Sovietico.

Ricordiamo le opere principali di Mikhalkov: Partitura incompiuta per pianola meccanica del 1976, il dramma Alcuni giorni della vita di I.I. Oblomov (1980) tratto dal romanzo di Ivan Goncharov Oblomov, fino a Oci Ciornie (1987) con Marcello Mastroianni ispirato ad alcuni racconti di Cechov. Nel 1992 vince il Leone d'Oro alla Mostra d'arte cinematografica di Venezia con il film Urga - Territorio d'amore (1991), ambientato in Mongolia.

12 presenta vari piani di lettura, da quello sociale a quello spirituale, ma Mikhalkov fornisce allo specialista una formidabile occasione per mostrare al pubblico cos'è lo psicodramma analitico e come funziona il suo strumento terapeutico. In una unica seduta fiume (quasi il concentrato di un lavoro a lungo termine in un gruppo terapeutico) le coordinate del setting (cioè le regole della seduta) sono già stabilite: un ambiente in cui si deve sostare per tutta la seduta, un numero definito di partecipanti, infine l'utilizzo del 'gioco' come strumento di ricerca della verità individuale e gruppale.

Attenzione: da ora in avanti nella recensione sono presenti elementi di spoiler.

Nel film sono implicitamente presenti anche un conduttore e un osservatore: nel gruppo di psicodramma queste funzioni sono svolte da due specialisti, che si alternano, alla conduzione e alla osservazione, di seduta in seduta. Il cosiddetto conduttore, nel film si presenterà subito, stimolando la riflessione negli altri partecipanti; l'altro, il Presidente della giuria, interpretato da Mikhalkov stesso, si svelerà solo alla fine.
La compassione di un giurato aprirà alla riflessione del gruppo, perché nessuna Verità è assoluta, anzi "tutto è possibile", come dirà l'altro giurato di origine ebrea. Ovviamente questo non è un film buonista, la 'pietà' di cui si parla non è 'pietismo': la compassione di cui si parla nel film, è intesa nel senso etimologico del termine 'cum-patire', soffrire insieme ed è lo strumento regio dello specialista nell'avvicinare la sofferenza dell'altro.

12 è un lavoro carico soprattutto di spiritualità, quella stessa spiritualità che, nella tradizione cinematografica e culturale russa (pensiamo solo ai film di Tarkovskij), diviene dapprima melodia poetica, infine melodia della coscienza e fonte di ricerca di verità profonde (dell'inconscio, diremmo noi): una melodia simile al cinguettare dell' uccellino intrappolato nella palestra, per citare uno dei simbolismi presenti nell'opera.
La libertà di cui parla Mikhalkov non risiede nel giudizio morale (così facile a scivolare nel pregiudizio e nella scissione manichea fra Bene – Male), risiede nell'etica del dubbio, nella libertà del potere riflessivo e nella consapevolezza che la verità su noi stessi e gli altri è sempre in divenire, mai un dato certo. Rendere liberi gli altri significa lasciare, a loro e a noi stessi, la possibilità di scegliere, scegliere anche di sbagliare.

E' interessante notare come, in 12, gli episodi esperienziali di ogni singolo giurato sono quelli che lo definiscono e gli forniscono una bussola nei rapporti interpersonali. Forse non è un caso che il taxista, il giurato più razzista, più difeso, ha un vissuto doloroso rimosso, con cui riuscirà ad entrare in contatto solo nella intensa scena finale, grazie al lavoro emozionale svolto precedentemente in gruppo. La ricostruzione dei giurati della verità processuale, attraverso la rappresentazione teatrale, è equivalente a ciò che avviene nello psicodramma analitico attraverso il 'gioco': lo scopo di questo gioco è quello di ricercare la verità personale di ognuno. Così come nel film, nel gruppo di psicodramma, questa verità viene svelata attraverso il vissuto emotivo: vi è una rappresentazione di un fatto, lo si interpreta attraverso la finzione scenica, ma l'emozione che si vive è vera e intensa, così come si osserva nei giochi messi in scena nel film, dove alcuni fanno vivere la propria questione emotiva all'altro. Questione altamente drammatica nel caso del giurato razzista, che manifesta una scissione, emotiva prima ancora che culturale. E quando il Presidente della giuria svelerà il suo ruolo, ogni giurato si sarà in parte appropriato dei propri aspetti emotivi più fragili, del proprio 'Essere Male' interiore, malessere fino ad allora rifiutato e posto nel ragazzo ceceno.

La crescita individuale dipenda sempre dal confronto con l'Altro attraverso il 'legame sociale', cioè attraverso un rapporto emotivamente profondo. Se è vero che "le cose vanno sempre così" come amaramente afferma il Presidente della giuria alla fine del film, criticando l'egoismo di cui è pervasa la società capitalistica, è anche vero che una maggiore coscienza gruppale permette cambiamenti soggettivi, che possono determinare il sociale.

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Recensione a cura di maremare - aggiornata al 02/01/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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