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Immaturo, bugiardo, pigro e infantile, ma anche talentuoso, affascinante e sicuro di sé: Charles Swan III (Charlie Sheen) si trova ad affrontare una crisi di mezza età quando la sua ragazza, Ivana (Katheryn Winnick), stanca dei suoi comportamenti, lo lascia. Alle ripicche seguono sbalzi umorali che condizionano il lavoro e mettono a repentaglio la sicurezza economica di Charles, che deve riscoprire la sua identità per rimettersi in sesto e tentare di riconquistare Ivana. Nell'impresa lo aiuteranno (?) il suo migliore amico (Jason Schwartzmann), il suo commercialista Saul (Bill Murray) e sua sorella (Patricia Arquette).
Non deve aver avuto molti problemi Charlie Sheen ad entrare nella mente di Charles Swan (e d'altra parte l'omonimia è solo una testimonianza del fatto che Coppola ha scritto il personaggio pensando proprio all'amico d'infanzia, conosciuto durante le riprese di "Apocalypse Now). Il sodalizio delle dinastie Coppola/Sheen si rinnova in una generazione successiva, in tempi avari di capolavori e soprattutto in anni in cui i grandi budget vengono associati ad altri nomi ed altri generi. Poco male: "A Glimpse Inside The Mind of Charles Swan III" rientra nella schiera di film d'autore che ci pacificano con l'esperienza cinematografica.
C'è tanto cinema anni settanta, ma anche tanto Wes Anderson (d'altra parte, Bill Murray, Jason Schwartzmann e lo stesso Coppola sono sodali di Anderson da anni e garanzia di qualità): in generale, l'aria che si respira è quella del cinema fatto con il cervello e con il cuore, per divertirsi e divertire, raccontando personaggi "larger than life" e situazioni paradossali per il gusto stesso della narrazione e dello sfruttamento del mezzo cinematografico come lente deformante sulle vicende della vita di un uomo.
Lungi dall'apparire una riunione tra amici a spese del pubblico (come qualche poco riuscita riunione della banda Clooney/Pitt, ad esempio ), "A Glimpse Inside The Mind of Charles Swan III" è un elegante film corale di supporto ad uno straordinario solista, Charlie Sheen, che se in carriera ha ottenuto meno del dovuto deve incolpare solo se stesso e a cui questo film, forse, offre una possibilità di pubblica catarsi. Certe scene, eccessivamente sentimentali ed indulgenti nei confronti di Charles Swan possono essere interpretate come un diretto messaggio a Sheen (o solo un ennesimo scarto improvviso nel registro emotivo del film).
Roman Coppola respira cinema da quando è nato e non è incline ai compromessi o alle scorciatoie per raggiungere incassi facili. Un cinema d'autore si distingue per la proposta di un linguaggio cinematografico non riconducibile a formule, a volte spiazzante, sempre in grado di parlare allo spettatore. L'impressione talvolta è quella di voler a tutti i costi prendere la strada meno ovvia, allontanandosi pervicacemente dai luoghi comuni di Hollywood, rifiutandone stilemi e archetipi sbeffeggiandoli elegantemente (e in questo sicuramente Coppola, Murray e Sheen si saranno divertiti un mondo).
Il gusto per il dettaglio e per un umorismo leggero e stralunato (Bill Murray è il nume tutelare di questo approccio alla comicità, e con poche battute riesce comunque ad essere memorabile) pervade il racconto, che segue l'andamento imprevedibile dei comportamenti del protagonista, scandendo sequenze di pura follia onirica (come l'attacco all'accampamento indiano) ad altre più puramente grottesche.
"A Glimpse Inside The Mind of Charles Swan III" è un piccolo film fatto da grandi mani. Il limite di questo cinema (che è lo stesso riscontrato nell'ultimo lavoro dell'altra Coppola, Sophia) è il saper o voler raccontare solo di personaggi interni allo star system (Stephen Dorff, protagonista di "Somewhere" ha anche un breve cameo), i cui problemi esistenziali sono - sotto ogni aspetto - ridicoli, infantili ed irritanti. Mentre "Somewhere" si prendeva maledettamente sul serio e ovviamente falliva nell'instaurare una qualunque forma di empatia, Roman Coppola sceglie una strada diversa, mettendola sul piano dell'ironia. Charlie Sheen è più che una scelta di casting, è una dichiarazione d'intenti.
Non si avverte certo l'urgenza di fare nuovo cinema, cambiare le carte in tavola: il paragone con gli anni Settanta è pretestuoso (benché inevitabile, se ti chiami Coppola): piuttosto la tendenza è all'autoindulgenza, come se fare cinema fosse per Roman Coppola qualcosa di inevitabile, più che di consapevolmente scelto e profondamente sentito. Visto che devo farlo, sembra dirci, almeno vi svelo cosa davvero accade dalle parti di Hollywood. In questi termini, tutto funziona.
Colpo di genio finale: i titoli di coda "live".
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 07/10/2013 18.38.00
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