Recensione anna dei miracoli regia di Arthur Penn USA 1962
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Recensione anna dei miracoli (1962)

Voto Visitatori:   8,50 / 10 (28 voti)8,50Grafico
Miglior attrice (Anne Bancroft)Migliore attrice non protagonista (Patty Duke)
VINCITORE DI 2 PREMI OSCAR:
Miglior attrice (Anne Bancroft), Migliore attrice non protagonista (Patty Duke)
Miglior attrice debuttante (Patty Duke)
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior attrice debuttante (Patty Duke)
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locandina del film ANNA DEI MIRACOLI

Immagine tratta dal film ANNA DEI MIRACOLI

Immagine tratta dal film ANNA DEI MIRACOLI

Immagine tratta dal film ANNA DEI MIRACOLI

Immagine tratta dal film ANNA DEI MIRACOLI

Immagine tratta dal film ANNA DEI MIRACOLI
 

A prima vista il film sembra esprimersi molto di più con le parole che con le immagini. Ad uno spettatore distratto la pellicola appare come un racconto in chiave telefilm: priva di spazi visivi pluridimensionali. In realtà è un'opera che cura in modo straordinario il linguaggio visivo. Lo fa senza seduzioni. Umilmente. Lavorando sulla semplicità dell'inquadratura e la scorrevolezza del montaggio. Le angolazioni di ripresa sono numerose e puntuali ma mai impossibili. Sembrano invisibili perché prive di effetti troppo ricercati.
Penn riesce a comunicare pensieri, interrogativi, emozioni di alto valore culturale, tramite immagini di volti in primo piano ripresi a sequenze lente che moltiplicano le possibilità di lettura.

Hellen Keller è una bambina che a seguito di un'oscura malattia infantile, erroneamente diagnosticata come congestione, diventa sorda e cieca. Cresce in condizioni familiari dominate da un'eccessiva tolleranza e perbenismo. La famiglia dopo alcuni anni si rassegna all'invalidità della figlia e non si preoccupa più di migliorare il suo stato psicologico. I genitori cercano soltanto qualcuno che si assuma il peso di gestire il povero vivere quotidiano di Helen. Un vivere basato principalmente sulla soddisfazione di bisogni primari.
Il problema più grave è quello comunicativo. La bambina non ha ancora avuto la possibilità di accedere ad un linguaggio che attivi il pensiero. Qualcosa che ponga i segni racchiusi nella parola tattile in un vero rapporto con le cose. Helen ha bisogno di intensificare la percezione dei sensi e di conseguenza le azioni che ne derivano.
Il compito della nuova istruttrice Annie Sullivan appare subito disperato. Le sue intenzioni sono in contrasto con quello che vogliono i genitori. La famiglia pretende da lei solo un lavoro di sostegno psichico finalizzato a rendere la bambina più docile. Le necessità quotidiane della famiglia borghese, in cui Helen vive, esigono un vivere tranquillo e scorrevole. Esse sembrano prevalere sui reali bisogni terapeutici di Helen.

L'istruttrice Annie Sullivan, che proviene da esperienze dirette di terapia sulla cecità e la comunicazione, riesce subito a capire ciò che occorre tentare con la bambina. Mette in pratica un metodo di lavoro basato su un estremo rigore terapeutico. Qualcosa che ruota intorno alla costituzione di un nuovo rapporto figlia madre utilizzando forme aggressive di insegnamento. Il fine è l'apprendimento di un linguaggio comunicativo. Usando la forza e il premio. E' un linguaggio che non passa per le vie percettive note. Mancando la vista e l'udito Annie è costretta a usare i segni che si possono comporre con le mani. La difficoltà sta nel riuscire a mettere i segni in stretto rapporto con la maggior parte delle cose esterne che Helen ignora. Per far ciò Annie deve prima disabituare i vecchi modi di rapportarsi di Helen con la famiglia.
L'istruttrice si accorge subito della debolezza del comportamento dei genitori di Helen. Debolezza costituita da reiterati cedimenti della famiglia agli istinti compensativi della figlia che tende a soddisfare i suoi bisogni primari senza alcuna preoccupazione delle formalità civili. Questi cedimenti non consentono un'educazione della bambina alla parola e all'azione cosciente. Mancano gli stimoli tesi alla responsabilizzazione del comportamento di Helen.
Annie chiede ed ottiene di stare sola con la bambina per un po' di tempo. Possibilmente in un casolare intravisto nelle vicinanze. L'istruttrice spera con l'assenza provvisoria dei genitori di poter rafforzare il rapporto di transfert con Helen.

Durante la permanenza nel casolare i risultati terapeutici compiono dei timidi progressi. Essi avvengono prevalentemente con l'utilizzo del piano tattile delle mani di Helen. Annie vuole insegnare a Helen sia la compitazione dell'alfabeto per cechi che l'acquisizione tattile delle cose legate alle parole-segno.
Per raggiungere l'obiettivo Annie è costretta a ingaggiare una vera e propria lotta fisica con la bambina. Lotta in cui l'istruttrice riesce alla fine a prevalere e a proseguire con una diversa fatica il suo insegnamento.
In Helen l'apprendimento dell'alfabeto dei ciechi e sordi tramite il piano tattile delle mani, inventato da frati spagnoli, avviene in modo molto conflittuale e con lunghe pause. Annie per facilitarlo attiva con molta decisione una conversazione a tre. Con l'ausilio sempre della forza fisica e una più forte determinazione psichica avvia un'educazione violenta tesa a superare abitudini sbagliate.
Le cose che Helen desidera vengono concesse, a differenza di come avveniva prima in famiglia, dopo che essa ha svolto per un tempo prefissato un lavoro su alcune lettere dell'alfabeto. Il lavoro riguarda il rapporto tra segni appresi e le cose ad essi corrispondenti. La dedizione di Annie Sullivan alla cura del caso è assoluta. Il suo amore professionale è elevatissimo e sul piano economico Annie appare disinteressata.
Attraverso un gioco di conversazioni aggressive a tre che coinvolgono anche un ragazzo della fattoria, gioco teso a creare una gelosia utilizzabile a fini terapeutici, Helen inizia a identificare la realtà esterna. In Helen cominciano a formarsi dei pensieri, delle intenzioni, delle conoscenze emotive nuove. Ma la famiglia rimane dubbiosa. Interviene duramente su Annie mettendosi in mezzo al suo insegnamento quando Helen, festeggiata a tavola in modo troppo permissivo, suscita l'irritazione dell'istruttrice.
La cosa rischia di vanificare tutto il lavoro fin lì svolto da Annie. Annie si oppone violentemente a questa regressione educativa. Questo atteggiamento dei genitori tende erroneamente a ricostituire, in nome delle tradizioni di famiglia, l'abitudine a vecchi e diseducativi slanci d'amore rivolti a Helen. Slanci chiusi che potrebbero portare alla dimenticanza dell'alfabeto che Helen ha fin lì appreso. Ma, grazie alla grande forza e costanza di Annie, Helen acquisisce alla fine, con l'aiuto dell'alfabeto, l'agognata capacità di associare i segni appresi da Annie alle cose che sente con le mani. E' un trionfo per Annie e la sua famiglia. Questa sorta di miracolo avviene quando Helen riempe, dopo una furiosa lite tra Annie e i genitori, una brocca d'acqua utilizzando l'antica pompa a mano situata in cortile. Helen associa il nome acqua alla brocca, al bere, alla necessità di un'azione per prelevarla. E' un trionfo per tutti.

E' come se Helen avesse acquisito un modo inedito ma efficace di vedere e sentire il mondo esterno.
Helen entra quindi in un mondo di affetti molto più ricco di segni. Ciò comporta la possibilità di sviluppare e comunicare pensieri che le consentono esperienze nuove. L'aiuto che riceve dalle persone non è più di tipo compassionevole ma diventa grazie all'esperienza della scrittura tattile un vero e proprio dialogo.
Il sorriso sul suo viso comincia a farsi più frequente. Un mondo nuovo inizia a dischiudersi. Il magico contatto delle parole-segno con le preziose mani, avide quest'ultime di cose e di un fare più umano, promette l'acquisizione di un sapere anche per lei.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 07/07/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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