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Grace Wong viene rapita e rinchiusa in un casolare abbandonato. Là riesce miracolosamente a mettere insieme i pezzi di un telefono rotto e si mette in contatto con uno sconosciuto di nome Bob, il quale si trova a dover inseguire i rapitori per salvare Grace e sua figlia.
Intanto la polizia si mette sulle tracce di Bob che, per seguire i rapitori, infrange più volte la legge.
Remake di "Cellular", film del 2004 con Kim Basinger e Chris Evans, quest'ultimo lavoro di Benny Chan è un raro caso in cui il rifacimento dona spessore ad un'opera di per sé non eccezionale.
Grace viene rapita da un gruppo di uomini pericolosi e violenti che fanno irruzione in casa sua e le ammazzano la cameriera. Lei non ha la minima idea del motivo per cui viene tenuta rinchiusa, finchè uno dei rapitori non le chiede di contattare suo fratello. Ma anche in questo caso il motivo di tanta irruenza rimane del tutto oscuro alla donna, la quale intanto mette insieme i pezzi di un telefono e contatta un numero a caso. Le risponde Bob, un uomo assai indaffarato, nel bel mezzo di una crisi familiare. L'uomo sulle prime pensa ad uno scherzo, ma quando ascolta al telefono la voce dei sequestratori che minacciano Grace di rapire anche sua figlia, si convince e cerca di rintracciarli. Ovviamente le cose non saranno semplici, se da una parte la polizia comincia a notare qualcosa di strano nei comportamenti di Bob, dall'altra scopriremo qualcosa di più sulle motivazioni dei rapitori.
Fin qui il film originale coincide con il remake, ma da un certo momento in poi la trama acquisisce un livello ulteriore e il finale dell'originale sarà solo il primo dei due che, con un colpo di scena in perfetto stile Hong Kong, complicheranno di colpo una trama semplice e del tutto lineare.
Il doppio finale, come anche l'implicita affermazione che in realtà non ci si può fidare di nessuno che esso porta con sè, danno alla storia quel tocco di paranoia e di tensione ulteriore, che finisce per rendere avvincente anche i fotogrammi finali, dove solitamente il calo di tensione rende ridondanti tutte le spiegazioni del caso.
Inoltre Benny Chan, gran coreografo e autore di piccoli gioielli come l'insuperato Invisible Target, crea una tensione tale nelle scene d'azione da meritare alla pellicola il premio per la miglior coreografia d'azione e il montaggio ai recenti Golden Horse Awards.
E se nell'originale avevamo un monolitico Jason Statham nella parte dello psicopatico rapitore, qua abbiamo il convincentissimo Ye Liu, già visto da noi ne "La Città Proibita" ("Curse of the Golden Flowers") del maestro Zhang Yimou e in "Blood Brothers", presente a Venezia 64.
In definitiva si tratta di un remake che, almeno in questo caso, non mostra tutta l'inutilità della pratica ormai divenuta consueta ad Hollywood di replicare fotogramma per fotogramma film fatti da altri. Pratica questa che espone al rischio di esser sommersi da pellicole inutili e, in alcuni casi, inferiori agli originali, dal momento che per ogni Scorsese che rifà un film di Hong Kong ci sono, purtroppo, almeno dieci David Moreau o Jim Sonzero che distruggono ogni motivazione a guardare un film asiatico girato da capo da altri, col fine di stemperarne l'esplicita rappresentazione e appiattendo ogni riferimento ad altre culture che non siano l'onnipresente cultura americana del fast food.
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 17/03/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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