Recensione control regia di Anton Corbijn USA 2007
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Recensione control (2007)

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locandina del film CONTROL

Immagine tratta dal film CONTROL

Immagine tratta dal film CONTROL

Immagine tratta dal film CONTROL

Immagine tratta dal film CONTROL

Immagine tratta dal film CONTROL
 

Existence-well what does it matter
I exist on the best terms I can
The past is now part of my future
The present is well out of hand

L'esistenza allora che importanza ha?
Io esisto meglio che posso
Il passato fa parte ora del mio futuro
Il presente è inafferrabile

Questo era Ian Curtis.
I toccanti versi con cui si apre il film sul mai troppo compianto cantante dei Joy Division esprimono con una disarmante lucidità tutta la sua angoscia e consapevole inadeguatezza verso la vita.
Un grido di dolore, una dichiarazione di resa di fronte a qualcosa di insormontabile come era per lui l'esistenza stessa.

Control racconta la storia della band che alla fine degli anni '70, con due soli album all'attivo, influenzò profondamente non solo la musica della successiva decade ma l'intero panorama rock ed elettronico degli anni a venire.
Vita breve quella dei Joy Division, costretti a terminare anzitempo la loro storia per la prematura scomparsa del frontman, morto suicida a 24 anni non ancora compiuti nella sua casa di Macclessfield, nei dintorni di Manchester.

Cosa rende cosi speciale una band come i Joy Division?
Una risposta possono darla solo coloro che son riusciti a percepire l'autentica disperazione che emerge dai testi del loro carismatico leader. Una voce greve ma allo stesso tempo calda, unita simbioticamente alla glaciale batteria di Stephen Morris,all'ipnotico basso di Peter Hook e alla malinconica chitarra di Bernard Albrecht, in grado di avvolgere empaticamente l'ascoltatore.

La storia inizia proprio nella grigia Macclessfield nel 1973 con un Ian studente, sognatore e apparentemente non tanto diverso dai ragazzi della sua stessa generazione. Musica, poesia, sperimentazioni allucinogene per sfuggire alla monotonia della provincia e l'amore per Debbie, colei che diventerà a breve sua moglie: tutto apparentemente normale, quasi come se niente lasciasse presagire cosa sarebbe successo nella sua mente da li a poco.
Deborah Curtis è stata la persona che assieme a Anton Corbijn, regista di questo film e intimo amico della band inglese sin dai tempi del video di "Atmosphere" da lui girato, ha reso possibile la conoscenza di diversi aspetti ed episodi della vita del marito.
La biografia da lei scritta, "Touching from a distance", fu il punto di partenza per questo lavoro del regista olandese, al suo primo lungometraggio dopo una lunga serie di videoclip per diversi artisti come Metallica, Depeche Mode e U2.

Artisticamente la band di Manchester nasce nel '77 come Warsaw ma cambierà presto il nome iniziale con quello che li ha passati alla storia della musica: il termine "Joy Division" definiva i reparti dei campi di concentramento nazisti dove le prigioniere erano dedite a soddisfare le richieste sessuali degli ufficiali tedeschi.
Le diverse tappe della loro ascesa artistica sono ripercorse fedelmente nel lavoro di Corbijn: dagli esordi al contratto con la major, soffermandosi sul momento che si potrebbe considerare lo spartiacque nella loro carriera.
L'episodio in questione è il ritorno da un deludente concerto a Londra dove Ian Curtis capisce di avere una malattia che sconvolgerà la sua esistenza: l'epilessia.
La consapevolezza del suo male, assieme alle crescenti difficoltà nel soddisfare le aspettative su se stesso e la delusione per un mondo che non desiderava costituisce un combinazione difficile da sopportare: molti anni dopo colpirà un altro grande della musica, Kurt Cobain dei Nirvana (il quale definì il brano "Love will tear us apart" dei Joy Division come una delle più belle canzoni di sempre).

Mother, I tried, please believe me
I'm doing the best that I can
I'm ashamed of the things
I've been put through
I'm ashamed of the person I am

Madre ci ho provato credimi ti prego
Faccio il meglio che posso
Mi vergogno delle situazioni
In cui mi sono cacciato
Mi vergogno di come sono

La regia di Corbijn è semplice, essenziale, quasi distaccata, come potrebbe apparire la musica dei Joy Division. Un malinconico bianco nero fa da sfondo alle spirale di dolore che porterà il cantante a impiccarsi nel maggio del 1980 a Macclesefield, li dove era tutto era iniziato.
Se la scelta registica di Corbijn convince e risulta decisamente indovinata, altrettanto lodevole è il cast, ad iniziare da uno strepitoso Sam Riley che "vive" Ian Curtis fisicamente ed emotivamente.
Il giovane attore britannico offre un performance da incorniciare e di fronte al carisma dimostrato dal suo personaggio gli altri membri dei Joy Division svolgono il loro compito da discreti comprimari. Il resto del cast è rappresentato da diversi persone che hanno ruotato intorno all'universo del cantante, come la forte e paziente moglie Debbie, interpretata da Samantha Morton, l'affascinante amante belga Annick e il genuino manager Rob Gretton.
Il film si conclude con le struggenti note di "Atmosphere", anche se forse sarebbe stato più giusto chiudere con "The eternal", vero e proprio epitaffio di Ian Kevin Curtis.

No words could explain,
no actions determine
Just watching the trees
and the leaves as they fall

Non c'è parola che possa spiegare
Nessuna azione è decisiva
Nient'altro che osservare gli alberi
e le foglie che cadono

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Recensione a cura di quadruplo - aggiornata al 20/05/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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