Recensione cop land regia di James Mangold USA 1997
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Recensione cop land (1997)

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locandina del film COP LAND

Immagine tratta dal film COP LAND

Immagine tratta dal film COP LAND

Immagine tratta dal film COP LAND

Immagine tratta dal film COP LAND

Immagine tratta dal film COP LAND
 

Garrison, New Jersey.
La classica cittadina americana sonnolenta e tranquilla con i bambini che giocano per strada, le mogli che si prestano lo zucchero e i gattini che miagolano sugli alberi. Una città dove tutti conoscono tutti, dove chiunque può girare di notte senza paura e dove il tasso criminale è praticamente inesistente. Insomma, la tipica cittadina qualunque dove tutto è sempre ordinario e dove non succede mai niente di interessante.
Solo un piccolo particolare distingue Garrison, situata al di là del ponte George Washington che collega New York al New Jersey, da tutte le altre piccole città di provincia: gran parte della popolazione è costituita da poliziotti corrotti (e famiglie) tutti in servizio proprio a New York. Per questo motivo, dalla maggior parte della gente (e dalle stesse forze di polizia), la città di Garrison viene riconosciuta come Cop Land (sbirrolandia), ovvero un posto dove poter operare senza fastidi, senza intralci e senza nessun tipo di controllo. In parole povere, un posto dove la merda non potrà mai arrivare.

A capo di questi poliziotti corrotti (una cricca di cui fa parte anche lo sbirro cocainomane e con più di qualche scheletro nell'armadio Gary "Figgsy" Figgis, interpretato da Ray Liotta), troviamo il tenente Ray Donlan (Keitel), un uomo che, grazie ai suoi traffici illeciti con il crimine organizzato, gestisce Garrison quasi fosse un boss della mala.
A capo delle forze dell'ordine del luogo troviamo invece lo sceriffo onesto e stagionato Freddy Heflin (Stallone), un "vorrei ma non posso" (cit.) eletto apposta da Ray e scartato più volte dalla polizia a causa di un incidente che gli fece perdere totalmente l'udito da un orecchio. Freddy è un funzionario della legge stanco, docile e disilluso, tutt'altro che una minaccia, che si accontenta della sua carica e che svolge il proprio compitino senza fare troppe domande; proprio per questo, e per il suo modo di fare lento e apparentemente tonto, Ray & company se lo tengono buono facendolo sentire importante e dandogli contentini come la finta amicizia o anche il solo rivolgergli parola. Freddy è semi-consapevole di tutto ciò ma, un po' per ingenuità un po' per menefreghismo, gli sta bene così.
E poi c'è Moe Tilden (De Niro), ex-collega d'accademia di Ray e ora capo della disciplinare del NYPD, deciso ad incastrarlo in qualunque modo. Unico problema: tutti gli uomini su cui Moe sta investigando vivono al di la del ponte George Washington, il punto esatto dove finisce la sua giurisdizione e dove più nessun controllo può essere esercitato.

Queste le leggende di Garrison e dei personaggi che gli ruotano attorno... fino ad ora: a New York, dopo un addio al celibato, l'agente fuori servizio Murray "Superboy" Babitch (Michael Rapaport), giovane poliziotto pluridecorato e nipote di Ray, uccide due giovani afroamericani sparandogli accidentalmente durante un pericoloso inseguimento automobilistico sul ponte. Ray, insieme ai colleghi, accorre immediatamente sul posto intenzionato a coprire il nipote ma, nel momento in cui si scopre che la morte dei due ragazzi non riuscirà a passare come accidentale, Ray decide di inscenare un finto suicidio di Murray, che si butta giù dal ponte. Sarà proprio questo l'incidente che darà una svolta decisiva alle vite dei personaggi principali e che scoprirà irrimediabilmente tutte le carte in tavola: mentre Figgsy (unico vero amico di Freddy) cercherà di tirarsi fuori pulito dalla situazione, Tilden troverà finalmente un nuovo pretesto per dare addosso sia a Ray che ai suoi uomini ma, per incastrarlo, dovrà chiedere per forza aiuto allo sceriffo Heflin, l'unico davvero in grado di poter fare qualcosa.
E qui tutto dipende da Freddy: credere alle storie di Tilden sul conto di Ray, svegliarsi dal coma ed afferrare una possibilità di riscatto, oppure far finta di niente e continuare a proteggere i suoi "amici" e colleghi ben sapendo che Babitch è tutt'altro che morto?

Molto atteso prima dell'uscita, snobbato nelle sale e finito quasi subito nel dimenticatoio, "Cop Land" rimane senza ombra di dubbio uno dei gioielli più sottovalutati degli anni '90 nonché la quintessenza assoluta del genere poliziesco. Un'opera straordinaria e ricca di sfaccettature, ammirevolmente ambiziosa, colma di denunce sociali, e dal taglio fortemente realistico; il classico film che necessità di svariate visioni prima di poter essere apprezzato in tutto il suo insieme per la quantità di dettagli, personaggi ed intrecci che si porta dietro.
In effetti, a prima vista, può sembrare un filmetto lento e senza nulla di particolare da dire ma non è affatto così, perché in "Cop Land", nonostante la pochezza di sparatorie ed inseguimenti, si può trovare tutto quello che si desidera da un poliziesco serio e verosimile.
Da lodare c'è veramente ogni cosa ma, per questioni di spazio, ci limitiamo ad elogiare solo le tre componenti essenziali del film, componenti che ovviamente si ramificano.

Primo: una cura attentissima per ogni singolo comparto che, nonostante non faccia urlare al capolavoro, nel suo piccolo risulta superlativa e pienamente funzionale: dalla narrazione tesa, incalzante, e al tempo stesso minuziosamente assonnata del regista James Mangold (soporifera al punto da risultare perfetta per farci entrare in empatia con il protagonista) alla curatissima, fredda e distaccata fotografia di Eric Alan Edwards (cosicché anche allo spettatore sembrerà di vivere in quella città mortorio) o ancora, dalle musiche ispiratissime di Howard Shore, monotone e drammatiche nei momenti di calma ma assordanti e rimbombanti come non mai nelle situazioni movimentate (tromboni, fischi e cornamuse si sprecano). Insomma, un grandissimo comparto tecnico perfettamente creato ad hoc per il contesto.

Secondo: il meraviglioso plot (naturalmente coadiuvato da una brillante sceneggiatura) denso di intrighi, complotti e colpi di scena. Sono veramente rare le volte in cui la corruzione, le investigazioni e gli abusi di potere della polizia vengono portati su schermo con tanta semplice autenticità e così poca retorica. A parte questo (elogio tutt'altro che indifferente), il merito principale di Mangold è stato quello di dare poco spazio all'azione (quasi nulla ad essere sinceri, e forse è stata questa una delle cause che hanno determinato l'insuccesso del film) e di soffermarsi invece sui dialoghi, sui personaggi e sulle sfumature a questi connesse. Infatti sono proprio i dettagli, l'introspezione, le modalità lente di sviluppo e la maniera in cui si intersecano le vite dei protagonisti che rendono "Cop Land" così speciale e così anticonvenzionale.
All'inizio l'interesse rimane distante e lo spettatore fa quasi fatica ad entrare nel vivo della storia ma poi, una volta che la vicenda prende piede e comincia pian piano a sfuggire di mano a tutti, non c'è più niente che fermi il meccanismo: tramite flashback, ambiguità, e dialoghi pieni d'ira e malinconia, i passati ambigui e misteriosi dei personaggi (sia primari che secondari) cominciano poco a poco ad emergere in un appassionante e coinvolgente crescendo di tensione in cui si scopriranno retroscena, rimorsi, tradimenti, relazioni extraconiugali e vecchi rancori da cui nessuno si salva.
Tanti conti in sospeso che verranno parzialmente saldati solo nel magnifico e tanto criticato epilogo (un sublime, spettacolare, violentissimo climax finale in cui Freddy, sanguinante e quasi completamente sordo, cammina per le strade deserte e mattutine di Garrison con fucile a pompa in mano pronto a prendersi la sua rivincita personale).
Insomma, un perfetto insieme di emozioni e tensione da cui lo spettatore non potrà fare a meno di rimanere coinvolto e toccato.

Terzo (ma non per questo meno importante, anzi): l'eccellente cast. Un vasto e versatilissimo gruppo di star e caratteristi sul quale la maggior parte di pubblico e critica aveva riposto tutte le aspettative; aspettative che però alla fine si convertirono in una generale delusione causata (a detta di questi) dallo scarso utilizzo di alcuni degli attori coinvolti. In realtà questo spreco non fu altro che una mera e semplice illusione: Keitel dona al suo Ray Donlan quel tocco necessario a renderlo un cattivo odioso e sgradevole al punto giusto. Sebbene non memorabile, l'attore offre comunque una prova più che buona. De Niro, d'altro canto, ha poche scene, ma non per questo il suo apporto deve essere considerato meno decisivo, anche perchè Moe Tilden, con le sue poche (ma altamente efficaci) apparizioni, è il personaggio che, tramite voce fuori campo e vivaci conversazioni con Stallone, rivela i punti salienti della storia permettendo allo spettatore (e allo stesso protagonista) di avere un quadro completo della situazione che fu e che è. Chiaro che la recitazione di De Niro è magistrale come sempre.
Poi abbiamo tre grandi caratteristi che, sebbene non particolarmente conosciuti al grande pubblico, riescono a distinguersi in mezzo ai colossi con un'ottima e credibile performance ciascuno: Robert Patrick (il migliore di questi), Michael Rapaport e Peter Berg; tre attori molto bravi che avrebbero sicuramente meritato maggior fortuna (anche se Berg, in seguito, si darà alla regia con risultati tutt'altro che mediocri).
E infine ci sono loro, i più grandi, i più bravi, i più forti di tutta la squadra: il mastodontico Ray Liotta (da sempre sottovalutato), perfetto nei panni dello sbirro trasandato e tormentato che, insieme a De Niro, offre i migliori monologhi del film nonché la miglior performance della sua carriera.
e poi lui, il solo, unico ed inimitabile Sylvester Stallone, asso vincente e la vera sorpresa di "Cop Land" che per il ruolo dello sceriffo Freddy Heflin mise in gioco carriera e reputazione ingrassando di quasi venti chili ed eliminando quell'immagine/prigione di action-hero che per quasi un decennio si era portato appresso. Già questo sacrificio, per un attore e un personaggio, è più che encomiabile, ma se si pensa che la metamorfosi dello stallone italiano si limiti solo all'aspetto fisico allora si sbaglia di grosso; Sylvester (alla faccia di chi ha sempre sostenuto che non sapesse recitare) si fonde completamente nel personaggio, scava a fondo nella sua psicologia e ne assume forma, fisicità e stati d'animo talmente bene che lo spettatore non può far altro che rimanere a bocca aperta (o starsene zitto) davanti a tanta bravura. Un ritratto di fallito malinconico, avvilito e handicappato, interpretato con straordinaria verità ed umanità, che a fine visione sarà veramente difficile dimenticare.
Almeno su questo, tutti si sono trovati giustamente d'accordo: il cane bastonato Freddy Heflin (un outsider che ascolta nostalgicamente Bruce Springsteen e guarda i colleghi con tristezza fuori da una vetrina) è senz'altro la migliore e più grande fatica, dopo "Rocky" e "Rambo", di Sylvester Stallone attore (che in passato aveva comunque dimostrato più volte di saper recitare, basti vedere "FIST", "Taverna Paradiso", "I Falchi della Notte" e "Fuga per la Vittoria" per credere). Veramente, un applauso grande così per un'artista e un modello che, con questo ruolo, è finalmente riuscito a guadagnarsi la stima ed il rispetto anche dei più scettici.

In conclusione: "Cop Land" di James Mangold (progetto molto caro al regista) rimane un piccolo, grande poliziesco (che col tempo sta diventando sempre più cult) a cui si può tranquillamente perdonare l'unica pecca (se di pecca si può parlare) che obbiettivamente parlando lo penalizza leggermente: la durata. Riguardo a questo ci permettiamo di riportare, con una traduzione capibile, l'essenza della recensione del critico americano Roger Ebert: "troppa carne al fuoco in poco tempo di durata".
Esattamente così: con tanto potenziale e tante cose da raccontare, il film doveva assolutamente avere una durata maggiore. In parole povere, uno dei rari casi in cui la durata eccessiva avrebbe giovato invece che penalizzato.
Ma anche preso così com'è, "Cop Land", nella sua bellezza, rimane comunque intatto. Storia grandiosa, regia perfetta, recitazione titanica e un messaggio che, in questo caso, va preso alla lettera:
NESSUNO E' AL DI SOPRA DELLA LEGGE.

Capolavoro assoluto, impossibile non premiarlo col massimo dei voti.

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Recensione a cura di Angel Heart - aggiornata al 10/05/2012 16.03.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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