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"Col 2000 inizierà l'epoca dello spirito" diceva Malraux, profetizzando l'avvento di una nuova spiritualità, capace di distaccarci dal materialismo imperante della civiltà capitalistica di occidente, a seguito della rivoluzione industriale, nell'800 e nel '900.
E se, per il primo centenario la corsa alla ricchezza riguardava in primis il grande capitale, con la creazione delle grandi infrastrutture industriali, commerciali e finanziarie, in quello successivo il fenomeno si estendeva a macchia d'olio all'intero mercato, con l'avvento del consumismo esasperato, capace di contagiare l'insieme complessivo dei paesi occidentali: in sostanza una nuova religione pagana, destinata ad infiltrarsi in tutti gli strati sociali, e in prospettiva al mondo globale, come oggi sotto i nostri occhi. Da queste considerazioni parte senza ambagi l'assunto tematico del film di Ozpetec, quando la giovane Irene, erede di una fortuna "sporca", pronuncia un vero "Manifesto del consumismo" nel corso di una seduta plenaria del CDA dell'azienda.
Ma, proprio di qui, la sua "illuminazione", arrecata da una giovinetta-angelo, con la chiara presa di coscienza della disumanità di certe logiche e della conseguente alienazione individuale. Alla faccia delle previsioni di Malraux, comunque, unica vox clamans nel deserto dell'Occidente contro il consumismo perverso, resta oggi solamente quella di Papa Woitila, mentre l'avvento di una nuova spiritualità sembra ben di là da venire; o, quanto meno, dovremmo attenderne l'eventuale arrivo dall'Oriente, con le sue mistiche e le tante pratiche già in uso da noi.
In questo quadro non stupiamoci che un messaggio del genere ci provenga da Ozpetek, che viene da una terra tradizionalmente ponte tra le culture dei due opposti emisferi; ma che, vivendo a Roma, subisce pure l'influsso di certo nostro pensiero morale, come nel Fromm di "Essere e avere".
Dunque con quella sua specialissima tendenza a frammischiare tanti elementi, eccolo presentarci una sorta di parabola edificante, coi toni e coi modi della nostra iconografia ecclesiastica: pediluvi amorevoli, immagini di Pietà Michelangiolesche, figure scavate e sofferenti di poveri, preghiere biascicate a bassa voce dalla Bobulova a mo' di rosario, cortei di bisognosi come nelle Processioni sacre. Mentre l'immagine della giovane ereditiera, immensamente ricca, che si spoglia di tutto, abiti compresi, per donarlo ai poveri, ci ricollega obbligatoriamente al personaggio di S.Francesco.
Al tema centrale del racconto, poi, si aggiungono elementi della memoria ancestrale, la figura emblematica di una madre sconosciuta, lei pure invisa alla famiglia affarista, e presenze di parenti scomparsi, nella chiave "animistica" tipica del regista. Mentre l'immagine simbolica più evidente, resta il primo piano parallelo tra l'arcigna zia Lisa Gastoni, col viso drammaticamente scavato dalle "colpe dell'occidente" in declino, e il profilo angelico della giovane Irene, aperto alla speranza di una utopica era di giustizia. La quale utopia, poi, sembrerebbe avverarsi, alla fine del film, grazie alla diagnosi della psichiatra che prenderà in cura la giovane ereditiera scialacquona, dichiarandola capace di intendere e di volere.
Il film farà discutere perché un po' lento e di non facile comprensione; e inoltre farà rimordere la coscienza al mondo dei privilegiati. Ma pure qualcuno deve farli certi discorsi, come fece un certo Cristo... 2000 anni fa. E in un mondo che proprio in questi giorni si inchina a Sgarbi per avere messo in mostra secoli di "Cattiveria nell'arte", ci sembra doveroso che qualcuno proponga coraggiosi discorsi di bontà, solidarietà ed altruismo, perché come diceva Madre Teresa "fare bene fa bene" e ancora "quello che non è donato è perduto". Grazie dunque a Ozpetek che mantiene accesa, con questa difficile operetta morale, la fiaccola della speranza.
Citiamo ancora le musiche del film trascinanti come sempre e la fotografia dai cromatismi "cinquecenteschi". E per finire un vero osanna alla straordinaria interprete Barbora Bobulova: intensa e ieratica, non deve neppure sforzarsi di "trovare" l'espressione grazie a due occhi che bucano lo schermo, e sembrano risalire direttamente dal profondo dell'anima (una novella Adjani!).
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 28/02/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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