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E' il 5 maggio del 1993 quando nel West Memphis, Arkansas, tre bambini di otto anni spariscono misteriosamente. I loro corpi nudi, legati e con evidenti segni di percosse vengono ritrovati il giorno dopo, immersi nel torrente di un campo chiamato Robin Hood Park. La polizia locale, convinta di avere a che fare con tre omicidi generati dal culto di Satana, concentra immediatamente le sue attenzioni su Damien Echols, un giovane problematico di 18 anni, e i suoi amici Jason Baldwin di 16 e Jessie Misskelley Jr. di 17.
E' l'inizio di un processo che andrà avanti fino al febbraio 1994 con la pronuncia di colpevolezza per l'omicidio di Christopher Byers, Stevie Branch e Michael Moore da parte dei tre ragazzi condannati all'ergastolo e il solo Echols, ritenuto il capobanda, alla pena di morte.
Nessuno in città sembra dubitare della soluzione del processo. Per influenzare l'opinione pubblica bastano il look un po' "dark" e la maglietta dei Metallica, oltre all'interesse verso le streghe e i riti satanici. Il detective privato Ron Lax e la mamma di Christopher, Pam Hobbs, sono gli unici a nutrire seri dubbi su tutto il sistema che ha portato alla sentenza. Testimonianze improbabili, versioni non coincidenti con la realtà dei fatti, prove trafugate e quant' altro sono sotto gli occhi di tutti, eppure tutti continuano a volere Damien e i suoi amici dietro le sbarre.
Un'occasione persa. Questo è il film di Atom Egoyan ("Ararat" e "False verità").
La storia degli omicidi accaduti nel '93 è sicuramente uno dei fatti di cronaca di maggior interesse degli ultimi anni, per curiosità poliziesca e per interesse sociologico. Chi ha veramente ucciso i tre bambini? Come è possibile essere tanto bigotti da arrivare all'accusa di omicidio per tre ragazzi basandosi solo su magliette, gusti musicali, tagli di capelli e oggetti da collezione? Perché il colpevole aveva tutto questo interesse a distruggere la vita di Damien Echols e i suoi amici al tempo minorenni?
Tante domande, poche risposte. Risposte che certo nessuno pretendeva potessero arrivare da Egoyan, ma almeno una ricostruzione esaustiva della storia, quello sì. E invece in quasi due ore si assiste alla presentazione dei personaggi, degli omicidi, della condanna e poi il nulla. Fine. Con tante righe da leggere sui titoli di coda a spiegare che sì, la sentenza fu quella di ergastolo per Baldwin e Misskelley e di pena di morte per Echols, ma che poi, in seguito ad una enorme reazione dell'opinione pubblica, si arrivò alla riapertura del caso, all'assoluzione e alla sorprendente conclusione con l'"Alford Plea", ossia un accordo con i pubblici ministeri in base al quale, pur professando la loro innocenza, i tre hanno riconosciuto che le accuse a loro carico erano fondate e si sono dunque dichiarati colpevoli, rinunciando così alla possibilità di fare causa allo Stato per gli anni ingiustamente trascorsi in prigione. Ma tutto questo, appunto, lo leggiamo, mentre sarebbe stato molto interessante vederlo sviluppare. Probabilmente avrebbe occupato un film di 4 ore e non di 2, ma alla fine avremmo probabilmente parlato di un capolavoro.
Le condizioni c'erano tutte. L'omicidio di tre bambini è già un fatto molto forte, in più l'accusa fondata veramente sul nulla a ragazzi la cui unica colpa è quella di essere poco simpatici e molto anticonformisti, e la domanda che ha poi mosso l'interesse del regista: come conviviamo con il male?, come gestiamo la vendetta?, come ci rapportiamo ai pregiudizi morali della comunità?, come sopportiamo una perdita inspiegabile?.
Infine il fascino del tribunale, da sempre molto forte sulla cinematografia. Quanto sono stati resi grandi i "legal thriller" come "Codice d'onore", "JFK - Un caso ancora aperto", "Verdetto finale", dalle arringhe degli avvocati Tom Cruise, Kevin Costner e James Woods, tanto per fare degli esempi? Purtroppo anche questo aspetto viene meno, perché la parte "legal" sembra seguire la linea di tutto il film: piatto, lento, con pochissime impennate, che invece, con così tanti spunti, sarebbero state gradite. L'intento, non sbagliatissimo, è quello di far riflettere lo spettatore il più possibile con toni volutamente dimessi e un ritmo piuttosto lento, stratagemma che funziona ma non esalta il potenziale di cui si dispone.
Mancano ad esempio anche interpretazioni degne di questo nome. Fastidiosamente monocorde è Colin Firth che interpreta l'avvocato Ron Lax. Evidentemente se si tratta di tifare Arsenal è un conto, difendere dei ragazzi accusati di omicidio è un altro. Non va meglio con Reese Witherspoon, che è sempre un bel vedere anche se inizia ad assumere forme più quadrate che tonde, ma nei panni della madre di Christopher, Pam Hobbs, rimane un po' troppo nell'ombra mentre ci saremmo aspettati qualche lacrima e qualche strillo in più.
Malissimo quello che dovrebbe essere il protagonista: James Hamrick, ovvero Damien Echols, che di problematico ha solo il taglio di capelli. Molto bravo sembra invece il neo Harry Osborn di "The amazing Spider-Man 2: il potere di Electro", Dane DeHaan, che interpreta Chris Morgan, uno dei ragazzi la cui testimonianza viene tralasciata in tribunale e la cui interpretazione viene accantonata troppo presto nel film. Sarebbe stato un gran bel personaggio, peccato non sapere che fine faccia. Troppo breve il contributo di Elias Koteas che presta il volto a Jerry Driver, il giudice di sorveglianza di Damien. E anche qui peccato, perché lui difficilmente delude.
Piccolo gioco di parole per concludere. Damien: nomen... OMEN.
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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 07/05/2014 18.35.00
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