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Quattro donne, mogli, madri negli anni sessanta, riunite intorno ad un tavolo di gioco. Le loro quattro figlie, anni dopo, intorno allo stesso tavolo nell'occasione del funerale di una delle madri. Per la generazione anni sessanta, un confronto molto aspro tra donne costrette dalla società e da uomini molto forti o molto egoisti, comunque troppo assenti, e la speranza che le figlie impareranno dai loro errori. Per la generazione degli anni novanta, meno tensione, complice l'occasione comunque triste del funerale, ma comunque un momento intenso di confronto.
Gabriella (Margherita Buy), Sofia (Paola Cortellesi), Beatrice (Isabella Ferrari), Claudia (Marina Massironi) sono le protagoniste del primo atto, quattro madri borghesi che si riuniscono per giocare a carte a casa di Beatrice, che sta per partorire. L'insoddisfazione e la frustrazione di ciascuna per la propria vita – Gabriella, moglie e madre devota, tradita dal marito, Claudia costretta a rinunciare alla carriera per la famiglia, Sofia, moglie infelice e fedifraga, sono il pretesto per una serie di battibecchi più o meno affettuosi; la gravidanza di Beatrice è un tenue simbolo di speranza che il futuro possa essere meglio del presente.
Il secondo atto si apre sul funerale di una delle quattro madri, con le figlie che si stringono intorno a Giulia (Alba Rorhwacher), colpita dall'improvvisa perdita. Sara (Carolina Crescentini) è riuscita a diventare una pianista affermata, riuscendo dove la madre aveva fallito, sacrificando però forse la stabilità emotiva, Cecilia (Valeria Milillo) insegue una gravidanza che non arriva, Giulia deve fare i conti con i sensi di colpa e Rossana (Claudia Pandolfi) con la sua difficoltà nell'equilibrare la sfera intima con quella professionale.
Cast, come si suole dire, "d'eccezione" per l'ultima fatica di Enzo Monteleone ("El Alamein", "Ormai è fatta") tratta da una piéce teatrale di successo di Cristina Comencini.
Anche stavolta, però, come nei recenti "La Bestia nel Cuore" e "Bianco e Nero", Cristina Comencini rovina con uno sviluppo incerto e un andamento prevedibilissimo un'idea di base molto interessante; nel caso di "Due Partite", il confronto tra due generazioni di donne, quella del boom economico degli anni ‘60 e quella attuale.
C'è un evidente squilibrio tra la prima parte e la seconda, con la prima più lunga ed approfondita, ma molto meno credibile nei contenuti. Viene da chiedersi se negli anni sessanta quattro donne borghesi avessero davvero quel modo di parlare e di ragionare.
Le quattro figlie danno vita ad un confronto più realistico e inevitabilmente interessante per la sua attualità; purtroppo il tempo a loro dedicato è poco, e così una volta saputo per ognuna se le speranze della madre sono state disattese o meno, il film, semplicemente, finisce.
"Due Partite" vuole procedere per deduzione, dal particolare all'universale, prendendo quattro donne borghesi e benestanti, in epoche diverse, e proporre un ragionamento sull'evoluzione del ruolo della donna, peraltro finendo con l'asserire che pur con tutti i cambiamenti e le conquiste ottenute, la situazione non è che sia cambiata in meglio.
Poichè mostrare solo un certo tipo di realtà (ma ormai sembra che la borghesia di cui fa parte l'attuale generazione di registi e autori italiani sappia raccontare solo se stessa, o meglio la percezione di sè) è evidentemente riduttivo, anche se ci si limita soltanto alla realtà italiana, ed è anche un pò anacronistico, si poteva puntare maggiormente sul confronto generazionale, ridotto però a poco più di una macchietta. Anche l'incapacità di liberarsi dal retaggio della commedia all'italiana tentando continuamente di alternare momenti drammatici a momenti divertenti è un limite grave non solo di Due Partite ma di gran parte del cinema italiano (soprattutto quello dei "figli di..." ) e non giova alla credibilità del film.
Altro fattore soprendente è che, nonostante la voluta assenza di ruoli maschili, la vita di queste otto donne sembra girare intorno al loro rapporto con i rispettivi uomini, siano essi mariti, amanti o compagni. L'elemento centrale delle loro vite è il modo in cui si rapportano con la presenza (o assenza) della figura maschile, assumendo pertanto a prescindere un ruolo psicologicamente subordinato nei suoi confronti. L'unica differenza tra le madri e le figlie sembra essere la maggior debolezza di (alcune) figure maschili di oggi, la capacità e la necessità cioè delle donne contemporanee di essere la figura "forte" della coppia. Paradossalmente, la felicità non sembra venire neanche da questo ribaltamento e, fatta eccezione per i personaggio di Alba Rorhwacher (per la delicata situazione che vive nei fatti del film), tutte le donne raccontate da "Due Partite" sembrano essere semplicemente infelici e frustrate, latentemente o coscientemente.
Il lavoro di Monteleone, solitamente interessante, sembra appoggiarsi troppo sull'impianto teatrale dello script. Alcuni dialoghi e monologhi funzionano davvero poco e sembrano davvero scritti per il palcoscenico; il cinema vive di regole, e tempi ben diversi. Chissà se un montaggio alternato tra passato e presente non avrebbe ad esempio giovato al ritmo del film ed alla caratterizzazione dei personaggi. Nel modo in cui è presentato, la seconda parte risulta molto meno approfondita e soprattutto piuttosto inutile rispetto alla prima, di cui rimane solo una logica emanazione, un gioco a scovare le piccole differenza tra madre e figlia, o le somiglianze.
La parte negli anni sessanta, eccessivamente in risalto (vedere anche a tal proprosito la scelta della colonna sonora), non convince e sono proprio alcune delle interpretazioni a risultare un pò fredde e costruite: chissà se Paola Cortellesi non avrebbe funzionato meglio nella quaterna contemporanea, ad esempio, ma anche Marina Massironi sembra un po' forzata. Margherita Buy ed Isabella Ferrari invece riescono a creare due personaggi convincenti, anche se poi il risultato finale è quello di un'idealizzazione di quegli anni dal punto di vista visivo (vestiti, acconciature...), una sorta di "Happy Days" al femminile, ugualmente nostalgico e fittizio con una costruzione dei dialoghi invece poco credibile. Molto migliore l'interazione tra le quattro "figlie" (meno primedonne?), resta davvero il rimpianto di doverle lasciare così in fretta.
La carrellata finale di primi piani sorridenti, infine, risulta piuttosto fastidiosa: cosa vuole comunicare, oltre ricordarci le interpreti? Aggiungere un carico emotivo gratuito in extremis abbinando l'intensità di otto volti a "Se telefonando" di Mina, nella speranza sperando che almeno la musica tocchi qualche corda nello spettatore?
Molto meglio riusciti i titoli di coda, con degli "outtakes narrativi" che mostrano momenti della vita delle donne di cui abbiamo sentito parlare o intuito durante il film.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 20/03/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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