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Nel 1979, l'anziano dottor Park Jung-nam viene a sapere che l'ospedale dove iniziò il suo apprendistato sta per essere demolito e, sfogliando il suo vecchio album di fotografie, torna indietro con la memoria al 1942, ai tempi dell'occupazione giapponese della Corea.
Inizia con questo brevissimo prologo il promettente debutto di Jeong Beom-sik e Jeong Sik, che fin dall'incipit manifestano la volontà di prendere le distanze dai recenti (e bruttissimi) horror coreani di ambientazione ospedaliera, come "The Cut" e "Return", bolsi ed ipertrofici nel loro inseguimento a tutti i costi degli stereotipi del thriller americano.
"Epitaph" ha invece un tocco curiosamente retrò, dettato non solo dall'ambientazione ma anche dalla fotografia e dalla colonna sonora, e sembra semmai ispirarsi alla più sofisticata tradizione giapponese della ghost-story classica.
All'interno dell'Anseng Hospital si intrecciano tre storie simultanee di amore e morte, che vedono testimone, ed in un caso protagonista, proprio il narratore: è infatti un giovanissimo dottor Park a restare turbato e pericolosamente affascinato dall'arrivo all'obitorio di una bellissima ragazza suicida, rinvenuta annegata in un fiume ghiacciato.
Nella seconda storia Asako, l'unica sopravvissuta di un incidente stradale in cui ha perso la sua famiglia, è ossessionata dal fantasma della madre morta.
Il terzo segmento vede invece protagonisti il chirurgo Dong-won e sua moglie In-young, apparentemente coinvolti negli inspiegabili assassinii di alcuni soldati giapponesi.
I registi adottano una struttura a puzzle, fatta di flashback multipli e di progressivi slittamenti temporali, che però non si ricompone in un intarsio perfettamente coerente. I tre episodi convivono ma non si incontrano mai, o tuttalpiù si sfiorano fugacemente, e se questa può essere considerata la principale debolezza del film, gli impedisce anche di ritrovarsi costretto in una gabbia troppo rigida: il dottor Park porterà con sé il peso di quella notte per tutta la vita, mentre Lee, uno psichiatra dell'ospedale, cercherà disperatamente di salvare Asako, sconvolta dal senso di colpa, e Dong-won di vendicare sua moglie, ma le conseguenze saranno fatali per tutti.
L'atmosfera è più da romance gotico che da horror tout court, anche se non mancano i momenti topici del genere come le terrorizzanti apparizioni della madre di Asako, che ritorna dall'aldilà per spazzolarle i capelli.
L'impressione generale è che i Jeong non credano fino in fondo al lato orrorifico delle storie narrate, ma che preferiscano usarle come pretesto per esercizi di stile, come nella scena straniante in cui la madre ed Asako (e lo scopriamo gradualmente, mentre la camera si allontana) si ritrovano davanti ad un set che è solo una fotografia ingrandita, o nei continui cambi di fuoco.
Non mancano le citazioni, com'è giusto che sia in un'opera prima: la storia di Asako è pesantemente debitrice, per certe abbaglianti soluzioni di regia, al sorprendente cinema di Park Chan-wook, mentre il twist finale (per una volta giustificato) della storia di Dong-won è accompagnato dagli striduli violini di Bernard Herrmann, direttamente da "Psycho".
"Epitaph" è visivamente raffinatissimo (meravigliosa la sequenza dei pannelli scorrevoli, che si aprono su altrettanti piani temporali), anche grazie alla scenografia di Lee Min-bok e Kim Yu-jeong ed alla magnifica fotografia di Youn Nam-joo, ed evita il look iperlaccato di molte produzioni coreane, mentre la struggente colonna sonora di Park Young-ran accompagna questo sognante e malinconico viaggio nella memoria, che mescola il bianco della neve ed il rosso del sangue.
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Recensione a cura di Nicola Picchi - aggiornata al 08/03/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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