Voto Visitatori: | 7,02 / 10 (291 voti) | Grafico | |
Nel 2004 il ciclone Michael Moore irrompe a Cannes e conquista una Palma d'oro politica in un festival molto politico, e la dedica "ai ragazzi in America e in Iraq, e a tutti coloro che soffrono per gli errori degli Stati Uniti"; dopo aver gridato alla giuria: "Ma cosa avete fatto? Avete fatto tutto questo per mettermi nei guai?" E in effetti il film (con la vittoria a Cannes) avrebbe potuto effettivamente metterlo nei guai, perchè racconta, con minuzia giornalistica, le bugie dell'amministrazione Bush e ne denuncia gli errori.
Perchè "per una bugia e tanti errori Bush ha portato l'America in guerra, per il petrolio e per le relazioni della sua famiglia ha mandato tanti giovani a morire".
Avrebbe potuto metterlo nei guai perchè il film è un implacabile atto d'accusa contro il presidente americano George W. Bush e i collaboratori che s'è portato alla Casa Bianca, dopo una vittoria elettorale non proprio limpidissima, che tanti dubbi sulla sua legittimità ha lasciato dietro di sé.
E non c'è neppure un fotogramma senza che quell'atto d'accusa non trovi una sua valida giustificazione.
Il titolo del docufilm si rifà, plagiandolo un po', al titolo del romanzo di Ray Bradbury, "Fahrenheit 451", e l'accenno di plagio è ancora più evidente nei sottotitoli: laddove il romanzo recitava "The temperature which books burn" (La temperatura a cui il libro brucia), il film recita :"The temperature where freedom burns" (La temperatura a cui la libertà brucia). Ma tuttavia è un tentativo di plagio tutto sommato necessario, perchè spiega benissimo il motivo di un titolo così e dà subito l'idea di cosa tratta l'opera di Moore.
Il film nel suo susseguirsi di gag, battute e trovate comiche, non si limita ad esporre tutta una serie di fatti, più o meno scottanti, riferibili a George W. Bush, ma si spinge al di là della superficie, per scavare in profondità e arricchire la sua analisi di ogni più piccolo dettaglio, fino a tramutarsi in un vibrante colpo assestato alla credibilità, già parecchi traballante, del suo "nemico pubblico n ° 1" e del suo clan di impresentabili.
Il docufilm si apre con il pasticciaccio brutto delle elezioni presidenziali del 2000, che portarono alla elezione di Bush Jr. alla Casa Bianca, con tutto un contorno di brogli elettorali, culminati nella negazione del diritto di voto agli afro-americani della Florida (stato del quale era governatore suo fratello Jeb) e nel "mistero" del riconteggio dei voti.
Voti che davano la vittoria, fino all'ultimo, ad Al Gore, lo sfidante, e poi a sorpresa, all'ultimo minuto, a Bush.
Il film si sofferma poi sui misteriosi legami (tornati di scottante attualità, dopo il recente, drammatico, e (in un certo senso) oscuro avvenimento pakistano) tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden, giostrati dalla famiglia reale saudita, nella Carlyle Group - una delle più grandi società a capitale privato del mondo, che si occupa, tra gli altri, della fabbricazione di aerei militari e missili aerospaziali, controllata dall'entourage di Bush, in cui si fondono gli interessi delle rispettive famiglie.
I Bin Laden hanno investito nella società qualcosa come 1,3 miliardi di dollari e Bush jr., in passato, è stato direttore di una filiale del gruppo Carlyle e, insieme al padre, ha ricevuto onorari da questa società fino agli attentati dell'11 settembre 2001, data alla quale la famiglia Bin Laden è stata costretta a ritirare i suoi capitali dalla società - ponendo l'accento sulle strumentalizzazioni politiche seguite agli attentati dell'11 settembre alle Twin Towers, che portarono a propagare nella nazione quel culto della paura, per giustificare l'attacco militare all'Iraq di Saddam Hussein, accusato di essere corresponsabile dell'attentato stesso e di possedere armi di distruzione di massa.
Da qui in avanti il film diventa un reportage sociopolitico, diventa potente, toccante, commovente, tutto teso a dimostrare le conseguenze di quel grande inganno che è stata (che è) la guerra in Iraq e la disillusione del "sogno americano", che serpeggia sia tra i militari in mezzo alle rovine di Bagdad che tra le famiglie dei soldati. Ed eccoli quei ragazzi senza speranza di lavoro, reclutati con circonvenzione dall'esercito, nella parte povera e nascosta degli Stati Uniti.
Quella madre entusiasta della guerra che ora piange disperata la morte del figlio caduto in Iraq, che è un po' l'emblema di quella disillusione: "ci ha fatto venire qui per niente, mamma", scrive nella sua ultima lettera.
Vedere Fahrenheit, anche adesso, a cose quasi concluse, lascia increduli e senza fiato, ed anche se ciò che ci mostra Moore è enfatizzato dalla sua dichiarata avversità per tutti i componenti dell'Amministrazione Bush (Bush in testa), il film rimane un documento storico molto importante su come sia stato possibile che la più grande democrazia del mondo si sia potuta affidare ad un uomo incompetente, incapace, sciocco, e a tutta la sua corte di manipolatori, trafficanti e reazionari, che non sanno nascondere la portata degli enormi interessi che stanno dietro le loro azioni ( ma noi italiani non possiamo assolutamente stupircene).
Quello che sconcerta è che le immagini che vediamo non sono frutto di manipolazione cinematografica per screditare i protagonisti (i protagonisti si screditano da soli), Moore si limita ad un lavoro di montaggio, combina immagini, monta spezzoni di filmati autentici, mostra le espressioni, tutt'altro che intelligenti, del Presidente USA, confronta dichiarazioni che si contraddicono da sole, fornisce testimonianze, documenta la sua rabbia nei confronti di un personaggio che lo ha deluso come politico e come uomo.
La forza di Moore risiede nella sua capacità di saper mettere in scena il grande inganno della presidenza Bush, che, sin dagli esordi, ha avuto come obiettivo politico, l'insabbiamento.
E non solo sui particolari oscuri del suo passato, ma anche sul momento della sua elezione come Presidente degli Stati Uniti, quando è riuscito (o chi per lui) a truccare l'esito reale di quelle votazioni, con un pugno di voti che nemmeno esistevano (non per niente è (era?) "amico" del nostro premier).
"E se fosse stato solo un sogno?", si chiede Moore all'inizio del film. Purtroppo non è stato solo un sogno, è stata realtà, è stato solo un grande inganno. Tra esclusioni, voti non conteggiati o conteggiati male, fatto sta che è diventato Presidente un uomo che ha ingannato alla grande il suo paese. Un uomo che ha visto fallire tutte le imprese che ha presieduto, che si è dimostrato un figlio di papà ricco e viziato. Un uomo dal dubbio passato militare, poi diventato guerrafondaio, con le mani in pasta nelle industrie costruttrici di armi, un petroliere che ha fatto guerra a due nazioni ricche di grandi giacimenti petrolifici.
Un Presidente grande assenteista, che ha pensato più al golf e alla caccia che agli affari di stato. Un Presidente che ha fatto dell'insabbiamento la sua principale linea politica.
E quale è stata la risposta del popolo americano a tutto ciò? L'ha rieletto (e anche qui noi italiani siamo maestri).
Comunque la parte che precede l'Iraq è quella che più ci dà l'idea della pochezza intellettuale e politica dell'uomo che è stato "il più potente del mondo".
Moore lo ridicolizza, lo prende in giro, indugia frequentemente, ingrandendoli, sui suoi occhietti da pesce lesso, velati sempre da un'ombra di ottusa arroganza. Ci mostra il momento in cui , la mattina dell'11 settembre , mentre si trova in visita presso una scuola elementare di Sarasota in Florida, apprende impassibile la notizia dell'attentato alle Torri Gemelle di New York. Ed anche quando viene informato del secondo schianto, quando è chiaro a tutti che il suo paese è sotto attacco, lo vediamo, calmo, sereno, immobile al suo posto, posare tranquillo per le telecamere, intento a sfogliare un libro di favole, senza tradire nessunissima reazione, lo sguardo perso nel vuoto, in cerca di qualcuno che gli suggerisca cosa fare. Sembra così incredibile che per un attimo si ha la sensazione che non sia tutto vero, che il fatto non sia autentico. E invece no, è tutto certo, documentato e reale.
Ma cosa è stato veramente l'11 settembre?
Moore è andato a rovistare negli archivi, a spulciare documenti, a visionare filmati, per arrivare alla conclusione che date, connivenze politiche, rapporti di forza, e alleanze rivelano che dietro l'11 settembre si nascondono giochi di potere, relazioni d'affari e interessi economici.
Tutte verità inconfessabili che, insieme alle minacce ignorate ad arte e ai rapporti dell'FBI disattesi, Bush e il suo entourage non potevano non sapere da ben prima dell'11 settembre cosa stava per accadere, e che successivamente hanno portato a costruire a tavolino una politica del terrore per giustificare guerre lontane contro dittatori che tra le tante colpe detenevano la più grave: quell'oro nero da cui dipendono le economie dei paesi che "governano il mondo". E fa effetto sapere che l'America e il mondo vivano nella paura per un complesso e scellerato calcolo politico/economico di un ristretto gruppo di persone il cui unico obiettivo è quello di far soldi sulla pelle della povera gente, grazie alle guerre in Medio - oriente e grazie alla successiva ricostruzione su cui ha già messo gli occhi la Halliburton, un'impresa in cui Bush e il vice Cheney hanno interessi personali molto forti.
Da qui in aventi il film diventa una sorta di reportage che oscilla tra l'esilarante e il tragico, con le immagini dei Bin Laden che lasciano frettolosamente l'America in aereo, anche se era off limits sorvolare lo spazio aereo americano.
Ma anche con le immagini dei prodotti lanciati sul mercato USA dopo l'11/9, o la campagna dello stesso Moore, in giro per Washington munito di megafono per leggere il famoso (e famigerato) Patriot Act, un documento votato e approvato dai deputati Usa senza averlo mai letto, per finire con la provocazione verso gli stessi deputati che vanno verso il Congresso, ai quali Moore distribuisce il fac-simile della domanda di arruolamento affinché la facciano compilare ai loro figli, per mandarli a "difendere la patria" in Iraq.
Esaurito (o accantonato) l'argomento Bush il film si focalizza poi sugli effetti della guerra tra le famiglie e tra i giovanissimi soldati, con le immagini scioccanti delle nuove torture inflitte ai prigionieri iracheni, fino ad arrivare alla dichiarazione dei soldati che non ne vogliono più sapere di quella sporca guerra, ma anche alle immagini dello strazio dei familiari dei caduti che, oltre al dolore per la perdita, si ritrovano la beffa di vedersi consegnare l'ultima busta paga del congiunto, decurtata dei giorni mancanti alla paga. Ma c'è molto altro in questo documentario che Moore non vuole approfondire. Ma Moore è così, bisogna accettarlo per quello che è: un acceso e appassionato polemista che vuol far conoscere a tutti, a chi è d'accordo e a chi è in disaccordo con le sue tesi, il valore della democrazia, anche quando questa è calpestata o disattesa.
La sua è soprattutto una voce fortemente polemica che vuol farci sentire tutto lo sdegno che prova contro i personaggi che prende di mira e che, senza cercare di convincere nessuno, ci ricorda che siamo figli di questi avvenimenti.
Commenta la recensione di FAHRENHEIT 9/11 sul forum
Condividi recensione su Facebook
Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 20/05/2011 15.25.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
Ordine elenco: Data Media voti Commenti Alfabetico
in sala
archivio