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"The Waiting Place... for people just waiting. Waiting for a train to go or a bus to come, or a plane to go or the mail to come, or the rain to go or the phone to ring, or the snow to snow or waiting around for a Yes or No or waiting for their hair to grow. Everyone is just waiting."
Theodor Geisel (Dr. Seuss): "Oh, The Places You'll Go!"
La definizione più semplice della parola Frattura è: lo spezzarsi di un corpo rigido ed il suo risultato. O più semplicemente: soluzione di continuità, rottura.
In meccanica, la definizione di Punto di Rottura è: il limite estremo di resistenza oltre il quale un materiale sottoposto a sollecitazioni si spezza in due parti (producendo una frattura).
Thomas Crawford (Anthony Hopkins) è un industriale aeronautico esperto nell'individuare il punto di frattura dei materiali, e nel suo caso specifico dei metalli. Questa sua attitudine viene mostrata allo spettatore fin dalle prime immagini in cui l'uomo consegna ai suoi dipendenti una lastra con l'ingrandimento del punto di rottura probabilmente della fusoliera che stanno esaminando.
Come spiega anche nel corso del film, il protagonista ha sempre avuto, fin da bambino, la capacità d'individuare il punto debole delle cose. Nella fattispecie egli fa l'esempio delle uova e del punto di frattura del loro guscio. Crescendo, Crawford ha sviluppato questa sua attitudine applicandola tanto nel lavoro, quanto nei rapporti interpersonali. Quindi egli afferma di essere in grado di scoprire il punto di rottura, il punto debole, non soltanto dei materiali, ma anche quello delle persone così come quello delle situazioni, fino ad arrivare a quello del Sistema Giudiziario Americano.
Da questa premessa è facile comprendere perché il titolo originale di questo film sia appunto "Fracture". Quello che resta più difficile capire è perché il titolo italiano sia invece "Il Caso Thomas Crawford".
Direte voi: forse è intitolato così perché è il nome del protagonista?
Ebbene neppure questo è vero! Nella versione originale, il personaggio interpretato da Anthony Hopkins si chiama Theodore Crawford. Proprio così: non Thomas, ma Theodor, come il nome di battesimo del poeta Geisel, celebre autore statunitense di numerose poesie e di libri per bambini, meglio noto con il nome di Dottor Seuss. Un caso? Non sembrerebbe, dato che durante il film William Beachum (Ryan Gosling) legge un lungo estratto della poesia "Oh, The Places You'll Go", una delle ultime opere scritte da Geisel.
Quindi se il titolo originale del film è Frattura e se il suo protagonista si chiama Theodor, perché in Italia questa pellicola è stata intitolata "Il Caso Thomas Crawford"?
Ora si deve ammettere che non è sempre cosa facile andare ad esaminare gli insidiosi meandri cerebrali (non troppo dissimili a semplici gangli nervosi) delle eminenze grigie che amministrano la Distribuzione cinematografica italiana, tuttavia in questo caso non sembra così difficile risalire alle cause di questa scelta.
Il titolo imposto dalla Distribuzione ha un'assonanza evidente con celeberrimo film della fine degli anni sessanta: "Il Caso Thomas Crown" ("The Thomas Crown Affair", 1968). Si tratta di una pellicola ormai datata e da molti dimenticata, ma è anche un film che all'epoca riscosse un enorme successo e che poco meno di dieci anni fa ha avuto un remake: "Gioco a due" ("The Thomas Crown Affair", 1999), cui paradossalmente ed inspiegabilmente, ancora una volta fu cambiato il titolo.
Appare evidente che la Distribuzione, probabilmente poco fiduciosa nelle sorti del film, ha preferito affibbiargli un titolo che fosse di maggior richiamo anche se solo sotto un profilo evocativo della memoria. E questo si sposerebbe anche bene con il fatto che l'uscita del film nelle sale italiane è stata posticipata di vari mesi. Se vi fossero altre ragioni latenti per questo cambiamento di titolo, in questa sede non ne siamo a conoscenza, ma, anche se vi fossero, si reputa che sarebbe stato opportuno mantenere il titolo originale.
Infatti il titolo "Il Caso Thomas Crawford" e il conseguente mutamento del nome del protagonista, ha in un certo senso denaturato quest'opera, spogliandola della propria coerenza intrinseca, che è anche la sua caratteristica principale e più pregevole.
Perché ci si offende tanto per un cambiamento di nome? Per il semplice fatto che, quando un autore costruisce la propria opera curandone anche i dettagli più insignificanti, si reca torto ed offesa tanto a questi quanto al pubblico, che non ha l'occasione di cogliere il gioco cui l'autore lo ha invitato. Forse è inutile dire che tutti i nome che compaiono durante le scene del film, come ad esempio i nomi sui fascicoli di alcuni procedimenti, o quelli di alcuni giudici sono in realtà i nomi di varie persone del cast tecnico del film...O forse non è inutile dirlo...Chissà?
Fatto sta che questo film è costruito come un gioco, con quella stessa meticolosa precisione di quegli affascinanti marchingegni che il protagonista si diletta a costruire (e che nella realtà sono opere "cinetiche" dall'artista tedesco Mark Bischof).
Trattandosi anche di un film appartenete al cosiddetto genere del Legal Thriller, ma anche di un'opera densissima di citazioni letterarie quasi mai spiegate, in questa sede si reputa assai grave andare a denaturarne lo script alterando senza giusta causa le parole che la compongono e che sono state scelte con evidente cura dagli autori.
Passiamo ora all'analisi di questo film che d'ora in poi, sia per comodità, sia per giustizia, chiameremo "Fracture".
Questa pellicola, costruita appunto come un gioco sofisticato, ma semplice al tempo stesso, si presenta come un thriller giudiziario, un genere cinematografico piuttosto noto e caro al regista Gregory Hoblit. Questi ha infatti diretto per la televisione alcuni episodi di "L.A. Law", di "New York Police Department Blue", di "Hill Streets Blues", il primo episodio di "Equal Justice" e per il cinema il thriller giudiziario "Schegge di Paura" ("Primal Fear", 1996) e "Sotto Corte Marziale" ("Hart's War", 2002).
Regista elegante e formale, Hoblit non si concede particolari virtuosismi visivi ed artistici, ma si limita a presentare i personaggi e a narrare la storia con quella fredda e distaccata chiarezza che dovrebbe avere un procedimento giudiziario. In "Fracture" egli si concede comunque alcune inquadrature più meramente estetiche ed eleganti, sempre perfettamente integrate con la trama, come quelle che riprendono i due amanti all'inizio del film o come quelle che seguono il moto cinetico delle bilie di vetro che percorrono le scanalature metalliche delle macchine costruite da Crawford. Una regia pulita e senza sbavature che regala unità, eleganza e compattezza alla storia narrata.
La vicenda è piuttosto lineare, ma al contempo macchinosa.
"Escluso l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile deve essere la verità".
Così scrisse circa un secolo fa Arthur Conan Doyle.
La bellezza di questa storia consiste nel fatto che non ruota intorno al mistero dell'identità di un colpevole. Crawford è a conoscenza del tradimento della moglie e per questo le spara in piena faccia precipitandola in uno stato di coma. Questo il regista lo mostra nelle prime sequenze. Eppure la storia si evolve sotto lo sguardo vigile dello spettatore, creando misteri affascinanti come quello che concerne la pistola, la cui soluzione è proprio lì, davanti ai vostri occhi, semplice e chiara, ma al tempo stesso camuffata con sapienza.
Si tratta di un espediente narrativo piuttosto originale, che cattura l'attenzione e che rende lo spettatore partecipe di tutta la vicenda.
In altre parole "Fracture" racconta una storia semplice, lineare, ma originale e mai banale, né noiosa. I dialoghi sono ben articolati e finemente letterari.
Si notino le infinite citazione fatte da Crawford, attinte tanto da La Bibbia, quanto dalla letteratura in generale. Qui ne ricordiamo un paio:
"La conoscenza è dolore!".
(una libera citazione dal libro di Qoelet)
"Anche un orologio rotto è giusto due volte al giorno".
(Lewis Carroll)
Ma anche il gli altri personaggi non sono da meno, a partire dai giudici fino al sostituto procuratore Beachum che, come accennato all'inizio, legge alcuni versi della citata poesia di Theodor Geisel.
"Fracture" è un felice connubio di letteratura, problematiche legali, dilemmi etici, analisi sociale e umana. Esso affronta con una freddezza analitica e con un sapiente distacco temi come l'amore, l'odio, l'ambizione, la competizione sia fisica sia intellettuale, il narcisismo, il senso di giustizia, la crudeltà, l'ascesa sociale, l'inganno e il tradimento nelle loro manifestazioni più minimaliste. Il tutto ben miscelato all'interno di una storia che si prefigge il solo scopo di intrattenere e non quello di educare.
Il ritmo della narrazione è compatto e mai tedioso. Esso coinvolge lo spettatore, stimolando la sua curiosità e ponendolo di fronte ad una spietata ed inesorabile ascesa del male che culmina con l'inquadratura di un macchinario che viene spento, un respiratore che cessa di funzionare e una linea su un monitor che diventa piatta.
Se il film si fosse fermato a quel punto, sarebbe stato un'opera non solo coraggiosa, ma anche affascinante nel suo genere.
Ma, ahimè, siamo ad Hollywood, dove il buonismo imperante ed il politically correct la fanno da padroni. Ed è così che gli sceneggiatori hanno aggiunto quei dieci minuti finali di film che rovinano l'opera, precipitandola nel calderone delle più consunte banalità.
Si ricordi che anche Dino De Laurentis (e il paragone è tutt'altro che casuale) fece il diavolo a quattro, cambiando tre sceneggiatori, pur modificare il finale di "Hannibal" (2001) rispetto a quello del libro di Thomas Harris. E questo perché? Perché in America raramente è ammissibile il trionfo del male. Si veda ad esempio le polemiche e gli scarsi risultati al botteghino di un film come "Arlington Road" (1999). Ma si veda anche un altro buon film diretto proprio dallo stesso Gregory Hoblit e che non riscosse molti consensi: "Il Tocco del Male" ("Fallen", 1998). Dopo quel film il regista ha dovuto girare due pellicole intimamente e profondamente buoniste quali "Frequency" (2000) e il già citato "Sotto Corte Marziale".
Con "Fracture" Hoblit sembrava essere ritornato alla propria sapiente capacità di descrivere il male ed il suo trionfo. Benché il finale del film sia fondamentalmente aperto e si manifesti quasi come un pareggio fra i due protagonisti e la riapertura di una partita ancora tutta da giocare, esso in realtà afferma che il sistema giudiziario funziona malgrado tutto, malgrado quella sua frattura che Crawford è riuscito così abilmente ad individuare e a sollecitare. Peccato! Questa scelta fa scadere enormemente il valore della pellicola.
È vero che la sollecitazione del punto di frattura del protagonista da parte del giovane sostituto procuratore potrebbe sembrare la classica chiusura del cerchio e che il far leva sul narcisismo intellettuale di Crawford potrebbe apparire un elemento che ben si integra con la trama narrata. Tuttavia, la soluzione finale sembra una forzatura derivante dal fatto che il sistema non può ammettere di essere stato sconfitto.
Passando rapidamente al cast artistico, appare evidente che esso sia di ottimo livello.
Si deve tuttavia constatare che Anthony Hopkins, benché la sua interpretazione sia indiscutibilmente molto buona, risulta esser in parte prigioniero, o forse solamente nostalgico, del personaggio di Hannibal Lecter. Se questa impressione derivi da un vizio di recitazione o da un vizio di regia, questo è difficile dirlo. In ogni caso qualsiasi spettatore avrà notato una certa somiglianza fra il modo in cui Hopkins dà vita al personaggio di Crawford e al modo in cui ha dato vita a quello di Lecter. Addirittura, durante l'incontro fra Crawford e Beachum in carcere, Hopkins muove poeticamente e con un ritmo fluido ed armonioso la mano destra come se stesse seguendo una melodia. Impossibile non rivedere la mano del dottor Lecter ne "Il Silenzio degli Innocenti" che accompagna la musica delle "Variazioni di Goldberg" di Bach eseguite da Glenn Gould.
A parte questa considerazione, Hopkins dà vita ad un personaggio perfettamente credibile e sufficientemente inquietante. La sua recitazione è fatta da piccoli mutamenti dell'intensità dello sguardo, di ammiccamenti e strizzatine d'occhio, di sorrisi appena accennati a volte ingenui, altre spietati.
È perfettamente in parte Ryan Gosling. Ma se la riuscita del suo personaggio sia merito suo o piuttosto del direttore del casting che lo ha scelto, questo non ci è dato di sapere.
Ottimi tutti i comprimari, tutti perfettamente credibili e verosimili.
Appare doveroso ricordare i nomi di Billy Burke che interpreta il poliziotto Robert Nunally, David Strathairn che interpreta il procuratore distrettuale, Rosamund Pike che presta il proprio volto al seducente avvocato Nikki Gardner, Fiona Shaw carismatica nel ruolo del giudice Robinson.
Si deve segnalare anche un errore sostanziale. Quando Crawford racconta, vantandosi, di come abbia sparato in faccia alla moglie colpendola allo zigomo sinistro, o sta mentendo (e non ce ne sarebbe nessun motivo) o gli sceneggiatori hanno sbagliato dal momento che quel tipo di ferita non è compatibile con la lesione descritta dai periti durante il processo. Inoltre si deve considerare che un proiettile sparato da un'arma di quel calibro (forse 45?) a distanza ravvicinata difficilmente avrebbe potuto restare nel cranio della vittima, piuttosto lo avrebbe fatto esplodere.
Complessivamente "Fracture" è un buon prodotto d'intrattenimento che fornisce ottimi spunti di riflessione e di approfondimento in molti campi come quello letterario, quello giuridico, quello psicanalitico e quello etico. Tratta con fascino il divario che separa la verità dall'accertamento della verità, la legge dalla giustizia, l'istituzione ed il giusto conferimento di un diritto dal diritto giusto. E mostra come quasi sempre i confini di ogni questione e di qualsiasi principio siano così labili e fragili...Proprio come se si trovassero sopra quella ineluttabile linea di frattura.
Benché "Fracture" sia un film superiore a tanti altri, che sbancano al botteghino, è facile supporre che presto purtroppo cadrà nel dimenticatoio.
Se poi si è disposti a chiudere un occhio su tutta la forzatura del suo mediocre finale, il film risulterà ancora più gradevole e degno di nota.
Un'occasione in parte riuscita e in parte sprecata, ma comunque un film da vedere (da evitare unicamente nel caso in cui voi foste amanti esclusivamente di pellicole adrenaliniche, piene di azione e prive di pause introspettive e di riflessione).
"Dite che ho sparato a mia moglie? Dimostratelo!".
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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 22/11/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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