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Les centres fermés sont inhumains et dangereux. Nous le savons. Les expulsions sont violentes. Nous le savons. (petizione del sito "Ouvrons les yeux sur les centres fermés" - www.ouvronslesyeux.be – contro i centri di detenzione e le espulsioni degli immigrati)
L'immigrazione è un fenomeno attuale che ha radici antiche e mai del tutto esplorate completamente.
L'esodo, spesso, ha avuto dimensioni bibliche ed è stato in grado di influenzare il mondo e il corso della storia. Esso, infatti, presenta notevoli implicazioni di ordine sociologico, politico, economico, culturale.
Le cause che spingono questa massa di gente a lasciare i loro paesi per intraprendere il "viaggio della speranza", con grandi sacrifici personali (ed anche economici), spesso a rischio della loro stessa vita, sono varie e complesse, a volte insondabili, molto spesso tragiche: guerre, miseria, fame, mancanza di lavoro, persecuzione politica, speranza di un futuro migliore.
Non sempre, anzi quasi mai, l'Eldorado, la "terra promessa" è benigna con loro, perché, purtroppo, non è il benessere quello che trovano da noi.
Oltre alla difficoltà di trovare un lavoro dignitoso, quello che più frequentemente esperimentano è: indifferenza, intolleranza, pregiudizio, razzismo.
Certo il fenomeno presenta tanti e vari problemi, che non sono facili da risolvere, ma che il più delle volte non siamo neppure in grado di gestire. Problemi aggravati dal fatto che molto spesso è la criminalità organizzata a gestire i flussi migratori clandestini, i quali clandestini, questi diseredati del mondo, una volta fatti entrare illegalmente nei vari paesi di destinazione finiscono per essere reclutati per i traffici illeciti della malavita stessa e fatti delinquere nel campo del commercio illegale, spaccio di droga, prostituzione, furti, ecc.
A volte però, quando riescono ad inserirsi a pieno titolo nella società occidentale, costituiscono un valore aggiunto per l'economia e per l'organizzazione sociale del paese in cui hanno scelto di vivere.
Vantaggi e svantaggi, però, non dovrebbero mai farci dimenticare che, dietro il fenomeno dell'immigrazione c'è l'immigrato, un nostro simile con i suoi pregi e i suoi difetti, la sua cultura e la sua storia, i suoi affetti e la sua affettività.
Un fenomeno scomodo, fastidioso, inaccettabile, che non dovrebbe farci mai dimenticare che tutti noi siamo "figli dell'emigrazione", figli di quelle navi stracolme di emigranti del sud e del nord Italia, in cerca di fortuna in "lamerica"; non dovrebbe mai farci dimenticare le "frecce del sud" e i "treni del sole affollati di terroni" con le loro valigie di cartone legate con lo spago, disposti ad accettare qualunque lavoro, ma anche a vedersi sbattere in faccia i portoni che affiggevano cartelli con su scritto "Non si affitta ai meridionali".
Di film, ma anche di documenti cinematografici che hanno come tematica il dramma sociale, attualissimo e doloroso dell'immigrazione clandestina ne sono stati già girati un buon numero, alcuni molto ben realizzati (basti pensare al recente "Welcome" di Philippe Lioret, ma anche a "L'ospite inatteso" di Richard Jenkins, oppure, andando un po' più indietro nel tempo, al piccolo gioiello dei fratelli Dardenne "Il matrimonio di Lorna" e all'intenso "In questo mondo libero" di Kean Loach).
Nella maggioranza dei casi sono film duri, indigesti, che suscitano ovunque, a seconda delle convinzioni ideologiche, polemiche o indignazione, meno che da noi, dove la discussione sul più drammatico problema dell'epoca, è precipitato ad un livello talmente basso, direi infimo, che ci vorranno tantissimi anni prima che riesca ad elevarsi ad un grado di civiltà accettabile.
In ogni caso restano film importanti, necessari, perchè, al di là dell'attuale indifferenza piuttosto generalizzata, alla lunga riusciranno a far breccia e a renderci consapevoli che dietro ai numeri e alle cifre statistiche sull'immigrazione, ci sono esseri umani in carne ed ossa, con le loro storie e le loro paure, la loro miseria e le loro speranze, i loro diritti e i loro doveri.
Intorno a questo problema il regista belga Olivier Masset-Depass ha realizzato un film duro e intenso, emotivamente disturbante, che fotografa la situazione nel suo paese, ma che possiamo tranquillamente generalizzarlo alla maggioranza dei paesi dell'Europa occidentale dove si è assistito, negli ultimi anni, ad un forte aumento del fenomeno dell'immigrazione clandestina.
Protagonista del film è Tania, donna delle pulizie, ex insegnante di francese, un figlio di tredici anni e tanta voglia di assicurargli un domani migliore.
Tania è russa (o bielorussa), ma questo è solo un dettaglio, perchè potrebbe essere rumena o marocchina, come sudamericana o mediorientale, o di qualsiasi altra parte del mondo, tanto la situazione non cambierebbe.
Da otto anni vive nascosta in Belgio, da clandestina lavora, rispetta le leggi,paga regolarmente l'affitto, parla perfettamente la lingua, manda il figlio a scuola e cerca, per quanto possibile, di integrarsi, ma rimane pur sempre una clandestina.
Una vita, la sua, resa ancora più difficile dal costante terrore di essere scoperta ed espulsa dal paese dove ha scelto di vivere. Tania però è una donna coraggiosa e molto concreta, non si fa illusioni per sè, ma l'amore per il figlio Ivan le fa affrontare con determinazione ogni difficoltà, compreso il pizzo che paga ad un mafioso russo per evitare complicazioni.
Da tempo cerca di ottenere il permesso di soggiorno, che le viene regolarmente negato.
Per evitare di essere identificata, un giorno non esita a bruciarsi i polpastrelli delle dita per cancellare ogni traccia delle impronte digitali e con esse, definitivamente, la sua identità.
Nonostante tutte le precauzioni però, il giorno del compleanno di Ivan, vengono fermate dalla polizia belga, mentre scendono alla fermata del bus e trovati senza documenti.
Ivan riesce a fuggire, mentre Tania viene arrestata e portata in un "democratico" centro di detenzione per immigrati irregolari, un compendio perfetto di tutti gli orrori e di tutte le umiliazioni che le società occidentali sanno offrire agli "ospiti inattesi".
Comincia così la sua odissea, comune a moltissimi extracomunitari, sulle cui teste pesa, come un macigno, la minaccia di un decreto d'espulsione.
La cosa più logica sarebbe quella di disperarsi e cadere in depressione, invece Tania non può: suo figlio è fuori e potrebbe finire tra le maglie della mafia russa.
E allora si ribella, lotta con ogni mezzo e con tutte le sue forze e fa tutto per ricongiungersi con suo figlio, per ricominciare a vivere e tornare a sperare, per quell'improvviso e imprevisto gesto di solidarietà.
Olivier Masset-Depasse gira un film che è insieme il ritratto di una madre coraggio e un messaggio di conciliazione.
Un film che mette a nudo, con agghiacciante lucidità, la natura arbitraria della realtà che abbiamo costruito per difendere i nostri egoismi, la nostra sicurezza, il nostro benessere, la nostra legalità. Un film che considera illegale non l'immigrato ma il sistema. Sono i centri di prima accoglienza (che, a dispetto del nome, di accogliente non hanno proprio niente) ad essere illegali, centri dove non si rispettano i diritti elementari di esseri umani che, nella stragrande maggioranza,hanno dovuto fuggire da situazioni per noi inimmaginabili e quando, dopo un viaggio di (s)fortuna, duro, difficile e pericoloso, sono arrivati nei nostri paesi, li abbiamo sbattuti nell'inferno di lager che noi chiamiamo centri di accoglienza e li trattiamo alla stregua dei criminali, anche se criminali non sono.
Illegal è un film di grande attualità, angoscioso e disturbante, che affronta la storia con piglio realistico e stile semi- documentaristico, obbligandoci a vedere la realtà senza il filtro di alcuna ideologia politica.
Si immerge nella vita dei disperati senza diritti e senza la speranza di un futuro migliore; indugia sui guasti di una burocrazia lenta, contorta e cavillosa, che cancella qualsiasi certezza umana e giuridica; entra nel mondo degli addetti al funzionamento del centro, mostrandocene il comportamento violento ed estremamente intimidatorio, ma anche quello di alcuni di loro che, violenti loro malgrado, sono essi stessi vittime del sistema e ingranaggi inconsapevoli dell'apparato repressivo, che vuole che il clandestino sia sottoposto alle più degradanti umiliazioni da fargli passare la voglia di tornare nel paese dal quale è stato espulso.
Il film ci conduce nell'alienante, claustrofobica e immota atmosfera dei centri d'accoglienza, dove le giornate scorrono lentamente, dove non c'è assolutamente niente da fare, dove i sensi, come la vita, si assopiscono e si perde la percezione della realtà.
Il film (ad eccezione di una breve introduzione iniziale) è girato prevalentemente nel chiuso di uno di questi centri (scoperto dal regista quasi per caso, perchè ubicato a poche centinaia di metri dalla sua abitazione), con la macchina a mano che rimane incollata addosso alla protagonista per tutta la durata del film, in un rapporto intimistico e sensoriale. Riesce così a catturarne pensieri e sentimenti, il suo dolore e la sua determinazione, portando lo spettatore ad entrare nel film e ad identificarsi con lei, a condividerne il dramma personale e il dolore costante, la paura e la debolezza che rende fragili e quindi ricattabili.
Costruito come un melodramma, "Illegal" è interpretato da Anne Coesens, attrice belga, già protagonista di altri quattro lavori di Masset- Depasse (due cortometraggi e due film), che offre il suo volto alla sofferenza di Tania in maniera magistrale e convincente, rendendoci partecipi della drammaticità della sua vita.
Film dalla tematica difficile e di impegno sociale, "Illegal" ci costringe a riflettere su una realtà che spesso preferiamo non conoscere (o fingiamo di non conoscere) e, nonostante lo schematismo tipico dei film denuncia, risulta un'opera efficace e necessaria, che regala anche momenti di tragica comicità (come nella scena della mensa nel centro di detenzione).
Il film, grazie alla solida regia di Olivier Masset-Depasse e all'interpretazione della Coesens è stato selezionato al Quinzaine di Cannes ed ha ricevuto la nomination al premio Lux 2010, riconoscimento per il cinema del Parlamento Europeo.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 17/12/2010 16.21.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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