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"Jean-Claude Van-Damme - pseudonimo di Jean-Claude Camille François Van Varenberg (Berchem-Sainte-Aghate, 18 ottobre 1960) - è un attore, regista, sceneggiatore e artista marziale belga. Dopo aver studiato intensamente le arti marziali sin dall'età di dieci anni, Van Damme realizzò un successo nazionale in Belgio come artista marziale e culturista, guadagnandosi il titolo di culturismo di "Mr. Belgium". Emigrò negli Stati Uniti nel 1982 per intraprendere la carriera di attore." (tratto da Wikipedia)
Il resto della storia è risaputo: Van Damme, in America, lavora in varie produzioni e partecipa a vari film in ruoli minori, svolgendo nel frattempo lavori di "routine". Questo fino al successo commerciale di "Bloodsport" ("Senza esclusioni di colpi"), in cui recita da protagonista, al debutto U.S.A. Di John Woo ("Hard Target", del 1992) e ad action movie come "Univarsal Soldier".
Ad una carriera costellata da successi e da film di dubbia qualità tecnica e artistica (la maggior parte usciti per l'home video) si affiancano vari problemi di natura sentimentale (cinque matrimoni, due dei quali con la stessa donna), giudiziaria e di salute (l'abuso di cocaina e la depressione).
Lo stile di vita e il percorso professionale intrapreso portano l'attore belga a scomparire lentamente dai circuiti del cinema "che conta" e ad accettare ruoli di qualsiasi tipo, partecipando ad una decina di film, tra la fine del ventesimo e l'inizio del ventunesimo secolo, di basso profilo. Questa discesa "fino all'inferno" sembra interrompersi improvvisamente nel 2008, quando una produzione franco- belga decide di rilanciare la figura dell'attore, portandolo persino sul tappeto rosso del Festival Internazionale del Film di Roma, con il film "JCVD" ("Nessuna giustizia"), in cui Van Damme recita (ebbene sì, "recita") nel ruolo di se stesso.
La trama è presto detta: Van Damme torna nella propria cittadina belga di origine, inseguito da problemi finanziari e dalla fallimentare causa per l'affidamento della figlia, alla ricerca di tranquillità. Presentatosi in un ufficio postale con l'intento di prelevare i soldi necessari a pagare la parcella del suo avvocato, rimane invischiato, suo malgrado, in un tentativo di rapina. I rapinatori, riconoscendo subito l'ostaggio, decidono di sfruttare la sua popolarità per negoziare con la polizia, che a sua volta crederà sia proprio Jean Claud l'artefice della rapina.
Il film è diviso in quattro capitoli e fonde con particolare efficacia realtà e finzione. Parte quasi come un biopic (o un mockumentary) ma sfocia ben presto nella commedia e nel dramma di un personaggio, per una volta, spogliato della propria aurea di star. Nonostante una fotografia satura e al limite del televisivo e una sceneggiatura non priva di retorica, il sesto lavoro di Mabrouk El Mechri ha ricevuto un caloroso benvenuto da parte della critica internazionale, limitandosi invece ad un tiepido successo di pubblico, che l'ha quasi snobbato data la scelta dei produttori di uscire direttamente in dvd.
La storia non è delle più originali, a metà strada tra "Quel pomeriggio di un giorno da cani" e "In fuga per tre" ma appare subito chiaro come tale abusata situazione sia stata inserita volutamente in un contesto non molto frequente per il cinema, quello di una star nel ruolo di se stesso in una situazione totalmente "di fantasia" (altri esempi di questo tipo li abbiamo avuti con "Essere John Malkovich" e, molto più alla lontana, con "The Last Action Hero"), nel tentativo di sferrare un attacco all'industria e ad altri uomini-simbolo di un certo tipo di cinema, di cui lo stesso Van Damme è icona.
Tra critiche ben poco velate verso colleghi attori e registi (incluso quello che lo ha portato alla fama per poi "abbandonarlo", John Woo), tra situazioni al limite del paradossale e vere e proprie prese di coscienza (il monologo finale), l'attore belga si prodiga in un atto di sincerità e umiltà, spogliandosi completamente delle vesti di star e abbracciando, per un attimo, un'idea di cinema visto non solo come macchina per far soldi.
Il risultato è un film che del tutto sincero non è (basti vedere i titoli a cui Van Damme ha partecipato dopo) ma che sicuramente si allontana dai canoni a cui Van Damme ci ha abituato nel corso degli anni.
Impossibile, tra l'altro, non fare un parallelismo tra questo e un altro film uscito lo stesso anno e che ha rilanciato un'altra icona del cinema (e non solo) anni novanta, oscurata anche lei dall'oblio del tempo: se però il "The Wrestler" di Mickey Rourke si propone come metafora di una situazione più ricorrente di quanto si pensi, non solo nel mondo del cinema, "JCVD" si rivela una vera e propria confessione, un mettere sul piatto le ultime cartucce disponibile, ma anche un atto d'accusa nei confronti di un sistema che mette alla berlina la vita privata più di quella pubblica, che consuma chi ci vive per poi liberarsene senza pietà, che giudica e non accetta di essere giudicato e che tende ad identificare un attore con il genere di film a cui partecipa: "È molto difficile per me giudicare le persone. Ed è molto difficile per le persone... non giudicare me, ma accusarmi.", dice Jean Claude.
Anche la struttura dei due film è diversa: se lo stile di "The Wrestler" è lineare, quasi documentaristico, quello di "JCVD" è ad incastro e si divincola tra meta-cinema, realismo ("Non è un film, è la realtà", dice lo stesso Van Damme) e fiction in senso classico.
Mabrouk El Mechri dirige in maniera impeccabile, non spinge troppo sul pedale della retorica e si concede qualche scena da antologia, a partire del bellissimo piano sequenza iniziale, passando per il già citato monologo dell'attore a tu per tu con la macchina da presa e arrivando al bello e coraggioso finale, amaro e niente affatto scontato. Fonde perfettamente ironia e amarezza ed equilibria le diverse anime del film, dimostra la sua abilità tecnica senza per questo scadere nell'autocompiacimento o nel barocchismo.
Van Damme, d'altro canto, dimostra una sensibilità e una capacità attoriale fino a questo momento impensabili. Certo, non è un mostro di bravura ma si mette in discussione e ci concede la migliore interpretazione della sua carriera. Peccato vederlo poi recitare nuovamente in film di dubbia qualità ("Universal Soldier: Regeneration", "Weapon", "Universal Soldier: The New Dimension"").
Ma si sa: si deve pur campare.
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Recensione a cura di Zero00 - aggiornata al 30/11/2010 11.34.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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