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"Eppure, mi è rimasto qualcosa per tutta la vita del mio passaggio – poco più di tre anni – nelle file esaltate e disordinate del Surrealismo. Quello che mi è rimasto, è innanzitutto quel libero accesso alle profondità dell'essere, riconosciuto e desiderato, quell'appello all'irrazionale, all'oscurità, a tutti gli impulsi che vengono dal nostro io profondo".
[...]
"Il cinema è lo strumento migliore per esprimere il mondo dei sogni, dell'emozioni, dell'istinto".
(Buñuel, Dei miei sospiri estremi.)
Dopo l'uscita di "Un chien andalou", Luis Buñuel diventò molto conosciuto nell'ambiente culturale delle avanguardie europee, ed entrò a far parte del gruppo dei surrealisti insieme a Salvador Dalì.
Per lui fu un'adesione piena e militante allo spirito etico del gruppo e non un trampolino di lancio per mire personalistiche, come fu per Dalì, per cui non pensò di sfruttare l'improvviso clamore intorno al suo nome per tentare la fortuna nell'ambiente ufficiale del cinema. Quello che voleva fare era continuare con il filone surrealista, portare avanti il suo intento di demistificare la natura umana e svelarne la vera essenza.
La difficoltà più grossa era quella di trovare i mezzi per realizzare le opere anticonvenzionali che aveva in testa, visto che era impensabile per Buñuel chiedere altri soldi a sua madre. Si fece allora avanti il Visconte di Noailles, che sborsò senza battere ciglio tutti i soldi necessari alla realizzazione di un nuovo film, dando a Buñuel completa libertà di azione.
Guardando quello che ne è venuto fuori, ci si meraviglia di questa generosità da parte di un rappresentante di una classe (quella aristocratico-borghese) così pesantemente criticata e quasi dileggiata nel film. Questo però è anche il controsenso di tutta l'arte avanguardistica del XX secolo, trattandosi soprattutto di arte fatta da borghesi che si vergognavano di essere borghesi, o meglio da borghesi che aspiravano ad essere qualcosa di diverso e opposto a quello che erano.
Per la sceneggiatura Buñuel provò ancora a collaborare a quattro mani con Salvador Dalì, ma stavolta fra i due non c'era più la perfetta intesa di una volta. Buñuel allora fece in pratica tutto da solo conservando solo qualche spunto suggeritogli da Dalì (come ad esempio la scena della persona che passeggia con una pietra in testa). Il film uscì in un unico cinema di Parigi nel dicembre del 1930 e fu uno dei primissimi film europei a utilizzare il sonoro. Anche stavolta il titolo è casuale e non c'entra nulla con la storia: "L'age d'or" ("L'età dell'oro"). Come in "Un chien andalou", si tratta più che altro di una storia simbolica (i personaggi non hanno nome né cognome), slegata da regole di unità di azione, luogo o tempo. Si concede però più tempo alla storia, con una cura maggiore nella rappresentazione e nello svolgimento delle scene, tanto da sembrare a volte un film di impianto "classico", anche se non mancano le trovate surreali e gli accostamenti simbolici. L'intento è sempre quello di svelare la natura torbida e irrazionale degli istinti umani, soprattutto quelli sessuali. In più si aggiungono temi politici e sociali più legati all'attualità dell'epoca (anticlericalismo, lotta di classe, ipocrisia e insensibilità dei ceti più ricchi). La novità stilistica di questo film è però l'uso del mezzo preferito dai surrealisti per diffondere le proprie idee, cioè lo scandalo. E lo scandalo prodotto da questo film sarà così clamoroso che sarà tolto dalla visione pubblica per 50 anni.
Il film si apre con un prologo in cui si descrive la vita degli scorpioni, a mo' di documentario scientifico. Stilisticamente serve per mostrare come anche la natura sia "cattiva", diversa dall'idea buonista che solitamente ce ne facciamo.
La scena seguente è ambientata su alcune scogliere marine, dove quattro vescovi in pompa magna salmodiano una messa. Un contrabbandiere in male arnese li vede e cerca di svegliare i suoi compagni per impedire l'arrivo dei "Maiorchini" (simbolo della buona società borghese). Tentativo che evidentemente va a vuoto, visto che sulle scogliere approdano barche piene di gente elegante, autorità, religiosi, soldati (la "crema" della società). La cerimonia che si apprestano a svolgere viene però interrotta dalle grida di piacere di una donna, che insieme ad un uomo si sta rotolando nel fango. La gente scandalizzata li separa e li porta via.
Il resto del film racconta i tentativi dei due amanti (interpretati da Gaston Modot e Lia Lys) di portare finalmente a termine l'amplesso, sia mentalmente che fisicamente. La storia avrà però un esito a sorpresa...
Il film si conclude con una delle scene più blasfeme mai girate, con l'accostamento simbolico dell'iconografia di Gesù con la figura del Duca di Blangis, l'abietto e depravato protagonista delle "120 Giornate di Sodoma" di Sade.
Come detto, regna in tutto il film l'idea che l'amore non è assolutamente romanticheria o sentimentalismo, ma desiderio fisico e sessuale, con risvolti a volte torbidi. Abbondano ad esempio le allusioni alla masturbazione: cartelloni pubblicitari con donne in estasi seguiti da immagini di dita, Lia Lys che appare in una scena con il dito fasciato, una vacca che giace sul suo letto. In un'altra inquadratura Gaston Modot si avvicina alla macchina da presa fino a farsi inquadrare in primissimo piano il bottone che chiude la patta dei pantaloni. Ma la scena più famosa rimane quella in cui Lia Lys, momentaneamente abbandonata dal suo amante, si sfoga succhiando a mo' di fellatio il dito alluce di una statua. La sorpresa finale fa capire che è la donna quella che mena le danze e che tiene in pugno la libido maschile (tema ripreso in "Quell'oscuro oggetto del desiderio").
Altro elemento portante è la satira dell'alta società e della retorica politica dell'epoca.
Nel salone sfarzoso dove si ritrova la grande società per una festa si fa transitare un carro agricolo (per mostrare il contrasto economico fra le classi). Gli ospiti assistono quasi indifferenti ad un incendio nelle cucine o addirittura al guardiacaccia che uccide il proprio figlio. In altre scene si prende in giro la retorica politica dei concetti di patria, onore e famiglia, con il Ministro degli Interni che si suicida cadendo sul soffitto.
Ma la scena che fece più scalpore fu quella già citata dell'accostamento Gesù/Duca di Blagis. C'è da dire che Buñuel non intendeva attaccare la figura storica di Gesù ma l'istituzione che ne utilizza l'immagine come proprio simbolo (cioè la Chiesa Cristiana) e quasi sempre in maniera falsa e convenzionale (in un altro suo film Buñuel rappresentò Gesù che ride).
L'ultima inquadratura del film, con una croce da cui pendono capigliature e barbe, ci fa capire che voleva alludere a tutte le guerre e le esecuzioni a morte avvenute in nome della religione cristiana.
Si tratta comunque di una scena che anche oggi scatenerebbe polemiche a non finire; figurarsi nel 1930... Dopo solo sei giorni, il cinema in cui il film era in programmazione fu assalito da un gruppo di militanti di estrema destra e completamente distrutto. Fu l'occasione che il prefetto aspettava per vietare la proiezione pubblica del film, il quale rimarrà proibito fino al 1980.
"L'Age d'Or" ha rappresentato in pratica l'inizio e la fine del cinema surrealista. Nessuno provò a continuare sulla strada indicata da Buñuel, visto che la società dell'epoca non era pronta a recepire un messaggio così forte e rivoluzionario. Buñuel stesso pagò cara questa sua scelta, restando fuori dal grande cinema fino agli anni '60. Non si pentì però mai e seguitò con modestia, onestà e coerenza la sua missione etica di mostrare le verità scomode e nascoste del nostro mondo umano.
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Recensione a cura di amterme63 - aggiornata al 20/01/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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