Recensione lars e una ragazza tutta sua regia di Craig Gillespie USA 2007
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Recensione lars e una ragazza tutta sua (2007)

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locandina del film LARS E UNA RAGAZZA TUTTA SUA

Immagine tratta dal film LARS E UNA RAGAZZA TUTTA SUA

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"Mi piacerebbe avere una donna che non parla."
È in questa frase che risiede il significato profondo dell'intero film: un significato duplice perchè due sono le chiavi di lettura che ci permettono di capire la psicologia di un personaggio in difficoltà, completamente avulso dalla realtà e dal contesto in cui vive.
Da una parte c'è la disperata voglia di imparare come comportarsi con gli altri, di stabilire un contatto umano, di avere una vita sentimentale, per quanto possibile, normale; dall'altra c'è la paura "dell'altra metà del cielo", un universo a se stante, così vicino eppure così lontano, sconosciuto e misterioso, desiderato e temuto insieme, capace di esaltarti e di intimorirti, di rasserenarti e impaurirti: e allora cosa c'è di meglio di un simulacro di donna, di un "essere" che non parla, non ti dà modo di metterti in gioco, di confrontarti, di interagire di relazionarti, che non litiga, non pretende, non ti sottopone al tormento di lunghisime e noiosissime cene con la suocera, non ti fa venire il complesso di inferiorità con la sua lucida intelligenza e con la sua cultura? In altre parole, cosa c'è di meglio di una realistica bambola gonfiabile?

Vincitore all'unanimità del Premio del Pubblico al 25° Torino Film Festival, "Lars e una ragazza tutta sua" è il secondo lavoro dell'australiano di nascita statunitense di adozione Craig Gillespie (dopo Mr. Woodcock), su sceneggiatura di Nancy Oliver, nota per aver scritto alcuni episodi del telefilm "Six Feet Under".
Tipico prodotto Sundance, il film è una piccola, deliziosa commedia, melanconica e triste, su un ventisettenne (come tanti) del nostro tempo, di animo sensibile, spaventato dalla vita e dalle donne, che soffre di afefobia, cioè della paura del contatto fisico con le altre persone, il cui solo pensiero gli procura un dolore quasi fisico e che lo porta ad evitare di entrare in relazione con gli altri, di stringere mani, di abbracciare chicchessia.
Un personaggio complessato e fragile, che ha difficoltà ad interagire con altri esseri umani, emblema di una generazione problematica e nevrotica che ha perso (se mai l'ha avuta) la capacità di comunicare e di far fronte alle difficoltà della vita, che ha paura di soffrire per amore e si rifugia nell'aleatorietà dei rapporti fugaci e poco impegnativi.

Lars è un ragazzone triste, introverso e senza amici, che ha una sola, grande certezza: la sua "coperta di Linus" celeste, che gli ha confezionato la mamma quando ancora lo aspettava, dalla quale non si separa mai e alla quale finisce per aggrapparsi nei momenti in cui emerge maggiormente il suo modo alterato di percepire la realtà.
Passa le sue giornate tra il lavoro in uno squallido ufficio, le funzioni religiose in parrocchia alle quali non manca mai e la modesta casetta ricavata in un vecchio garage trasformato in appartamento, dal momento in cui suo fratello, sposandosi, si è insediato nella casa paterna.
Il suo unico svago è la chat-line che, in qualche modo, lo aiuta ad entrare in contatto con il mondo esterno. Neppure con i vicini di casa, il fratello maggiore Gus e la cognata Karin, Lars riesce ad avere "rapporti normali". Karin è seriamente preoccupata per lui e vorrebbe coinvolgerlo in tutti i modi nella sua vita familiare, il fratello, invece, tende a minimizzare e riduce il tutto ad un problema di ereditarietà.
Lars si rende conto della sua "diversità", ma malvolentieri accetta incursioni ed interferenze nella sua vita privata, fino al giorno in cui, stanco di essere spronato affinchè si cerchi una fidanzata, a sorpresa, annuncia ai suoi familiari di aver trovato la donna dei suoi sogni, Bianca, una ragazza dolcissima, timida ed introversa come lui, che non parla bene l'inglese, conosciuta tramite Internet e che purtroppo è inchiodata su una seda a rotelle.
L'iniziale entusiasmo di parenti e amici per questa inattesa svolta nella vita sentimentale di Lars, si spegne immediatamente quando il ragazzo trova il coraggio di portare la "fidanzata" a cena in casa del fratello e della cognata, perchè Bianca, pur essendo una brunetta molto bella, non è esattamente come se l'aspettavano.
Bianca, infatti, non è una ragazza in carne e ossa ma una Real Doll, una donna anatomicamente perfetta ma interamente in silicone, una di quelle bambole gonfiabili acquistabili via Internet.

Per Lars, però, Bianca è veramente la sua "fidanzata": la ama come nessun'altro uomo sa fare, la tratta con grande rispetto, le parla, le offre da mangiare, costringendo chi gli sta intorno ad accettarla come fosse vera.
Gus, che negli anni non è riuscito ad aiutare concretamente il fratello, ma si è adattato ad accettare le sue stranezze, non sa come fronteggiare la situazione; Karin, invece, meno coinvolta emotivamente, si trova a mediare tra i due fratelli, diventando il vero punto di riferimento della famiglia.

Superato lo shock iniziale, Gus e Karin decidono di rivolgersi alla psicologa di famiglia, dottoressa Dagmar, che, per fare uscire Lars dallo stato confusionale in cui si trova, consiglia loro di assecondarlo nella sua illusione e di cercare di convincere gli abitanti della piccola comunità in cui vivono a fare altrettanto.
Bianca, poco per volta, diventa così una di loro, protagonista della vita sociale del gelido paesino del Wisconsin, comincia a frequentare la parrochia, a far volontariato in ospedale, il manichino in un negozio di abbigliamento, a parteciapre alle riunioni del comitato scolastico e a svolgere tutte le altre incombenze di una donna vera.
Persino la collega d'ufficio di Lars, la tenera Margo, non tanto segretamente innamorata di lui, si relazionerà con Bianca, diventando una sua sincera amica.
Alla fine sarà proprio la Real Doll a far si che Lars riesca a comunicare con gli altri e a far riscoprire all'intero, sonnolento e un po' bigotto paese, il valore dei rapporti umani e della solidarietà.

Il film, pensato dalla sceneggiatrice dopo la strabiliante scoperta fatta durante una ricerca su Internet, quando per caso si imbattè nel sito di una società di San Diego, la "Real Doll", che commercia per corrispondenza in tutto il mondo bambole di silicone "anatomicamente perfette", è assolutamente casto e non contiene alcuna allusione sessuale, nonostante l'argomento e le situazioni si presterebbero facilmente a questo genere di rappresentazione.
Il film, comunque, si adatta ad una riflessione sulla contemporaneità molto più approfondita di quanto la leggerezza con cui è trattato il tema della difficoltà di comunicare e di vivere a contatto con gli altri farebbe pensare.
Lars, pur nella dolcezza del suo sguardo, nella lievità dei suoi gesti, nella tenerezza del suo sorriso, è un ragazzo segnato dalla vita e dalla solitudine (la madre morta nel darlo alla luce, un padre che, crescendolo, non ha saputo amarlo, troppo occupato ad elaborare il proprio dolore); un ragazzo in cui patologia e frustrazione si stemperano nella tenerezza e nell'ingenuità e che, nonostante tutto, proprio con un essere inanimato, riuscirà a colamare il suo cuore di quell'affetto e quel calore che la vita non gli ha regalato.

In questo film Gillespie ha saputo fondere con sapienza geniale commedia e dramma, ironia e compassione, in un mix di momenti divertenti ed altri di più intima partecipazione, in cui il dramma della patologia e della solitudine si attenuano nella tenerezza e nel sorriso.
Un film che sa descrivere il tema dell'incapacità di affrontare il mondo senza facili pietismi e senza scadere mai nella scontata retorica della presa in giro, un film in cui la storia di un uomo che non riesce più a distinguere il confine tra finzione e realtà, è anche la storia di ciascuno di noi, in cui il male di vivere e i vuoti del cuore prendono ad ampliarsi in misura non più controllabili fino a sfociare in nevrosi, che preferisce aggrapparsi alla sua "coperta di Linus" piuttosto che rischiare di soffrire.

"Lars e una ragazza tutta sua" è una storia che ci è familiare perchè di Lars ne conosciamo tutti qualcuno nella vita e ce ne siamo a tal punto abituati, tanto da non avere mai la sensazione che il malato di mente, "l'anormale", sia il "Lars" di turno, ma, paradossalmente noi, i "normali", tutti gli altri; una storia densa di emozioni che non vuol fare di Lars il simbolo di una società che ha finito per somatizzare, più o meno gravemente, i postumi del male di vivere contemporaneo, una società che ha perso la capacità di comunicare e preferisce intrattenere rapporti interpersonali e anonimi come quelli offerti dalla rete e dai moderni mezzi di comunicazione.
Il film non vuol essere un'analisi socio-psicologica, che richiederebbe altre e più approfondite basi di valutazione, ma il tentativo di rendere il "diverso" uno di noi, il tentativo di farci comprendere il malessere di coloro che non sanno affrontare il mondo e ne soffrono.

La solitudine, il malessere, la sensibilità, la disarmante tenerezza, la solida fragilità del personaggio sono resi da Ryan Gosling (che dà vita ad uno straordinario, commovente e al tempo stesso divertente Lars) in modo assolutamente perfetto, mai goffo o sopra le righe, che sa custodire nel suo cuore il motivo di tanto malessere e di tanta ingenua tenerezza. Un attore che si riconferma (dopo la candidatura agli Oscar 2006 per "Half Nelson") uno dei maggiori talenti attualmente in circolazione ad Hollywood.
A supportare Gosling nel film, un cast ben amalgamato e perfettamente in parte, a cominciare da Paul Schneider ("La neve nel cuore", "L'assassinio di Jesse James") qui nel ruolo di Gus, il fratello di Lars.
Molto brava anche Emily Mortimer (la moglie di Jonathan Rhys Meyers in "Match Point"), che conferisce al personaggio di Karin tutta la forza necessaria per fare da collante tra il marito e l'imprevedibile fratello, rappresentando un vero faro di luce per l'ingenuo Lars.
Da segnalare anche le prove di Patricia Clarkson ("Good Night and Good Luck", "Dogville") e di Kelly Garner, rispettivamente nei ruoli della dottoressa Dagmar e di Margo, la ragazza inutilmente innamorata di Lars.

Un racconto delicato e assolutamente da vedere, per disintossicarci da zombi, vampiri, serial killer e giustizieri vari, per tornare a quella concretezza che c'è in ciascuno di noi, per capire e per capirci e forse per comprendere il significato di essere adulti.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 09/01/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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