Recensione libera uscita - una settimana senza regole regia di Bobby Farrelly, Peter Farrelly USA 2011
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Recensione libera uscita - una settimana senza regole (2011)

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locandina del film LIBERA USCITA - UNA SETTIMANA SENZA REGOLE

Immagine tratta dal film LIBERA USCITA - UNA SETTIMANA SENZA REGOLE

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Rick (Owen Wilson) e uno dei suoi migliori amici Fred (Jason Sudeikis) sono insoddisfatti dei loro rispettivi matrimoni, soprattutto sul piano sensuale-erotico. I due uomini sono acerbi e turbati dal sesso, desiderano l'eros in una forma nevrotica, adolescenziale, sulla scia di qualche propria traccia psichica di bullismo congenito, non del tutto scomparsa. Rick e Fred sciupano le loro esistenze tra faccende domestiche di stampo femminile e un gruppo di amici, anche loro immaturi, che separano in nome di radicati principi maschilisti il sesso dai sentimenti più estesi e corposi.

Quando Rick e Fred, spiati dalle rispettive mogli, cominciano a fantasticare in modo bizzarro, insieme agli altri amici, su possibili rapporti extraconiugali, le mogli pensano che è necessario un da farsi correttivo urgente. Le due donne sono esasperate da un atteggiamento dei mariti sempre più irrispettoso, ritenuto al limite del demenziale e del buongusto, aggravato dal fatto di essere esibito anche in pubblico. Le mogli a un certo punto decidono di intervenire drasticamente sulle più ferree regole del matrimonio e lo fanno con una mentalità aperta, che però ha tutto il sapore di una sfida.
Coraggiosamente le due donne concedono ai mariti una settimana di libertà, una sorta di periodo aureo di sospensione dal matrimonio, nel quale i mariti potranno fare tutto quello che desiderano senza dare spiegazioni di alcunché alle loro mogli e figli.

Un sogno a lungo agognato da Fred e Rick che all'improvviso diventa realtà, ma i ragazzi, a quarant'anni compiuti, hanno perso negli approcci erotici la sicurezza e la bravura di una volta e rischiano, per la fretta di concludere o per l'indecisione nel tradire una moglie che forse è rimasta fedele, figuracce di ogni genere, gettandosi anche in guai seri.
Paradossalmente meglio sembrano fare le mogli, che tutto sommato appaiono meno imbarazzate e imbranate degli uomini. Ma manterranno questa superiorità nel proseguo del film?

I fratelli Farrelly noti per opere come "Lo spacca cuori", "Tutti pazzi per Mary", mantengono in "Libera uscita - una settimana senza regole" il filo stilistico della commedia demenziale-familiare che li ha resi famosi, seppur il film presenti qua e là qualche timido tentativo di rimettere in gioco aspetti della commedia romantica più tradizionale, nota per l'incauto ottimismo sulla vita, l'egoismo sociale presente nel nucleo familiare medio e la spensieratezza da ogni tematica collettiva e politica capace di turbare sia gli animi dei bambini che la quiete di un pensiero zuccherato di certe classi di adulti rimaste adolescenti a vita.

Un genere quello della commedia demenziale indubbiamente di buon successo nella storia del cinema. Esso prevede poche varianti di schema dalla narrazione tipo, che prevalentemente si basa come in questo film su di un modello fisso della serie: dopo paurosi sbandamenti trasgressivi, cui vanno incontro i genitori responsabili della famiglia, tutto ritorna come prima e il nucleo familiare rimane salvo più che mai, uscendo dagli eventi turbolenti patiti irrobustito anziché ferito, se non addirittura a volte ben vaccinato, immune per il futuro da eventi simili.

Per scrupolo teorico occorrerebbe chiedersi ogni tanto perché il genere filmico demenziale-familiare mantenga da lungo tempo un suo fascino, che a volte è sorprendentemente irresistibile, sia tra i ragazzi che tra gli adulti, garantendo incassi buoni e un futuro industriale al cinema che non può che giovare anche all'immagine più strettamente artistica della settima arte. Tra parentesi occorre dire che i produttori che si arricchiscono con film di facile mercato come questo son più disposti in seguito a investire in innovazioni stilistiche, come dimostra in Italia il successo commerciale mondiale dei film mitologici negli anni '50, che ha agevolato investimenti anche nel settore filmico neorealista e intellettuale. Ciò accade forse per una sorta di scrupolo culturale che insorge, non si sa bene per quali vie, nella coscienza dei produttori all'apice del successo, che in qualche modo sperano di diventare famosi anche per la qualità dell'opera prodotta, cambiando tipo di investimento. Essi quindi mirano a un certo punto ad ottenere dei buoni risultati anche nei festival del cinema, per appagare un amor proprio più esteso, che a volte è sottile e subdolo, percepibile solo dopo aver acquisito con i film principalmente commerciali una solida sicurezza economica.

Per quanto riguarda l'aspetto teorico forse il demenziale si può paragonare a un sintomo nevrotico, a qualcosa di metaforico nell'accezione psicanalitica di condensazione, di concentrazione in poche immagini-segno di eventi più articolati, problematici, legati all'inconscio, qualcosa che il cinema ricava da ogni epoca estraendola dagli aspetti sociali più clinici e problematici e dandole una formulazione estremamente negativa ma che non è esente da umorismo e comicità.
E' una sorta di reazione folle alla posatezza prolungata del comportamento ipocrita di costume, che è in stretta relazione con una consuetudine sociale in crisi, qualcosa che sta per scomparire nelle usanze più note ma che nello stesso tempo tende per breve termine, come in colpo di coda disperato, a resistere tenacemente mostrando solo i segni di un logoramento progressivo, in bilico nella psiche più profonda delle persone tra il patologico e il serioso sintomatico.

Il demenziale rappresenterebbe allora la trasgressione che diverte, che distrae proprio perché è alle soglie di qualcosa che dopo tanto tempo sta per passare di moda, una scomparsa desiderata, un mito che si infrange e che si vive con senso di colpa perché impregnato del parricidio o matricidio verso i genitori, qualcosa che non si riesce ancora a far scomparire del tutto, ma che non fa più paura perché se ne percepisce ormai la debolezza, la sua immagine ferma in un mondo dinamico, un mondo in cui è lecito essere leggeri e irrispettosi del prossimo o incauti e illogici in ogni rapporto e che porta i protagonisti anche al riso e allo scherzo.

Il fine, immaginario più che reale, è di distruggere ogni forma relazionale di tipo conservatrice, ritenuta in qualche modo responsabile ormai della mancanza di saggezza, cioè del buon senso di vivere pulsionalmente in modo soddisfacente in ogni grado dell'esistere quotidiano. E' come se in un certo senso la conservazione e la tradizione nella fase della loro crisi venissero intese come forze stranianti, capaci di sottrarre piacere, quiete, saggezza ed energia meditativa.
La spontaneità della demenza, la sua gestualità che fa ridere, le bizzarrie linguistiche che la caratterizzano, indicano allora come e dove si è piegato il problema pulsionale irrisolto dell'insoddisfazione, quel di più della pulsione che non ha trovato scarica nel razionale quotidiano legato alla tradizione, nella cosiddetta normalità del vivere, e cerca scampo nel libero gioco linguistico della stupidità: un passatempo intriso di parti trasgressive solo immaginate e a volte ricco di comicità.

Un pleonasmo quindi, una sovrabbondanza di pulsioni irretite dall'abitudine, un di più che attraverso l'alleanza con le pulsioni sessuali più libere, disegnano nuovi orizzonti di soddisfazione e negano per un attimo le più consuetudinarie regole e norme del vivere civile.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 18/07/2011 16.47.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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