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Il produttore Domenico Procacci (presente in tutti i film di Muccino ma anche in Radiofreccia, Velocità Massima, Respiro) ha dimostrato di avere grandissimo fiuto e può vantare un'altra grande scoperta: il regista Matteo Garrone. L'imbalsamatore è stato un film accolto molto bene dalla critica, ha raccolto molti premi, è stato presentato a Cannes e ha anche vinto un David di Donatello per la sceneggiatura nel 2003. E' un film particolare, recitato con impegno, lento, introspettivo, un viaggio interiore attraverso le spiagge campane via via verso la fitta nebbia cremonese.
Peppino Profeta (Ernesto Mahieux, della scuola di Merola, ci regala una recitazione sopra le righe, riuscendo a dare ritmo, vitalità e intensità al personaggio) fa il tassidermista, si guadagna da vivere imbalsamando animali, realizzando qualche "lavoretto" per la camorra e vivendo una vita piatta e monotona. La sua strada si incrocia con quella del giovane Valerio (un esordiente Valerio Foglia Manzillo, ex-modello che con la sua interpretazione certo non lascia segni indelebili), amante degli animali e desideroso di imparare l'arte dell'imbalsamatore. Tra i due nascerà una profonda e sincera amicizia, un legame intensissimo che li porterà a condividere insieme ogni tipo di esperienza, a costruire un solido e viscerale rapporto di fiducia e di complicità. Lo spettatore vive insieme a loro, partecipa alle loro vite, cresce insieme alle loro emozioni ma percepisce anche qualcosa di oscuro, di misterioso, di contorto che aleggia tra di loro e che fa da filo conduttore per tutto il film. I due personaggi, proprio attraverso il contatto quotidiano con la morte riescono a percepire il vero significato della vita, fatto di spensieratezza e di sorrisi. L'uno diventa dipendente dall'altro, la loro stabilità trova certezza nella loro simbiosi viscerale ed emotiva. Questa unione però verrà inesorabilmente scissa da una donna, Deborah (Elisabetta Rocchetti, anche lei esordiente e non certo esaltante), la quale regalerà un figlio a Valerio portandolo via per sempre da Peppino. Il finale, inevitabile e scontato, arriva come un fiume in piena che, rotti gli argini, sradica tutto ciò che incontra davanti la sua strada.
Garrone è abile nel delineare i caratteri dei personaggi, nello scandire la storia con un montaggio fluido ma non certo esaltante o ricco di colpi di scena, nel presentarci una suggestiva fotografia (Marco Onorato) e nel condire il tutto con una discreta colonna sonora caratteristica dei Noir più moderni.
Un film interessante ma che non lascia il segno nello spettatore che fino all'ultima sequenza cerca il tanto atteso colpo di scena e sente la sensazione che, alla fine, si sarebbe potuto fare indubbiamente di meglio.
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Recensione a cura di Taxidriver - aggiornata al 24/05/2004
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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