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Alla fine del XX secolo la Marvel – tra le principali case editrici di fumetti al mondo – stava fronteggiando una delle più profonde crisi dai tempi della sua fondazione: la progressiva diminuzione del fascino delle storie dei suoi personaggi di punta si accompagnava al disinteresse via via crescente del proprio pubblico. In un estremo tentativo di rialzarsi, la Casa delle Idee decise di sondare il mercato cinematografico, trasportando sul grande schermo le avventure di due delle serie a fumetti di maggior successo: "X-Men" e "Spider Man", affidate a due registi di culto quali Bryan Singer e Sam Raimi.
Il risultato al botteghino fu talmente incoraggiante da dar vita, nel corso degli anni, ad una vera e propria invasione bulimica di supereroi sugli schermi cinematografici, con esiti non sempre convincenti: si va dai due sequel di "X-Men" e "Spider Man" alle avventure dei Fantastici Quattro, di Daredevil, di Elektra, del Punitore, di Ghost Rider e di Hulk.
Purtroppo il livello qualitativo delle recenti produzioni rimaneva piuttosto basso, eccezion fatta per il secondo capitolo di "Spider Man", ed il pubblico iniziava a storcere il naso e disertare le sale; uno dei flop più dolorosi sotto questo punto di vista fu proprio "Hulk", diretto dall'acclamato regista Ang Lee, sia per l'ambizione del progetto che per la particolare predilezione della mente creativa della Marvel, Stan Lee, per il gigante verde.
La Marvel decise quindi che era giunto il tempo per l'ennesima svolta: gestire in esclusiva il passaggio dei propri personaggi dalla carta dei comics alla celluloide. Il primo esperimento di questo tipo, "Iron Man", ha appena visto la luce, imponendosi come il più alto incasso della stagione cinematografica 2007/2008 e mettendo in ombra blockbuster annunciati, quale ad esempio il quarto capitolo delle avventure di Indiana Jones, nonostante avesse per soggetto uno dei supereroi meno interessanti tra quelli che il parco Marvel potesse offrire.
Con questo "L'incredibile Hulk", seconda produzione interamente Marvel, Stan Lee prova a rilanciare quel vecchio progetto che mai gli era andato giù, avviluppato com'era nelle velleità autoriali fuori luogo di un Ang Lee troppo impegnato a delineare un patetico rapporto padre-figlio che ad imbastire un giocattolone d'azione che puntasse a divertire il pubblico; per farlo, la mente creativa della Casa delle Idee ripropone la stessa formula che aveva decretato il successo di "Iron Man": un regista di genere senza troppe pretese, un cast composto da caratteristi o attori inspiegabilmente ignorati dalla produzione mainstream ed una sceneggiatura semplice semplice volta essenzialmente a divertire le platee senza tradire lo spirito del fumetto.
Il risultato è decisamente convincente, a partire dal coordinamento con il film precedente: le origini di Hulk sono volutamente abbozzate, tanto che il momento dell'esperimento con i raggi gamma che trasforma il mite scienziato Bruce Banner in Hulk scorre lungo i titoli di testa. La storia che alla Marvel interessa trattare è tutt'altra: è quella dell'esilio volontario di Banner (Edward Norton) in Brasile, alla ricerca di un antidoto per la propria "malattia" che lo porta a trasformarsi in un colosso verde invulnerabile e dalla forza inversamente proporzionale alle proprie facoltà intellettuali.
Quando però il cinico Generale Ross (William Hurt), padre della donna amata da Banner (Liv Tyler), ed il soldato arrivista assetato di potere Emil Blonsky (Tim Roth) lo trovano, si scatena una caccia all'uomo volta a fare di Hulk il patrimonio genetico utile alla creazione del soldato perfetto.
Nulla di nuovo sotto il sole, come si intuirà facilmente; ciò non toglie che il lavoro di Louis Leterrier e Zak Penn (rispettivamente regista e sceneggiatore) sia più che pregevole, regalandoci un baraccone divertente ed avvincente esattamente come ci si potrebbe aspettare da un film su un gigante verde che lotta contro un esercito degli Stati Uniti.
Le scene d'azione sono orchestrate con mano salda e capace, ed anche quelle più propriamente di alleggerimento colpiscono in pieno nel segno: delizioso il solito cameo di Stan Lee nei panni di un anziano signore che subisce un'intossicazione da raggi gamma ed assolutamente travolgente l'apparizione di Lou Ferrigno, il culturista che impersonava Hulk nell'omonima serie cult anni '70.
Pur scevro di ogni baggianata pseudo-autoriale che affliggeva la versione di Ang Lee, questo "L'incredibile Hulk" riesce comunque a veicolare con poche ma incisive inquadrature il profondo dissidio uomo/bestia tanto caro a Stan Lee, mutuato da "Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde" di Stevenson, e si concede perfino un'escursione dalle parti di "King Kong", con la splendida scena in cui la Bella invita la Bestia a ripararsi dalla pioggia all'interno di una caverna, rassicurandola: un momento di una maturità ed un'incisività rare nel panorama del cinema supereroistico per come eravamo abituati a concepirlo finora.
Eccezionale il cast, composto da attori di comprovate capacità: Edward Norton spazza via del tutto il Bruce Banner di Eric Bana con un'interpretazione sofferta e credibile da uomo tormentato dal proprio potere e terrorizzato da se stesso; gli fa da contrappunto il glaciale Tim Roth, lontano anni luce dal mite professore interpretato per Coppola in "Un'altra giovinezza" ma ugualmente sopraffino in un ruolo solo apparentemente lontano dai suoi standard. Puntuale poi la conferma della bravura del solito William Hurt, purtroppo da troppo tempo relegato in ruoli di mero supporto, che comunque affronta con una professionalità rara. Piuttosto fuori parte, invece, la piagnucolosa Liv Tyler, decisamente arrotondata rispetto a quando solcava i prati della Nuova Zelanda nei panni di Arwen Undomiel.
Pur rimarcando i molteplici aspetti positivi di questa nuova versione de "L'incredibile Hulk", non si possono però non sottolineare delle ingenuità di sceneggiatura piuttosto marchiane: si va da personaggi incomprensibili quali il misterioso "Mr. Blue", abbozzato alla bell'e meglio e senza una reale ragion d'essere, alla affrettata gestione della trasformazione di Blonsky in Abominio; tutto ampiamente scusabile, in un film in cui si riesce a far partecipare divertito il pubblico alla devastazione preceduta dal fatidico motto trash "Hulk spacca!"
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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 18/06/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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