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Non ha ancora 40 anni il regista Massimo Andrei, e pure sa già darci film pieni di colore, calore, vita e passione come questo "Mater Natura". Ma non solo; sa pure farci riflettere su problematiche molto profonde, dandoci un plusvalore contenutistico, che va ad aggiungere tanta sostanza di pensiero ai puri valori formali.
Tralasciando questi al momento, partirei da una prima importante riflessione, sul confronto tra cinema e teatro: su quanto sia vivo il primo in confronto al secondo, e sulle ragioni dell'innegabile declino di questo, altrimenti ovviabili. Il teatro muore di vecchiezza, per l'incapacità di raccontare la realtà attuale, seguendo gusti ed esigenze del pubblico contemporaneo; preferendo invece rifarsi ai soli testi classici, cui nulla vorremmo togliere, se non fosse per l'inevitabile ripetitività e per l'oscurità del linguaggio: distaccato dall'odierno, antiquato, e, ancor peggio, impopolare, elitario, idoneo per un target erudito o snob. (Basta guardare il pubblico all'uscita dei teatri...). Ma la cosa potrebbe essere diversa! A mio avviso è un fatto puramente italiano, legato ai rigurgiti di una cultura classicistica da "Riforma gentiliana", come pure dall'autotutela corporativa degli operatori "statalizzati", sovvenzionati per ripetere all'infinito il teatro di maniera. Per uscirne basterebbe puntare su testi più vivi e stimolanti, che raccontassero la realtà odierna, e in cui il pubblico potesse riconoscersi (succede in certe commedie brillanti americane o nel teatro dialettale). Ma qui sta, purtroppo, il vero inghippo: gli autori capaci lavorano ormai solamente per spettacoli televisivi e cinema, che pagano assai meglio, ignorando la musa povera del teatro... e qui il cane torna a mordersi la coda!
Privato di spettatori, dunque, il teatro non attinge più all'humus degli interessi del momento, come fa invece il cinema proponendo tematiche vive ed attuali, come nel caso di "Mater Natura". Pensate ad esempio come sugli schermi compaiano di questi tempi i problemi più sentiti ed attuali, sempre aggiornati! Se la nostra società è scossa dal problema degli extracomunitari, ecco i film sull'immigrazione clandestina; e se la coppia va in crisi, ecco i film sulle separazioni. Quando poi viene in discussione lo stato monogamico, ecco i più recenti film sullo scambismo e sui locali privè...
Proprio mentre a teatro continuano a programmare la tragedia greca o il teatro goldoniano! Crisi di testi, dunque, non di bravure; come dimostra il film in oggetto, scritto, diretto ed intepretato (benissimo) da professionisti teatrali (per il cinema!!).
La storia, come si diceva, batte un ferro molto caldo: travestiti e transessuali, portatori estremi di una omosessualità latente sempre più in emergenza, sono oggi al centro dell'interesse anche a livello normativo istituzionale. La loro battaglia è divenuta simbolica del bisogno di accettazione della propria individualità in cui si riconoscono tutti, non solo i cosiddetti "diversi".
Tanto è vero che l'utopico agrifuturismo fondato dai femminielli... a riposo... sulle pendici del Vesuvio, diviene un consultorio per uomini in crisi di identità. Altrettanto per la storia d'amore tra il trans Desiderio e il bellissimo amante, condotta coi crismi universale dell'amore strappalacrime.
Dove peraltro la voglia residuale di un teatro ancora possibile torna a trionfare nel film stesso, fortemente incentrato sulle divertentissime scene da filodrammatica dei femminielli: intenti a rappresentare improbabili figure di Filomena Marturano o Medea, con tanto di coro da tragedia, quasi ad ironizzare sui temi sopra esposti. Intorno alla disperata storia d'amore centrale, che finisce in tragedia come nelle sceneggiate doc, si muovono altre figure estremamente suggestive come la "Montessori di quartiere", l'anziano femminiello che tiene affettuosamente a balia i bambini del rione, col consenso di tutti. Tutte parti assai difficili, se vogliamo, ma che risultano assolutamente convincenti grazie alla straordinaria recitazione di tutti gli attori (Desiderio in particolare); la quale cosa, non per smentirci, torna nuovamente a merito della formazione teatrale degli interpreti.
L'insieme della storia, poi, si sviluppa in un contesto coloratissimo, con scene sovente surreali, fortemente ispirate a modi di Almodovar, rivisitati all'ombra del Vesuvio. Ma con tutti i sacri crismi di un'impronta originale, dove l'ispirazione non è plagio, ma, semmai, affinità elettiva. Che potremmo forse identificare in un motivo comune non solo ai due registi, ma ad ogni individuo che soffra in vita per la mancanza di una giusta dose di consenso, ammirazione ed accettazione. Come diceva il povero Desiderio piangendo: "Ma cchì sò? Nunn' o saccio manco io!"
Un film divertente, vario e intelligente: assolutamente da vedere!
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 03/05/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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