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Chi sarà mai quel ragazzino un po' strambo seduto in silenzio in un angolo di un autobus pieno zeppo di tifosi urlanti diretti allo stadio? In realtà non è un ragazzo, ma una ragazza travestita da uomo. E non è la sola, dal momento che la passione per il calcio accomuna tante donne iraniane. Prima del calcio d'inizio, la ragazza viene arrestata e rinchiusa in una specie di recinto, proprio accanto allo stadio, insieme ad altre donne tutte travestite da uomini.
(Fonte: MondoCinemaBlog).
Se è vero che la distribuzione cinematografica italiana fa acqua da tutte le parti, accumulando solitamente un numero spropositato di pellicole "interessanti" solo in un ristretto periodo dell'anno e se consideriamo il fattore "sole primaverile inoltrato" come ulteriore deterrente per gli spettatori, è indiscutibile il fatto che alcuni film preziosi e invisibili emergano dagli impolverati scaffali solo adesso. E' il caso di "Offside", presentato ben 5 anni or sono al Festival di Berlino e vincitore dell'Orso d'Argento. In tutta la regione Toscana, a oggi 13 di Aprile, viene proiettato solo al Cinema Adriano di Firenze (tanto per ribadire fino a che punto sia arrivato l'irreversibile declino culturale).
Forte di una linea di pensiero libertaria e acuta, la pellicola di Jafar Panahi supera la linea dei militari difensori della giustizia e va spontaneamente in fuorigioco, oltre la linea di quel confine che sotto i regimi integralisti sarebbe meglio non valicare. Il regista, senza l'uso di troppe amplificazioni, si inventa un carcere all'aria aperta: sfortunata profezia del suo futuro, visto che lo scorso dicembre è stato condannato a sei anni di reclusione perché ritenuto colpevole di aver fatto propaganda contro la Repubblica islamica e il governo. Inoltre, Panahi non potrà lasciare il paese per i prossimi venti anni, né girare nuovi film o rilasciare dichiarazioni di qualsiasi genere ai mezzi di comunicazione iraniani o stranieri. Un bavaglio che sottomette il regista a un silenzio infinito, tristemente ovattato come i rumori provenienti da un campo di calcio quando ci è precluso assistere alla partita.
Ed è proprio in questa zona esterna superiore al campo sportivo che avviene uno scontro fisico e ideologico tra le femmine, travestitesi per assistere all'incontro di calcio, e i soldatini dell'esercito che difendono una legge che vuole le donne estromesse dagli stadi. Sono signorine che incutono paura perché dannatamente incanalate sulla via dell'emancipazione: fumano, aspirano a fare il militare, vogliono andare nella toilette degli uomini. Minano insomma quelle certezze (che poi sono i punti deboli) dello Stato e dei suoi tirapiedi, facendo vedere al mondo i normalissimi desideri di una generazione e le risorse di un paese per il quale si auspica una futura armonia.
Le forze dell'ordine, nel cercare una minima e decorosa repressione, trovano resistenza anche dalla parte maschile, sono derisi e abbandonati sventuratamente a loro stessi, compresi e compatiti umanamente solo fino a un certo punto; perché i tempi vanno avanti inesorabili e anche i poliziotti giocano ai limiti dell'offside, sostando sul confine tra il dovere e la voglia di essere anch'essi liberi e indulgenti.
La regia di taglio quasi documentaristico indugia spesso sul volto sofferto di un padre anziano preoccupato per le sorti della figlia, sui tormenti e le esitazioni dei militari, tallona i vigorosi sorrisi disarmanti di alcune ragazze "infiltrate", per poi concedersi alla gioia e al giubilo al termine dell'incontro sportivo con il Bahrein. Il racconto, sviluppato quasi in tempo reale, passa da una realtà drammatica a un piglio quasi sarcastico e un po' ammorbidito, quando si trasferisce tra i festeggiamenti per le strade, dove si canta e si balla, tutti riuniti a gridare il nome del proprio Paese. Alla fine si aprono anche le porte della prigione-pulmino, ma c'è il timore che si tratti di una libertà effimera: tra il luccichio di fari e lo scoppio dei petardi, la strada resta segnata e il richiamo della voce del padrone sembra essere già lì, pronta per le sue opposizioni.
Ispirato a un fatto realmente accaduto alla figlia di Panahi, e attraversato da una grande umanità e semplicità, "Offside" è disinvolto e confidenziale al punto giusto; narra splendidamente le problematiche sociali attraverso le gesta di chi va allo stadio per sfogarsi dicendo qualche parolaccia, vestendo le maglie del Brasile o dell'Inter (temporanea immedesimazione per sfuggire la realtà?), o in alternativa camuffandosi nella speranza di essere invisibili alle restrizioni, come ultima risorsa per un breve giro di giostra. Attendiamo fiduciosi che il regime italiano si uniformi a quello iraniano e, tra boutades rimbalzanti tra le aule giudiziarie e quelle parlamentari, inizi una vera e propria inibizione discriminatoria. Qualche illuminato ministro potrebbe far notare la somiglianza dei colori delle bandiere, e insistere per un tollerante e iconografico decreto.
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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 20/04/2011 14.51.00
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