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Torna Wim Wenders, e "Palermo Shooting" va ad aggiungersi ai film dedicati alle città vissute dal regista; un omaggio personale e sentito ma assolutamente distante dal film cartolina che pure alcuni hanno intravisto.
Finn (Campino), fotografo insonne a causa di continui incubi e sull'orlo della crisi professionale, decide di restare a Palermo dopo un servizio fotografico. Il suo girovagare fatto di scatti e brevi dormite diventa improvvisamente un incubo a occhi aperti quando si accorge di una misteriosa figura incappucciata armata di arco, che sembra uscita dai suoi sogni, comincia a seguirlo per ucciderlo. Il casuale incontro con l'enigmatica Flavia (Giovanna Mezzogiorno) ed il suo lavoro di restauratrice dell'opera "Trionfo della Morte" comincia a gettare luce sul mistero dell'arciere e aiuta Finn a trovare una chiave di lettura per le sue inquietudini ed i suoi incubi.
Fin dalle prime immagini, Wenders ci catapulta in un mondo di visioni cupe e paurose, mistificazioni delle paure ataviche dell'uomo: il tempo che passa, la morte che sopraggiunge, il rimpianto di non essere stati diversi.
Labirinti che richiamano Escher, orologi proiettati sulle pareti che si muovono come fossero usciti da un quadro di Dalì. Sogni, soprattutto. Il fotografo Finn sogna la morte, la incrocia, la scampa in una sera qualunque, la immortala casualmente, ne diventa dunque prima preda e poi inseguitore. Una sorta di "Alice nel Paese delle Meraviglie" in cui Palermo diventa un labirinto inospitale e senza uscite ("non c'è uscita dall'uscita") e il Bianconiglio insegue invece di essere inseguito. Al centro del labirinto l'unica uscita, per cui è impossibile non passare. Anche il mare, da cui si può partire, diventa nemico. Wenders racchiude uno stato d'animo, l'inquietudine, in una sequenza di immagini mascherate da storia, ma ridurre "Palermo Shooting" al racconto della sua trama significa privarlo della sua forza e del suo intento, facendo un grave torto a quest'opera.
L'insonnia a cui il protagonista sembra in un primo momento costringersi (dormire "è una perdita di tempo") rappresenta forse agli occhi di Wenders il rifiuto dello scorrere del tempo da parte della superficiale società contemporanea, l'incapacità di racchiudere un istante nella propria mente e viverlo come invece si fa facilmente con una fotografia; o ancora, l'ansia di vivere e l'impossibilità a trovare nel riposo il giusto ritmo di vita. Emblematiche a tal proposito le sequenze con i letti di dimensioni mai proporzionate al protagonista.
Piuttosto, così come facilmente si può manipolare un'immagine catturata in digitale, si può tentare di nascondere a se stessi la verità sulla propria vita.
Milla Jovovich, incinta, nella parte di se stessa prefigura il risveglio della coscienza, l'abbandono del torpore in cui ci ha gettato la società dei consumi e delle rappresentazioni. La madre, in quanto portatrice di vita, sente la necessità, attraverso le immagini del suo corpo di comunicare qualcosa di indefinibile ma concreto, di sacro, insoddisfatta delle foto di Finn ricavate su di un set tristemente pop e sostanzialmente vuoto di significato.
Addormentandosi di continuo per poi svegliarsi di soprassalto a causa di incubi via via più inquietanti e incontrollabili, Finn comincia a perdere, oltre al senso del tempo, quello della realtà, sviluppando una fobia per l'improbabile arciere che mira a ucciderlo. Finché una delle frecce non coglie la macchina fotografica.
La morte e la sua rappresentazione: il tentativo, vano, di sfuggirle privando di senso la vita o alterando la percezione del reale, modificando, ad esempio, delle immagini. L'illusorietà della vittoria, del controllo della realtà attraverso la mistificazione della sua percezione, un modo come un altro, l'arte visiva, di fuggire la vita e il rispetto che le dobbiamo. La concezione della morte come termine, castigo, vendetta invece che come aspetto fondante della vita stessa, una nascita al contrario ma ugualmente importante (infatti la Morte è donna, come la madre e come suggerisce in extremis anche Wenders).
Senza nascita non saremmo qui e ora, senza morte non avrebbe senso esserci, qui e ora. Questo vuole dire Wenders e questo deve capire Finn, abbracciare la Morte dopo aver smesso di fuggire, per abbracciare la vita che pure, con Flavia (Giovanna Mezzogiorno) sta tornando ad avere un senso.
Campino con la sua maschera che lentamente si scioglie riesce a trasmettere perfettamente lo stato d'ansia insonne che vive il suo personaggio. Il magistrale gioco di luci sul volto del grande Dennis Hopper ci regala una Morte da antologia del cinema mentre, a sorpresa, Giovanna Mezzogiorno trova finalmente un equilibrio in una parte senza eccessi isterici e grida. Un altro piccolo miracolo di Wenders.
Colonna sonora, ma con Wenders sarebbe una notizia il contrario, che sorregge letteralmente il film, quasi si potrebbero chiudere gli occhi e ascoltare soltanto: da Lou Reed a Fabrizio de Andrè, alle musiche originali; non basterà una visione per godere di tutto quello che "Palermo Shooting" ci offre.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 12/01/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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