Recensione rapsodia in agosto regia di Akira Kurosawa Giappone 1991
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Recensione rapsodia in agosto (1991)

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locandina del film RAPSODIA IN AGOSTO

Immagine tratta dal film RAPSODIA IN AGOSTO

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Rapsodia in agosto è il penultimo film di Kurosawa. Forse dal punto di vista autobiografico e poetico è una delle opere più intense e significative del famoso regista. Il film risente però della presenza di codici linguistici occidentali. Valori etici e scene di relazioni, con tutte le loro logiche connesse, vengono articolati e comunicati con modi espressivi a tratti europei e americani. Questi codici circolano sempre più nel circuito cinematografico mondiale rendendo difficile fare film con linguaggi originali. In questo film gli occidentalismi presenti tra le righe del linguaggio visivo fanno sfumare in una forma ibrida che sa già di globalizzazione il noto tono orientale del raccontare. Il film si svolge a Nagasaki in Giappone nel '91.
La ricorrenza del 46° anniversario della esplosione della bomba atomica (9 agosto del 1945 alle ore 11,02) offre al regista nipponico l'occasione per svolgere un racconto storico ricco di questioni etiche e biografiche. Questioni ben situate sullo sfondo dello spirito della famiglia tipica giapponese. Esse vengono anche incanalate in un binario linguistico di penetrante rilievo narrativo. Una di queste questioni riguarda il tema della memoria traumatica che nel film viene connesso all'ossessione e si articola in una forma espressiva onirica. Quest'ultima viene considerata dal regista come una tra le forme più idonee a comunicare quei linguaggi situati nei piani visivi più stratificati dell'inconscio.

Kurosawa con l'onirismo usa trasporre nel conscio dei personaggi aspetti visivi anamorfici, figure deformate: segnate dalla resistenza, lungo stati d'animo spesso oscuri ma mai pietisti pur formatisi da tragici eventi e cristallizzatisi dai tenaci processi della difesa psichica. E' pregevole come il regista riesca anche a tradurre per lo schermo il fenomeno dei pensieri inconsci improvvisi: pensieri che ruotano come una forma di follia intorno a ciò che è stato visto il 9 Agosto da alcuni sopravvissuti cittadini di Nagasaki. Pensieri che sembrano avere la motricità di un vortice e la forza di un volano impazzito che ruota pesante intorno ai traumi. Invadono la coscienza mettendosi in relazione anche con importanti verità storiche collettive. Quest'ultime si presentano dense di emozioni e veicolate dal delirio: criptate qua e là dal lavoro della rimozione.

Un altro tema un po' più analitico presente nel film riguarda l'analisi dei significativi cambiamenti sociali e di costume avvenuti in Giappone dal dopo guerra in poi. E' un tema questo che si svolge attraverso una rigorosa ritessitura filmica delle pagine storiche di Nagasaki, prima e durante il 9 agosto e di una cura dei dialoghi dei personaggi senza ricercatezze retoriche, che in questo caso sarebbero state indubbiamente fuori luogo. I dialoghi e il movimento recitativo dei personaggi assumono uno spessore psicologico di rilievo perché sono sostenuti nella loro descrizione da dettami visivi già collaudati in altri film, questo fa sì che si percepiscano subito le idee sul nuovo che Kurosawa indaga nel film. Un nuovo che nel film avanza prepotente dopo la bomba dando al sociale aspetti inediti, molto diversi dalle note tradizioni giapponesi degli anni '40 e '50.
A sostegno della sua analisi Kurosawa fa richiami etici e filosofici di grande attrazione poetica e storica: ricchi di cultura occidentale legata sorprendentemente ad aspetti etici del '68. Idee queste sempre in relazione con il filone principale del film che riguarda il senso dell'esplosione lungo un tono rievocativo-catardico dei ricordi. Idee che rivelano, sotto lo scorrere apparentemente quieto e laborioso della vita moderna giapponese, il cinismo psicologico del consumismo, che il regista vede come status simbol sociale in forte opposizione con le tradizioni; il regista sottolinea con grande credibilità anche i cambiamenti più estremi e negativi del modo di fare politica economica nel Giappone degli anni '90. Un'economia ritenuta da Kurosawa troppo competitiva e forse ignara delle sue implicazioni distruttive. Kurosawa si sofferma molto sulle gravi crepe disgregative avvenute nelle solide tradizioni nipponiche. Lesioni irreparabili che nel film si intravedono attraverso i modi rituali dei parenti, che appaiono sempre più deboli, sfilacciati e ipocriti. I valori rituali legati alla famiglia sembrano venire gradualmente spodestati dalla corruzione generale dei nuovi valori economici. Una corruzione dovuta alla forza del denaro che, guadagnato attraverso attività di imprese di tipo liberale-selvaggio, avvolge il consumismo giapponese di una valenza psicologica straniante, impregnandolo di fattori sociali tesi a fratturare l'organo della solidarietà sociale: la sua dignità e il rispetto dell'intelligenza solidale che la costituisce.

La parte onirica del film si combina felicemente con il linguaggio più propriamente filmico: essendo in parte affine ad esso per natura. Essa traspone con grande credibilità, impregnata di suggestività, i deliri rieditivi della tragedia della bomba. Quei deliri cui andavano incontro, in certe circostanze, diversi anziani sopravvissuti alla bomba di Nagasaki. Ad esempio nel film, quando compaiono a Nagasaki le nuvole nere e cirrose simili a quelle presenti nella giornata del disastro, la nonna Kane già provata per la morte del fratello americano e avvolta da un senso di colpa per non averlo più rivisto né ricordato, rivive la giornata della bomba e sotto una pioggia battente corre, rincorsa dai familiari, verso la gola da cui gli era apparso il 9 agosto l'occhio spaventoso dell'esplosione: simbolo dell'Altro lacaniano, ciò che è straniero in noi, l'altro soggetto. Kane sembra pronta a morire, spinta in un precipizio psicologico dal senso di colpa per essere ancora viva.

Di notevole rilievo nel film le scene che hanno per oggetto i modi ossessivi seppur non sempre patologici di ricordare. Sono scene che fanno pensare quasi a delle incisioni psichiche incurabili lasciate dalla bomba in chi è sopravvissuto al dramma e il cui effetto porta a forti coazioni a pensare che rimangono sempre all'interno di un orbita temporale ben precisa dei ricordi: creata dal lavoro psichico del trauma. Ne scaturisce un film a prigionia fissa di immagini con figure umane alienate in cui si alternano ricordi ed emozioni di pace contrastata nonché la possibilità di credere nel perdono; che sembra però sempre più difficile.

L'odio antiamericano lasciato in eredità, forse per sempre, ai sopravvissuti alla bomba nel film non viene esasperato da Kurosawa ma combattuto. Sono scene queste che danno al film anche un sapore poetico particolare trasmettendo una malinconia che predispone al bene e alla critica senza riserve verso la guerra: vista come un mostro imponderabile, unico e cinico regolatore dei conflitti umani.
La nonna Kane riuscirà a perdonare. Vincerà l'odio. Essa diventerà un esempio etico importante per i giovani nipoti.
Le vere responsabilità sulla bomba, sembra dire il film, non possono che essere ricercate nella guerra: nelle sue logiche legate a interessi particolari. Interessi che portano a trascurare la ponderazione seria degli effetti di una guerra: i suoi fenomeni devastanti sull'umanità intera e su tutte le risorse vitali connesse con essa.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 12/05/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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