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Il tenente di polizia William Somerset (Morgan Freeman), sta per andare in pensione. Nella sua ultima settimana di lavoro gli viene affiancato il neo arrivato David Mills (Brad Pitt), detective giovane ed ambizioso, desideroso di far carriera. I due vengono costretti a lavorare insieme nel tentativo di catturare un terribile serial killer, John Doe (Kevin Spacey), il quale sta commettendo una serie di terribili omicidi. Tutte le vittime condividono colpe riconducibili ai sette peccati capitali.
Eccezion fatta per "Il silenzio degli innocenti", questo film non ha eguali nell'ambito del proprio genere. Angosciante, spietato, geniale, sono i primi aggettivi che vengono in mente già alla prima visione di questa pellicola eccezionale.
David Fincher non lascia nulla al caso, a partire dai titoli di testa, intervallati da immagini che si riferiscono alla preparazione degli omicidi, fino all'ultima scena, chiusa con una citazione da Hemingway. Lo svolgersi della trama è piuttosto fluido, mentre il ritmo, costante per tutti i 121 minuti, ha un picco unicamente nella scena dell'inseguimento. Il finale chiude il cerchio e fa in modo che ci si renda davvero conto di quale sia il piano effettivamente architettato da un serial killer "divino" per la storia del cinema: John Doe.
Il film ruota attorno a lui: un grande Kevin Spacey, monumentale nel recitare la parte del predicatore killer, calmo e freddo come nessun altro, paziente, costante, coerente e tremendamente determinato. Impossibile dimenticare alcune scene che lo vedono protagonista e il suo sorrisino ironico nel momento in cui esclama "Oh.... Non lo sapeva!".
Oltre che della figura straordinaria di John Doe, il film vive anche del dualismo tra i due detective protagonisti, Somerset e Mills.
William Somerset è un vecchio detective di colore, che da anni lavora nella omicidi in uno dei quartieri più pericolosi di New York. Durante la sua lunga carriera ha visto orrori di ogni tipo, e questo probabilmente ha contribuito a forgiare il suo carattere, rendendolo freddo, impassibile, addirittura cinico. È un lupo solitario, non ama la compagnia né la confusione, è colto, intelligente e assolutamente metodico: lo si capisce già nella parte introduttiva prima dei titoli di testa quando, per prepararsi ad andare al lavoro, raccoglie dal comò chiavi/distintivo/coltello/penna/occhiali già disposti in ordine dalla sera prima. D'altronde, da uno che per addormentarsi ascolta ogni sera il ticchettio del metronomo, ci si può aspettare questo ed altro. È un personaggio estremamente complesso, che nasconde un dolore e una tristezza profondi, reso malinconico ancor più dalle musiche jazz e blues che spesso lo accompagnano.
David Mills è invece un personaggio completamente diverso, anzi, il suo opposto. Bianco, biondo, con una bella moglie, è lo stereotipo del giovane poliziotto desideroso di far carriera e di dimostrare il suo valore potenziale. È impulsivo, dinamico, irruente, ma nasconde dentro di sé una profonda insicurezza, nonostante tenti di celarla dietro atteggiamenti da duro. Forma con Somerset una coppia ben assortita, coppia che senza dubbio, dal punto di vista logico e filmico, funziona perfettamente.
C'è da dire che "Seven", nonostante abbia in sè gli elementi del classico "serial-killer movie", presenta anche altre caratteristiche meno usuali per il genere. La divisione tra buoni e cattivi, ad esempio, non è molto netta, anzi, di fatto non esiste. Tutti e tre i protagonisti sono sia buoni che cattivi, hanno pregi e difetti, commettono errori.
John Doe predica il giusto, ma lo fa uccidendo; Somerset lavora a servizio della legge, ma ha fatto qualcosa in passato che neanche il tempo potrà mai cancellare; Mills lotta con tutte le sue forze contro il crimine, ma commetterà un errore che gli sarà fatale. Il fatto che uno di loro sia un killer e gli altri due poliziotti, non ha molta importanza, perché a suggellarne il legame è l'essere tutti e tre attori di quell'enorme dramma che è la vita. Ognuno lotta in difesa dei propri valori, e lo fa a suo modo.
Altra particolarità del film è il fatto di contenere una morale. L'intera storia, infatti, può essere considerata come dura critica alla società moderna, la quale è ritenuta colpevole per aver creato esseri umani quasi del tutto privi di emozioni. L'apatia, spesso considerata come una sorta di autodifesa nei confronti della cruda realtà, è un vero e proprio male da estirpare, un male moderno che ci coinvolge tutti. Lo ricorda Somerset in vari momenti, ma lo sottolinea in modo particolare John Doe, il quale arriva al punto di uccidere pur di riuscire a farsi ascoltare: "Oggi, se vuoi farti ascoltare, non è più sufficiente battere educatamente sulla spalla delle persone, devi colpirle con un maglio. E solo allora ti concederanno piena attenzione."
Il trittico di personaggi Doe-Somerset-Mills è l'anima vera e propria del film, ma ciò che li rende così ben caratterizzati è la scelta particolarmente azzeccata degli interpreti: Kevin Spacey in grande forma e più che mai nella parte; Morgan Freeman nella migliore (fin'ora) delle sue interpretazioni; Brad Pitt più che discreto in un ruolo che comunque gli calza bene. Da citare, solo per la presenza, la bella Gwyneth Paltrow, interprete di un personaggio forse poco sfruttato e poco caratterizzato se si pensa all'importanza che nel finale ricopre.
A far da contorno alla pellicola una colonna sonora particolarmente curata, che spazia tra classica, jazz e blues, e giunge all'acme nella scena della biblioteca con le note di una celeberrima aria di Bach.
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Recensione a cura di Matteo Sonego - aggiornata al 28/11/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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