Recensione severance - tagli al personale regia di Christopher Smith Gran Bretagna 2006
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Recensione severance - tagli al personale (2006)

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locandina del film SEVERANCE - TAGLI AL PERSONALE

Immagine tratta dal film SEVERANCE - TAGLI AL PERSONALE

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I dipendenti addetti alle vendite ed al marketing della Palisade, azienda produttrice di armi, vengono premiati con un fine settimana in un cottage in centro Europa. Arrivati sul luogo si trovano in una catapecchia nei boschi. E come se non bastasse pare esserci un pazzo assassino che gli dà la caccia, usando trappole e mine antiuomo.

Leviamoci subito il pensiero: "Creep", precedente film di questo discontinuo regista, era girato molto meglio e risultava pure più originale. L'idea di una notte di tensione nella metropolitana di Londra era stata sviluppata con intelligenza e un pizzico di cattiveria; seppur non geniale, si trattava di certo di un lavoro ben fatto.
In questo nuovo film, nonostante la tanto strombazzata stoccata antimilitarista, non c'è traccia della tensione del primo, né si ravvisa una possibilità di cogliere davvero un sottotesto che smentisca l'impressione di avere davanti il solito slasher estivo con battute demenziali, come nella peggiore produzione americana, roba insomma da far felice il Tarantino delle grindhouse.

Nel prologo vediamo un tizio inseguito e un paio di belle ragazze che finiscono in una buca nel terreno; la sorte dell'uomo ricorda da vicino la macellazione di un maiale mentre le ragazze, come spesso accade, dovendo mostrare un po' di tette, se la caveranno.
Meglio sarebbe stato se a finire nella buca fosse stato l'intero cast con il regista e il produttore. Almeno avremmo avuto di che ridere, visto che il sottotesto demenziale scivola presto nella stupidità e la storia dell'antimilitarismo pare più una trovata pubblicitaria che altro.
Le scene splatter culminano con l'idiotissimo espediente del solito maniaco che incide sulla pancia, in verità assai pronunciata, dello sfigato di turno il logo dell'odiata Palisade, così tanto per chiarire che qua ce l'hanno su coi produttori di armi e con chi da una mano ai cattivi ad ammazzare la gente. Peccato che il tutto sia raccontato con un ritmo che spesso induce alla sonnolenza e che le cose che accadono in questa ennesima storiella sono accadute già in cento altri film meno pretenziosi di questo e magari girati pure un po' meglio.
La noia per la sorte dei protagonisti non è nulla al confronto col tedio che prende chi vuole seguire i dialoghi inconsistenti.

I personaggi sono delineati a colpi di stereotipo: c'è il direttore marketing che vuole far da capo ma non ne ha la stoffa, risultando assai stupido nel tentativo di motivare la platea e i sottoposti in una parodia delle tecniche americane di conduzione dei gruppi; poi abbiamo lo stuoino vice capo che prepara il the a chi urla di voler scappare nella notte perché ha visto un pazzo mascherato alla finestra, e qua siamo alla demenza, non si capisce neanche perché il compiacente schiavo non venga lapidato sul posto dagli inferociti colleghi. C'è quindi l'outsider saccente che suggerisce la fuga col ghigno di chi la sa lunga e che finirà come gli altri, con gran gusto degli spettatoti infastiditi dall'ovvia inutile manifestazione di sprezzo e superiorità, insieme con la tipa intelligente ma racchia che pretende l'Hilton e con il tossico che mangia funghi comprati chissà dove e ci mostra il culo come neanche in "Porky's"; infine c'è anche il nero di buon senso innamorato della tipa tosta, la quale tira fuori gli attributi e combatte i cattivi.

A questo punto è solo una questione di tempo; tutti più o meno finiranno come al solito in questi casi e siccome il film è stato girato con due lire, non vedremo nemmeno l'inutile sciupio di soldi che caratterizza le produzioni americane sullo stesso tono. Mentre la supposta critica ai militaristi che finiscono sulle loro stesse mine non salva il tutto da un'ovvietà avvilente, per non parlare delle perle di sacrificio offerte in pegno all'idea di un'umanità nascosta bene in fondo al cuore anche di chi le armi le produce e le vende.
Peccato, perché il precedente "Creep" faceva ben sperare, se non in un grosso exploit di regia, almeno in una tensione crescente e nel buon uso dei canoni del genere.

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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 19/05/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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