Recensione signorinaeffe regia di Wilma Labate Italia 2007
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Recensione signorinaeffe (2007)

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locandina del film SIGNORINAEFFE

Immagine tratta dal film SIGNORINAEFFE

Immagine tratta dal film SIGNORINAEFFE

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Immagine tratta dal film SIGNORINAEFFE

Immagine tratta dal film SIGNORINAEFFE
 

La crisi dell'industria, tra la fine degli anni '70 e i primi '80, passo successivo alla crisi petrolifera e alla stagflazione di qualche anno prima, è il segno di un cambiamento strutturale nelle politiche e negli assetti sociali del capitalismo occidentale. La produzione arranca anche per effetto della saturazione dei mercati e del conseguente calo della domanda, mentre tutti i sistemi politici occidentali, in particolar modo quelli europei, impostati dal dopoguerra su un capitalismo "socialdemocratico", che tende alla protezione delle fasce sociali più deboli attraverso i meccanismi redistributivi del Welfare State, vengono ora messi in discussione a favore di un liberismo più estremo e soppiantati da un conservatorismo che punta l'indice contro la spesa pubblica e incentiva l'iniziativa privata come unica risorsa propulsiva per la società. La prima conseguenza di questa mutazione socio-politica è la disoccupazione di massa.

Torino, settembre 1980. La FIAT annuncia un taglio di 14.496 operai sulle linee di produzione. È mobilitazione generale.
Emma (Valeria Solarino) è un neocolletto bianco, impiegata nel settore informatico (ai "calcolatori") della FIAT e laureanda in matematica. Ha una storia con Silvio (Fabrizio Gifuni), ingegnere e dirigente FIAT, futuro yuppie degli immediati anni a venire. Sergio (Filippo Timi) è un operaio della catena di montaggio di Mirafiori, tra quelli che rischiano seriamente il proprio posto di lavoro. Le storie - simboliche - dei tre protagonisti sono destinate ad incrociarsi, e a scontrarsi, nei 35 giorni di sciopero lungo i quali si snoda il film.

Wilma Labate, da sempre autrice legata al documentario "politico" (in particolar modo sull'industria e sul lavoro) e al cinema dalle forti tematiche sociali, torna a parlare degli eventi storico-politici degli anni '70 - '80 dopo la sua analisi sulla lotta armata de "La mia generazione" e riporta al cinema da protagonisti gli operai, ricordandoci che esistono ancora. Ricordandoci che esistono anche al di là della notizia dei loro incidenti sul lavoro. Per una tragica casualità, il film arriva nelle sale a poche settimane dalla strage alla Thyssen Krupp, l'acciaieria tedesca che proprio a Torino ha mietuto le ennesime vittime del lavoro.
"Signorina Effe" è il tentativo di rendere cinematografico, attraverso lo sviluppo di una storia sentimentale intrecciata radicalmente a una storia di lotta, il conflitto sociale che esplode nel 1980 al culmine di una stagione politica rovente e drammatica; è il tentativo di raccontare con una storia di finzione (e quindi essenzialmente narrativa), contaminata dall'effetto documentario dei filmati d'archivio che diventano parte integrante della sceneggiatura e dello sviluppo della trama, la più grande sconfitta operaia, sindacale e politica della sinistra dal dopoguerra ad oggi. Proprio la mescolanza fiction-documentario (qualcuno ha definito il film un mockumentary, a mio avviso erroneamente) trasforma con più forza le storie individuali dei protagonisti in una storia collettiva di un'epoca cruciale del nostro passato recente.

Emma (la signorina Effe del titolo, dove "F" sta proprio per FIAT), Sergio e Silvio sono tre personaggi fortemente simbolici nel contesto socio-politico della Torino operaia del 1980; essi rappresentano la frantumazione e la contaminazione delle classi sociali e la fine stessa del conflitto di classe. Emma proviene da una famiglia operaia di immigrati meridionali, ma è cresciuta nel mito piccolo-borghese trasmessole dai genitori: con la laurea in arrivo, l'impiego d'ufficio e, soprattutto, il prossimo matrimonio con il dirigente aziendale Silvio, Emma sta per compiere il passo definitivo verso il distacco dalla sua classe sociale d'appartenenza. Per tutta la famiglia quel passo di Emma significa il riscatto agognato dopo una vita di stenti e sacrifici.
Sergio è un operaio, figlio di operai immigrati dall'Umbria, che porta con sé, con fierezza e orgoglio, lo slancio indomito della tradizione movimentista, un po' anarchica, della sua terra, in eredità dal padre (diremmo quasi "nel nome del padre"). È una figura simbolica della classe operaia politicizzata e pienamente consapevole del proprio status: egli stesso s'identifica nella lotta contro il padronato.
Silvio è l'esponente della media borghesia torinese che prospera intorno alla grande industria; è un uomo "comodo" e rassicurante per Emma, per il suo salto nella scala sociale, per il suo futuro lavorativo. Quando la direzione aziendale annuncia il licenziamento di oltre 14 mila dipendenti, Silvio si trova nella delicata posizione intermedia che lo stringe fra il suo ruolo dirigenziale e quello di compagno di una dipendente la quale, pur non rischiando la perdita del lavoro, è espressione stessa della classe operaia colpita dai provvedimenti. Il progressismo iniziale di Silvio si scontra con i vertici aziendali, ma si dissolve con tempestiva e smascherante puntualità non appena l'uomo trova in quei licenziamenti il mezzo per affrontare e regolare i suoi problemi personali e colpire meschinamente, con facilità, il suo rivale nella storia d'amore con Emma. Il licenziamento diventa quindi anche uno strumento del potere borghese di ritorsione tanto politica quanto personale.

Sergio ed Emma si conoscono casualmente in fabbrica proprio nel momento in cui esplode la protesta operaia. La mise della ragazza non è pretenziosa, ma assolve pienamente alla decenza del suo ruolo di impiegata e di futuro colletto bianco. Il suo trasferimento dal settore del crash test a quello (neonato) informatico, agevolato dalle intercessioni di Silvio, avviene fisicamente col passaggio, per sbaglio, attraverso la sala delle presse, mentre gli operai compatti si muovono in direzione opposta, verso l'esterno, per inscenare una prima spontanea forma di manifestazione.
La camicetta candida di Emma è presto macchiata di grasso, proprio sul colletto, per mano di Sergio: nel suo schematico simbolismo, questa scena contiene già tutta l'ideologia del film, ossia l'incontro- scontro tra "chi si sporca le mani" e chi no. Eppure quella "macchia" contamina la coscienza di Emma, anche solo per un breve periodo. La relazione ambigua che nasce fra Sergio ed Emma si trasforma nello scontro fra due diverse anime della classe operaia, una legata alla propria coscienza di classe e l'altra al desiderio di riscatto e rivalsa.
Sergio non è ben visto dalla famiglia di Emma, forse è troppo simile a loro nel suo mondo di niente e non può infrangere le speranze che hanno faticosamente riposto sulla ragazza. Emma ha studiato, è bella, merita un'altra vita, e il suo matrimonio con Silvio, ingegnere e dirigente FIAT, è un'occasione irripetibile per coronare il sogno di entrare a far parte di un mondo agiato e borghese, una sorta di miraggio per chi è partito dal niente qualche decennio prima. Sergio l'operaio senza futuro, Sergio che sciopera e si ribella, mentre loro non sono mai mancati un giorno sul posto di lavoro in tanti anni di mesto, umile servilismo e ossequioso crumiraggio, Sergio è pericoloso per Emma e per il progetto che hanno portato avanti. Poco importa se l'investimento è stato possibile solo su una figlia, la maggiore, mentre alla minore delle femmine (Magda/Sabrina Impacciatore) è riservato un destino meno brillante e pretenzioso di maestra e al maschio di proseguire da operaio sulle orme servili e obbedienti del padre. Magda ha una relazione con l'operaio Antonio (Fausto Paravidino), che sembra molto meno responsabile dell'amico Sergio, ma nessuno le fa problemi: Antonio "non la rovina", contrariamente a quanto si ritiene di Sergio per Emma. Il pragmatismo proletario della "sistemazione" delle figlie, in questo senso, elabora inconsapevolmente un razzismo tutto interno alla famiglia, per la quale il sacrificio può valere per una sola, ritenuta migliore dell'altra. Di fatto, Magda è ben felice delle attenzioni di Antonio e dimostra di sapersi accontentare della prospettiva di una vita così simile a quella dei suoi genitori prima di lei.

Gli operai organizzano la serrata, ma la FIAT va per la sua strada aggiungendo ai quasi 15.000 licenziamenti già annunciati circa 24.000 cassintegrazioni a zero ore senza rotazione. Si moltiplicano i picchetti fuori dai cancelli. Nel giro di pochi giorni tutti gli stabilimenti torinesi del gruppo sono bloccati e presidiati. La produzione si ferma.
Intanto Emma cerca di completare i suoi esami universitari, scoprendo che la mano tentacolare e protettiva di Silvio e del suo potere la segue anche in quella sede. Sergio, come il Metello pratoliniano, si divide tra i picchetti davanti ai cancelli della fabbrica e l'amore per Emma. E la protesta operaia arriva anche nell'università.
Ma proprio quando Emma inizia a frequentare i presidi, mettendosi da questa parte della barricata, qualcosa sembra non funzionare.
Scorrono immagini di repertorio, dal tg1 si seguono le vicende dello sciopero e delle trattative, in una sorta di realismo retroattivo, un reality postumo e un po' funereo all'interno del quale i protagonisti del film sono le migliaia di operai in lotta, i sindacati, la classe politica, i padroni. Scorrono le immagini dei cortei, dei presidi, delle riunioni tra i vertici aziendali e sindacali, si scorgono diversi volti noti, Romiti, Montezemolo, i dirigenti CGIL-CISL-UIL, Lama Carniti Benvenuto. E poi l'arrivo di Berlinguer a Mirafiori, scortato da Giuliano Ferrara (sic!) e Piero Fassino (sic!), che dà il suo pieno appoggio alla lotta dei lavoratori.
L'azienda cerca con ogni mezzo di dividere i lavoratori e sgretolarne la resistenza; lo scontro si fa sempre più duro. Emma ritorna sulle sue posizioni iniziali, forzando i presidi insieme ad altri crumiri (molti dei quali colletti bianchi) e lasciando Sergio alla sua battaglia, come fosse solo un fatto personale. In un momento così difficile l'affetto/possesso asettico di Silvio è molto più che una garanzia per il futuro. Ad Emma resterà solo quella macchia di grasso sul suo colletto bianco.
Gli scioperi vanno avanti ad oltranza ed è già ottobre. Sono i momenti più concitati della mobilitazione. I quadri si organizzano, supportati dalle destre; picchiatori fascisti si confondono ai crumiri e irrompono sui picchetti, provocando disordini e incidenti. I familiari di Emma ne approfittano per dare una lezione all'oltranzista Sergio.
Alla tv il tg1 parla della marcia dei quadri, passata alla storia come la marcia dei 40.000, che la nonna di Emma, così estranea ai percorsi ideologici familiari, non esita a definire, in un lampo di estrema e lucida saggezza di classe, munnezza. E sul lungo autunno caldo degli operai, e dell'intero movimento, scende il gelo.
I sindacati si piegano, accettano i licenziamenti e la cassa integrazione, non replicano alla marcia dei quadri con una massiccia contromanifestazione e gli operai escono sconfitti e scoraggiati. Dopo le conquiste degli anni precedenti, le lotte del '68 e del '69, lo statuto dei diritti dei lavoratori e l'avanzamento delle sinistre per buona parte degli anni '70, il padronato inizia a riprendersi il potere e a piegare il movimento operaio. Di lì a poco tutte quelle conquiste fatte dai lavoratori nel decennio precedente saranno via via rosicchiate dalla reconquista padronale attuata con l'ausilio dei vertici sindacali e di parte della sinistra. Si apre la strada alla disintegrazione sindacale, al disimpegno politico della classe operaia, alla flessibilità e, inevitabilmente, alla precarizzazione del lavoro. L'industria si avvia al declino, ma le aziende moltiplicano i profitti con le speculazioni finanziarie in Borsa. Il resto è storia recente.

Al pari della Mole Antonelliana, di Superga, del Parco del Valentino sul Po e delle eleganti e squadrate architetture sabaude, il Lingotto è un altro simbolo eccellente di Torino, glorioso e ambiguo nella rappresentazione della civiltà operaia e padronale della città. Il film si apre con le immagini di un filmato pubblicitario/ propagandistico del ventennio, nel quale una diva del regime prova una nuova auto della FIAT sulla famosa pista in cima allo stabilimento del Lingotto. La scena poi, divenuta fiction, si sposta nel 1980, nei primi giorni di settembre, e si snoda lungo i 35 giorni di mobilitazione successivi alla notizia dei licenziamenti. La chiusura del cerchio è dedicata ancora una volta al Lingotto, nel 2007, trasformato in un centro commerciale ed espositivo, uno spazio aperto per il tempo libero, elegante e cool nella sua modernità borghese e consumistica. Degli operai, delle loro lotte e dei loro simboli, non v'è più traccia.

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Recensione a cura di gerardo - aggiornata al 15/02/2008

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