Recensione suspension of disbelief regia di Mike Figgis Gran Bretagna 2012
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Recensione suspension of disbelief (2012)

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locandina del film SUSPENSION OF DISBELIEF

Immagine tratta dal film SUSPENSION OF DISBELIEF

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Immagine tratta dal film SUSPENSION OF DISBELIEF

Immagine tratta dal film SUSPENSION OF DISBELIEF
 

Uno sceneggiatore in crisi (Sebastian Koch) viene coinvolto nel misterioso omicidio di una ragazza (Lotte Verbeek), la cui gemella (Lotte Verbeek, ovviamente) si presenta alla sua porta in cerca di aiuto. Tra i due si instaura una relazione, ostacolata dal reciproco sospetto di verità nascoste e segreti pericolosi che piano piano riaffiorano dal passato...

Non basta la trama per raccontare "Suspension of Disbelief", anzi: la semplicità di una classica storia noir è in realtà il contenitore di un curioso esperimento cinematografico e un film che sfugge una definizione precisa. Personaggi ambigui, doppi, misteri irrisolti del passato, tormenti interiori, attrazioni torbide, atmosfere rarefatte e notturne, dialoghi minimali e musica ingombrante (l'incipit di "Everything in its right Place" dei Radiohead è assolutamente incisiva in tal senso nell'allestire l'atmosfera per tutto il film). Ma il noir è solo un espediente: già dal titolo, l'intento di Figgis è quello di mettere alla prova lo spettatore coinvolgendolo in un gioco meta cinematografico: raccontare una storia ed allo stesso tempo svelare i meccanismi del racconto, chiudendo tutto in una serie di scatole cinesi da cui non si riesce ad uscire mai del tutto (c'è un po' di Lynch, anche: il protagonista scrive una sceneggiatura durante il film, che è chiaramente quella del film stesso ).
L'esperimento è interessante: verificare cioè i limiti della sospensione dell'incredulità, il meccanismo per cui un film è in grado di apparire verosimile e suscitare emozioni reali, pur essendo una rappresentazione della realtà palesemente costruita secondo regole e tecniche studiate a tavolino. Gli espedienti utilizzati per far cadere la sospensione dell'incredulità dello spettatore, quasi a sfidarne il coinvolgimento nella storia spezzando l'incantesimo della tensione, sono diversi: dallo split screen (metà schermo mostra la scena di un film girato nel film e l'altra metà il set di tale film) alla sovrimpressione di titoli didascalici che scandiscono le varie parti della storia, al sospetto che tutta la storia sia in effetti un parto mentale di uno dei protagonisti, alle discussioni tra i personaggi riguardo la scrittura di una sceneggiatura. Il protagonista è anche insegnante di scrittura cinematografica e gli inserti in aula, durante la lezione, svelano i meccanismi drammatici mentre la storia si sviluppa.

Mentre il mistero della trama si fa interessante, man mano che i personaggi svelano lati oscuri e nascosti delle proprie personalità e dettagli inquietanti emergono dal passato, in un classico schema di fumo e specchi proprio di ogni buon noir che si rispetti, Figgis insinua nella mente dello spettatore il dubbio che niente sia reale.
Il noir è un genere perfetto per questo tipo di scherzo meta cinematografico: i personaggi sono ambigui, nascondono spesso una doppia natura, una falsità, che tuttavia non ne pregiudica l'autenticità, lo spessore umano. E' quello che in fondo si può dire di ogni film: è un falso, una riproduzione della realtà assoggettata a regole di rappresentazione che - per i film riusciti - non ci appaiono manifeste, permettendoci di compiere il "salto" ed entrare in un mondo governato essenzialmente dalla regola dell'assenza di incredulità.

La parte del nostro cervello che gestisce le emozioni non distingue tra reale e fantastico, ecco perché i film generano emozioni reali.
Carl Jung sosteneva che la sospensione dell'incredulità è inutile, perché lo spettatore è connesso naturalmente ed istintivamente alla storia: effettivamente, il coinvolgimento emotivo nella vicenda della ragazza uccisa, resta del tutto intatto, nonostante i ripetuti tentativi di Figgis di ricordarci che, non solo stiamo assistendo ad un film, ma che probabilmente anche la storia che il film racconta è in realtà parte di un'invenzione. Il noir asseconda quest'operazione con la sua natura fatta di ripetute bugie e svelamenti, che contribuiscono ad aumentare i livelli di finzione presenti.

Il labirinto di "Suspension of Disbelief" è un riuscito esperimento sul cinema e sulla psicologia umana, formalmente elegante e intellettualmente accattivante, raro esempio di film che ha il coraggio di giocare con le regole del cinema in maniera quasi interattiva. Lungi dall'essere un film didascalico, "Suspension of Disbelief" risulta invece un classico noir con sfumature oniriche ed un finale aperto a più interpretazioni, quella letterale e superficiale non necessariamente insoddisfacente. Non è riconducibile alle rotture del quarto muro di Woody Allen, ad esempio, né ad analisi sul rapporto tra percezione e realtà: non ci sono svelamenti improvvisi o "trucchi" ai danni dello spettatore. Durante il film nessuna scena ammicca allo spettatore, la dignità del noir è preservata in ogni momento. E' proprio il lavoro di Figgis (il montaggio, le sovrimpressioni) a interporsi continuamente tra il film e lo spettatore.

Mike Figgis ha creato un piccolo compendio di filosofia cinematografica (scrivendo anche la colonna sonora), realizzato con perizia ed inventiva, forse debitore a qualche intuizione cara a David Lynch (l'incastro irrisolto dei piani narrativi il più evidente), ma assolutamente godibile e certamente originale rispetto al panorama contemporaneo. Una variazione sul tema noir che ridà linfa ad un genere ormai limitato da tempo, graziato da un buon cast e una regia sicura.

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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 03/11/2014 15.56.00

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