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Questo film uscito nel 1973 viene riproposto oggi dalla rivista Ciak in DVD. Il disco è corredato di extra molto interessanti comprendenti anche alcune interviste a Bergman e Fellini. Le emozioni più convincenti che Bergman riesce a darci con quest'opera nascono dalla rappresentazione molto curata e intrecciata con il religioso di alcuni aspetti della sofferenza umana.
Il film è sia una disamina del dolore puro, lungo i suoi più evidenti effetti di atrocità sul corpo, che un esempio di lettura psicanalitica delle figurazioni storiche che la sofferenza consente di vedere con una paradossale lucidità finché c'è vita. Un soggetto molto difficile da trattare in un film perché è la messa a fuoco di un soffrire senza speranza.
La malattia riguarda, in questo caso, una donna borghese che vive in una villa della periferia di Stoccolma. La sua sofferenza si svolge paurosa e angosciante, delirante, ma rimane per tutto l'andamento del film sempre densa di gestualità significativa.
Gestualità che coinvolge tutto l'interno di una famiglia divisa dall'odio. Il dolore straordinario di Agnese suscita ricordi e sensi di colpa in tutti i componenti del nucleo famigliare. Lungo una prolungata atmosfera di morte si svelano i reali intenti dei personaggi e il senso dei loro rapporti. Le scene si svolgono in un clima cupo e disinibitorio che fa presto cadere gli aspetti formali con cui avviene l'assistenza alla malata.
Nel film la depressione prolungata del dolore non rimane mai fine a se stessa. Non è patetica. Ma tende a creare una tensione psichica da cui traspaiono le inquietudini più profonde delle rispettive personalità. La sofferenza è rappresentata da Bergman in modo diretto. Privo di forme letterarie.
Il regista cura molto anche la scenografia avvalendosi dell'ausilio di due colori predominanti: il rosso e il bianco. Colori che attraverso i contrasti vivificano la fotografia. Fotografia comunicativa sul piano psichico e coerente con l'andamento scenografico delle emozioni voluto dall'artista. Per Bergman il colore rosso presente negli sfondi scenici più significativi doveva dare l'idea del profondo dell'animo. Di un animo inquieto. Preda di passioni incontrollate e sensi di colpa. Divorato da desideri ambigui coperti a stento dai pensieri purificatrici che scaturiscono dal rito formale.
Agnese è affetta da cancro da lungo tempo. Il film si sofferma sugli ultimi giorni della sua vita. Mette a fuoco le intimità più sconvenienti che i movimenti della sua immagine sofferente suscitano negli altri. Effetti di cifra leggibili nei pensieri dei componenti della famiglia. Pensieri che il dolore rende sempre più ossessivi.
Le due sorelle Karin e Maria sono presenze assidue nella villa di Agnese ma disorientate. Assistono la malata terminale con molte difficoltà psicologiche finendo per non darle quel conforto necessario a una morte serena. Solo la governante Anna dimostra una sensibilità e un attaccamento ad Agnese sinceri. Fuori dal comune. Tali da indurla a gesti di grande affettuosità e passione.
Anna consentirà alla malata una morte meno violenta. I moti di animo dovute alla imminente morte di Agnese si presenteranno, grazie alla funzione di terzo della governante Anna, più ricchi di manifestazioni visive intrecciate di deliri. Deliri di alto valore comunicativo ed emotivo perché lingua di un inconscio aperto dalle intensità degli investimenti psichici in gioco.
I sensi di colpa che di volta in volta si manifestano nei personaggi trovano un appagamento catartico nel rituale di tipo religioso: la preghiera, l'estrema unzione, l'idea del funerale, la confessione di ciò che si presenta alla coscienza. Essi sembrano richiamare un etica che non c'è. Qualcosa di impossibile. Qualcosa che proprio perché ha fallito sembra non poter morire. Ciò che manca allora è l'etica di Dio. Qualcuno che interceda per lui. Un giustiziere riparatore degli odi e contrasti devastanti delle sorelle, dei loro adulteri trasgressivi e cinici, della mancanza angosciante di ogni rapporto affettivo e sessuale con il coniuge. Mancanza quest'ultima che nel film porta a masturbazioni sanguinose e autopunitive.
Sarà la governante Anna un'estranea a intercedere per Dio. Essa darà pace alle colpe di ciascuno quando in un gioco di deliri e allucinazioni, voluti nelle scene da Bergman dopo la morte di Agnese, essa dimostrerà di essere in grado di aiutarla a morire una seconda volta. Questa volta serenamente. Scoprendo il seno e offrendoglielo come madre. Seno che viene visto da Bergman come significante di un benessere primario irripetibile e fonte d'amore assoluto. Funzione primaria alla ricerca di un appagamento impossibile lungo una coazione a ripetere dei nuclei di ricordi e desideri più significativi.
Le due sorelle fuggite spaventate di fronte alle richieste di pace e di carezze fisiche della defunta riconosceranno dopo il funerale alle prestazioni di Anna molto poco. Le verrà solo concesso di prendersi un ricordo personale di Agnese tra i suoi oggetti di casa. Anna è divenuta alla fine imbarazzante perché testimone e riparatrice simbolica degli odi della famiglia. Il diario di Agnese che Anna custodisce e legge fino alla fine del film danno un'immagine di Agnese poetica e di alto valore spirituale.
Sembra che Bergman voglia dirci che anche nella sofferenza si possono a volte raggiungere e sentire ricchezze percettive di estremo valore umano e artistico. Forme estetiche del dolore potenzialmente disponibili e comunicabili al di là di ogni divisione in classi o ceti sociali. Occorre però dare senza chiedere sembra dire il film, cristianamente?
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 20/07/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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