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Una sera Jong-pil Jo viene assassinato nel bagno di un fast food.
Sulla scena sono presenti alcuni studenti coreani con cittadinanza americana e due di loro vengono collocati all'interno del bagno dalle prime indagini della polizia. Il compito del procuratore Park sarà di stabilire chi dei due ha effettivamente commesso il crimine.
Basato su una storia realmente accaduta The Case of Itaewon Homicide si attiene abbastanza fedelmente ai fatti, di cui tenta una decodifica, mentre nel corso della rappresentazione lascia trapelare il sospetto tutt'altro che velato di una pesante interferenza. Park è un procuratore che giunge sulla scena di un crimine già completamente ripulita. Il CID del governo americano ha fatto i suoi rilievi e autorizzato la ripresa delle attività nel locale. Le testimonianze sono state raccolte e il procuratore, dopo una lettura delle deposizioni, decide di convocare uno dei sospetti indicati dalla polizia americana. Si tratta di Pearson, uno studente coreano/americano con doppia cittadinanza. L'incontro con il ragazzo, le cui scarpe insanguinate sono state ritrovate dagli investigatori, induce però Park a richiedere la testimonianza di Alex, un suo amico che vive negli Stati Uniti e che era presente la sera in questione. I due finiranno per accusarsi a vicenda e l'intero procedimento penale sarà basato sull'attribuzione della responsabilità dell'omicidio a uno dei due.
I rapporti tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud sono da sempre considerati buoni. Ma da un po' di tempo ormai, un diffuso movimento di opinione all'interno di quest'ultima si oppone alla presenza dei militari americani sul suo suolo. Ed è di questa protesta che si sente il respiro, intessuto all'interno della narrazione di fatti accaduti una decina di anni fa e mai veramente chiariti.
La sottile tesi di cui si compone questo film è che le ingerenze dei militari americani possano, in realtà, riguardare anche casi in cui sono coinvolti semplici cittadini in possesso di doppia cittadinanza.
Ma il senso di oppressione che si avverte nel corso dell'intera storia non è dato tanto dall'insinuare il fatto che la presenza degli americani, che sostanzialmente non vediamo mai in tutto il film, possa influenzare una corte al punto da lasciar cadere le accuse nei confronti di un ricco coreano/americano, quanto dal senso di impotenza quasi kafkiano che affligge sin da subito il procuratore incaricato dell'indagine.
Lo scontro in realtà è su molti fronti, il primo si consuma direttamente sulla scena del crimine tra l'autorità americana e la polizia coreana. A quest'ultima è demandata l'unica incombenza di trarre le conclusioni, dopo che il CID ha raccolto le prove e ascoltato i testimoni. Poi la controversia si sposta rapidamente sullo status sociale di tutti i ragazzi coinvolti. Alex è figlio di un ricco industriale, studia in America e può permettersi un abile avvocato, Pearson è membro di una gang giovanile, figlio di un messicano impiegato nell'esercito e di una coreana, mentre la vittima infine risulterà essere solo il figlio unico di un autista che aveva fatto molti sacrifici per pagargli l'università. E in questo dichiarare sin da subito l'importanza del ruolo sociale di ciascuno, emerge a tratti anche tutta la rabbia di chi dovrebbe sentirsi libero di risolvere un caso di omicidio, senza avvertire il peso delle pressioni dei potenti. Infine l'ultimo terreno di scontro sarà tra la moralità del procuratore e quella dell'avvocato di Alex, che Park aveva indicato come l'esecutore e che, grazie all'intervento di uno studio di avvocati importanti, riesce a evitare la prigione e a convertire addirittura una sentenza già emessa.
La regia è semplice, come la storia che si racconta, e la buona prova di tutto il cast, con una menzione particolare per il sempre bravo Jin-yeong Jeong, accresce la sensazione di realtà ineludibile e mai edulcorata che ammanta il tutto.
Il senso di scoramento che affligge il procuratore Park è senz'altro l'emozione maggiormente condivisibile nel corso dell'intera storia, essa infatti si impossessa rapidamente anche dello spettatore, il quale viziato dalle soluzioni positive in anni di thriller americani, dove i cattivi vengono sempre puniti, scopre che nella realtà dei fatti, almeno in Corea, i cattivi, specialmente se americani, non solo riescono a evitare la galera, ma possono anche dichiarare apertamente di aver ucciso un coreano solo per divertimento.
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 14/12/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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