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Molti sostengono che i sogni vivano solo nella nostra fantasia, ma alcuni registi riescono a trasformarli in realtà.
Fra questi c'è sicuramente Terry Gillam che, dopo aver confezionato una serie di flop con film eccessivi e spesso sconclusionati come "I fratelli Grimm", torna dietro la macchina da presa con un'opera che ben riassume tutte le tematiche che hanno reso grande il suo modo di fare cinema.
Tratto dall'omonimo romanzo di Mitch Cullin, che anni prima aveva mandato una copia del suo lavoro proprio al regista inglese, "Tideland" è rimasto nascosto in un cassetto fin quando, quasi per caso, è stato riscoperto e trasformato in film.
Per Gillam questo rappresenta un ritorno alle origini, realizzato con piccola produzione indipendente che gli ha permesso dare libero sfogo alla sua abilità visionaria.
La storia è incentrata su Jeliza-Rose, una bambina di dieci anni che, dopo la morte della madre per overdose, scappa con il padre tossicodipendente in una casa in campagna.
Jeliza evade dalla sua triste realtà con il sogno e la fantasia, proiettandosi in un universo parallelo popolato di streghe, bambole ed animali parlanti.
Chi conosce Terry Gillam leggendo questa trama potrà facilmente capire che il film altro non è che un pretesto di cui questi si serve per mettere in mostra tutto il proprio talento visionario, eppure non siamo in presenza di un mero esercizio di stile ma di un film complesso che sa toccare varie tematiche.
In primo luogo, Gillam non ha paura di utilizzare un linguaggio visivo a tratti violento, dalla rappresentazione di una bambina che prepara le dosi di droga ai suoi genitori alla presenza, quasi ossessiva, di un Jeff Bridges versione cadavere che fa capolino per gran parte del film. Sebbene tali scelte stilistiche siano state ampiamente criticate ed abbiano decretato la sottoposizione a censura in molti Paesi, va detto che la crudezza dello stile non è mai gratuita ma perfettamente integrata con il messaggio che Gillam vuole trasmettere.
Netta la contrapposizione fra luci, con sterminati e brillanti campi di grano, e le ombre, raccontate dalla case cupe, sporche e angoscianti, simbolo della tetra vita familiare della protagonista.
Una fotografia bellissima firmata da Nicola Pecorini, una vecchia conoscenza del cinema italiano che grazie a Terry Gillam sta muovendo i primi passi a Hollywood, avendo lavorato anche ne "I Fratelli Grimm".
Ottima la scelta del cast, a cominciare dalla bravissima Jodelle Farland, già vista nell'inquietante "Silent Hill"; da sottolineare poi anche la grandiosa interpretazione dell'irriconoscibile Brendan Fletcher nel ruolo di un ragazzo autistico.
Purtroppo però "Tideland" fa parte della categoria dei film già visti e, sebbene possa comunque considerarsi un piccolo gioiellino, nulla aggiunge dal punto di vista narrativo e dei contenuti alla cinematografia moderna; Tim Burton nel suo bellissimo "Big Fish" aveva già tentato la stessa operazione di Gilliam, sebbene inserita in un contesto diverso, riuscendo a dar vita ad un film decisamente più profondo di quello dell'ex Monty Python.
Nello stesso tempo, quello che maggiormente si apprezza in "Tideland" è la capacità con cui il regista sia riuscito, con un budget di appena 5 milioni di dollari, a realizzare un'opera così completa e ambiziosa.
Un ennesimo esempio, ove mai ce ne fosse bisogno, che non servono grandi capitali per fare del buon cinema.
Come ogni favola che si rispetti anche in Tideland c'è il lieto fine ma, quasi come in un film di Lynch, molti interrogativi restano aperti, lasciando allo spettatore il compito di trovare i tasselli mancanti.
Gillam rifugge da facile pietismi, riuscendo a raccontare anche le situazioni più drammatiche con piglio ironico e grottesco, senza mai cedere al cattivo gusto. Un piccolo gioiellino che ci fa sperare che la carriera di questo grande regista possa continuare a risplendere come in passato.
A distanza di due anni dalla sua uscita negli Stati Uniti, è stata finalmente annunciata la distribuzione di "Tideland" anche nelle sale del nostro paese; sicuramente una buona notizia anche se, dopo il trattamento riservato ad un capolavoro come "INLAND EMPIRE", distribuito in sole 25 copie, il pericolo che passi inosservato rimane elevato.
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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 23/10/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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