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non c'è niente di più triste che vedere un talento come Refn in una serie di immagini bellissime al servizio di una storia che definire un pasticcio è un complimento
Dopo too old to die young avevo qualche timida aspettattiva poichè pensavo che non si potesse fare peggio, invece refn.ci è riuscito!! Solita storia frammentata dove non si capisce assolutamente nulla, di un lentezza così esasperate che è impossibile non mollare questa serie dopo 10 minuti del secondo episodio. X carità la regia è ottima, le immaggini molto belle ma è impossibile da seguire perchè il tutto scorre in modo troppo, troppo lento. Bocciato.
Come in Too Old To Die Young, Refn piega la serialità al suo modo di concepire il cinema. Se l'esperimento precedente era più autoconclusivo, Copenhagen Cowboy lascia ampio spazio ad altre stagioni. Ha un personaggio forte e minuto allo stesso tempo, carismatico e misterioso quanto basta. Si possono solo intuire le sue origini: strega, essere sovrannaturale, persino supereroe con quella mise blu sempre in mostra. Porta fortuna a chi merita e sventura a chi la osteggia. A livello visivo e sonoro la serie offre il meglio del regista danese. A livello narrativo i tempi sono ampiamente dilatati, diversi personaggi ai limiti dello ieratico. Ma questo è Refn, divisivo quanto si vuole, sicuramente affascinante nei suoi trip visivo-sonori. Certamente non è il solito prodotto seriale.
Trovo Refn nei suoi ultimi lavori abbastanza ripetitivo nel modo di raccontare, qualcuno potrebbe dire che è sempre il suo stile riconoscibile, vero, ma i bravi registi devono anche sapersi rinnovare ed evolvere. Onestamente in questa serie ho trovato poca novità rispetto allo stile e alla creatività del regista e il tutto risulta un po' troppo ridondante. Resta comunque un prodotto tecnicamente perfetto ma questo per le opere di Refn è il minimo sindacale.
Sarà che non è il primo progetto televisivo di Refn e quindi non una novità, sarà la mancanza di Ed Brubaker, saranno i sei episodi contro i dieci di "Too Old to Die Young", sarà che alcuni momenti mi hanno fatto storcere un po' il naso, ma "Copenhagen Cowboy" non mi ha esaltato al massimo. Comunque la serie è ancora Refn libero dalle maglie produttive e quindi in grado di offrire uno spettacolo visivo e sonoro di alto livello, con i soliti ossessivi movimenti della macchina da presa ed il ritmo lentissimo, insostenibile per alcuni e per chi è abituato al cinema Marvel o "Fast & Furious".
Personalmente adoro Refn, quindi non è stato difficile apprezzare "Copenhagen Cowboy", seguire il percorso di un personaggio interessante come Miu e le varie situazioni che le succedono, ascoltare i synth del solito Cliff Martinez, entrare nel particolare mondo prevalentemente notturno di un regista sempre fedele a se stesso che in questo caso esalta si la figura femminile, ma non lo fa come moda temporanea dei vari movimenti MeToo e simili, ma con il suo stile fuori dagli schemi, distruggendo la controparte maschile, lui che nella sua filmografia (a parte "The Neon Demon") ha messo in scena storie con protagonista l'uomo. Novità, non mancano momenti ironici e sopra le righe, su tutti il discorso sul c***o del padre di Nicklas. Gli elementi sovrannaturali ricordano vagamente "The Neon Demon" ma sono imposti con originalità, assieme ai momenti onirici, però non sono riuscito a gridare al miracolo, perchè la narrazione non l'ho sempre apprezzata a pieno, ci sono momenti un po' butatti li, vagamente dozzinali.
Rimane il fatto che in particolare per i seguaci di Refn, è una serie da vedere assolutamente. Ora vediamo se Netflix avrà il coraggio di rinnovarla per un'altra stagione, ma ho tanti dubbi.