il cavallo di torino regia di Bela Tarr, Ágnes Hranitzky Ungheria 2011
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il cavallo di torino (2011)

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locandina del film IL CAVALLO DI TORINO

Titolo Originale: TORINOI LO'

RegiaBela Tarr, Ágnes Hranitzky

InterpretiVolker Spengler, Erika Bok, János Derzsi, Mihály Kormos

Durata: h 2.30
NazionalitàUngheria 2011
Generedrammatico
Al cinema nel Settembre 2011

•  Altri film di Bela Tarr
•  Altri film di Ágnes Hranitzky

Trama del film Il cavallo di torino

Il film è ispirato a un episodio che ha segnato la fine della carriera del filosofo Friedrich Nietzsche. Il 3 gennaio 1889, in piazza Alberto a Torino, Nietzsche si gettò al collo di un cavallo brutalizzato dal suo cocchiere, poi perse conoscenza.

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Voto Visitatori:   8,79 / 10 (12 voti)8,79Grafico
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Voti e commenti su Il cavallo di torino, 12 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Filman  @  04/06/2023 10:58:41
   9 / 10
L'obbiettivo, sadicamente oggettivo, era quello di ricreare l'immagine, forse inconscia e proiettata all'esterno, di un'esistenza miserabile e senza speranza, unica realtà che potesse spingere l'uomo all'abbandono di ogni bontà, di ogni etica e di ogni morale. TORINOI LO' è un capolavoro minimalista, tale che una patata bollita e spellata o una tormenta ventosa possano diventare elementi della storia dell'arte. Le lunghe inquadrature schiacciano e il motivo musicale accoltella, ma in generale ci troviamo di fronte ad un film che affligge, turba e fa impazzire lo spettatore nella maniera più ineluttabile con una quantità scarsissima di ingredienti: la semplicità di questa opera è inversamente proporzionale alla sua potenza, per quanto questo sia anti-deduttivo. E' la più grande fatica di Bela Tarr.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Edgar Allan Poe  @  08/02/2022 18:28:21
   9 / 10
Film tanto maestoso quanto difficile, nonché ad oggi (purtroppo) l'ultimo di Bela Tarr, per sua stessa decisione. "Il cavallo di Torino" è un lungometraggio volutamente lento e pesante, anche ripetitivo, ma con queste caratteristiche riesce a trasmettere esattamente ciò che lo stesso Tarr voleva. Non parliamo poi della tecnica: una serie di piani sequenza veramente ben studiati e messi insieme, che contribuiscono all'incedere lento del film e ne sono indubbiamente uno dei punti di forza. Certo, non un film per tutti, ma chi ama questo tipo di cinema non potrà sicuramente rimanere deluso.

Invia una mail all'autore del commento Suskis  @  03/08/2020 22:48:50
   8 / 10
Il pessimismo cosmico, in un film faticoso anche da vedere, dove se la vita ha un senso, pian piano lo perde, schiacciato dal ripetersi di gesti sempre uguali, senza possibilità di salvezza, cambiamento o speranza. Lunghissimi piani sequenza costringono a rivivere coi protagonisti i gesti vuoti dei loro giorni, con minimi cambiamenti (una visita, un gruppo di zingari, una lettura) che non portano a nulla. Intanto il mondo, sferzato da un vento perenne, un po'alla volta svanisce, portando verso la fine. Fotografia splendida, ma duro da digerire.

marcogiannelli  @  11/04/2017 19:55:43
   8 / 10
Béla Tarr prende spunto da un episodio della vita di Nietzsche per girare una pellicola che è più vicina alla videoarte piuttosto che al cinema vero e proprio. Un cinema di lunga durata, difficile e di ardua comprensione.
La ripetitività della vita umana è al centro della narrazione che, seppure quest'ultima spazi in sei giorni, si riavvolge su se stessa alla fine di ogni giornata. Lo stesso regista dichiara: "Vi è un'insistenza patologica nel riprodurre costantemente le stesse azioni nell'attesa che qualcosa di nuovo accada. È una tendenza tipica dell'essere umano. Quello che ho fatto nel mio film è stato riprodurre la vita." Il film è pessimistico sin dall'inizio e il degrado sarà man mano crescente, cosa riscontrabile su diversi fronti (pozzo, cavallo, brace ecc.). Il domani forse non esiste, e se esistesse non vale più la pena di vivere in questo modo ripetitivo e degradante. Forse vuole rappresentare l'Ungheria e il suo stato sociale, forse è un discorso universale, non abbiamo nessuna informazione su dove ci troviamo, né sembra avere così tanta importanza.
Per la regia Béla si affida al suo punto di forza, ovvero i lunghi piani sequenza, da delle carrellate e delle riprese inusuali. Ed è ben aiutato anche dal sonoro, in cui prevale il vento ai dialoghi, pochissimi, con un monologo in particolare di un personaggio di passaggio che rimanda alla poetica della pellicola, ed un particolare tema musicale ripetuto sovente. La cosa che però risalta maggiormente è la fotografia, che con il suo bianco e nero investe lo spettatore di malinconia e povertà.
Non lo consiglierei a nessuno perché sono 150 minuti di silenzio e di gesti ripetuti all'infinito, aspettando che qualcosa sconvolga la quotidianità e allo stesso tempo che arresti un lento declino che però è inesorabile, come è inesorabile la fine del mondo in Melancholia, come è inesorabile la fine di Walter White in Breaking Bad. E' cinema d'autore con tutti i pregi e i difetti che ne conseguono. Solo per appassionati.

Danae77  @  06/10/2015 18:26:55
   8½ / 10
La rassegnazione fa da cavallo di battaglia in questa pellicola straordinaria. Un lentissimo declino verso l'oblio, l'umana esistenza schiacciata da un'inesorabile onda d'urto segnata dalla natura, madre ormai stanca dei continui stupri subiti. Il bianco e nero come assenza di colore della vita, la monotonia dei gesti ripetuti giorno dopo giorno, sempre uguali, come lo scorrere inevitabile del tempo, giudice di azioni. Il silenzio tra i legami di sangue, rotto solo da un narratore asettico, estraneo alle faccende, dall'inquietudine dei viandanti e dal vento, l'unico vero protagonista. Un debole e poco convinto tentativo di fuga da una realtà senza via di scampo, miseramente fallito, falciato dalla paura dell'incerto, come se il certo fosse certezza assoluta e rassicurante. Un drammatico quadro di un'apocalisse.

william sczrbia  @  05/01/2015 23:22:07
   8 / 10
Pesante ma bello

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  18/12/2014 22:48:14
   9½ / 10
Bela Tarr si era ritagliato già uno spazio considerevole nella cinematografia seria con "Satantango": soprattutto per il coraggio. Pianure ungheresi battute dal vento e dalla fanghiglia, balli indemoniati, nichilsimo esasperato ed esasperante.
Con "Le armonie di Werckmeister" ha trovato il giusto equilibrio del suo stile pesantissimo ma magnetico come pochi altri e la volontà, per quanto oppressa dai pianisequenza e dai gesti reiterati, del narrare, attraverso metafore: merito anche dello sceneggiatore Krasznahorkai. E altro apporto determinante è arrivato dalle musiche di Mihàli Vyg.
C'è stato poi il curioso esercizio di stile "The man from London", che poco aveva da dire ma lo diceva splendidamente.
Ma Bela Tarr avvertiva l'imminenza della fine. E così ha deciso, con "Il cavallo di Torino", di entrare nella storia del cinema dall'entrata principale e non dalla porta di servizio. Ha "sentito" che forse il suo cinema oramai giunto a maturazione, riconoscibile, monolitico, rischiava di mutarsi in parodia di sé stesso.
Allora un testamento in diretta, ecco cos'è "Il cavallo di Torino", un canto del cigno annunciato.
L'ultimo e definitivo film di Bela Tarr è un capolavoro devastante, dolente e apocalittico, in cui non accade niente e accade tutto.
Per godere appieno di questo cinema che tanto, forse troppo chiede allo spettatore non c'è alternativa: prepararsi psicologicamente alle due ore e venti non facili, ma poi lasciarsi rapire da immagini incredibili.
La furia degli elementi, la capanna, il cavallo (di Nietzsche), la macchina da presa che fa i suoi giri vorticosi, qualche dialogo smozzicato o monologhi fastidiosi sul destino dell'uomo (e di Dìo), l'arrivo degli zingari sovversivi (la loro Bibbia), i tentativi di fuga subito abortiti, l'andamento ciclico dei 6 giorni e poi il buio, la fine annunciata.
Il cinema di Bela Tarr è finito, signori. Comincia qui la sua fortuna critica: che già lo considera, non a torto, un maestro.
Si resta ammaliati da un incantesimo diabolico. Con le musiche ipnotiche, "Il cavallo di Torino" (e praticamente tutto il cinema di Bela Tarr da "Disperazione" in poi) ci rapisce in una strana stasi mistica.

Ciaby  @  29/06/2013 00:04:46
   8½ / 10
"Il Cavallo Di Torino": uno di quei casi- film che pur essendomi piaciuti tantissimo, non consiglierei assolutamente a nessuno e che non credo di rivedere mai più.

Svegliamoci. Sgobbiamo. Puliamo le patate. Bolliamo le patate. Insultiamo il cavallo. Camminiamo nel vento. Ubriachiamoci. Fissiamo la finestra. Svestiamoci. Dormiamo. E domani ancora vento, patate, cavalli e lavoro.

Ciò che è emerge è una tragedia dell'esistenza tipicamente nietzschiana: anche se vorremmo cambiare il peso della nostra vita, appena ci arriva l'occasione per cambiare l'allontaniamo per paura. Vivere è faticoso. Anche guardare questo film lo è, ma è un'esperienza da fare: monolitico, maestoso, dolente.

Meraviglia.

CinemaD'Arte  @  08/05/2013 14:57:59
   10 / 10
Il cineasta ungherese, forse uno degli ultimi VERI maestri rimasti, filma una pellicola immensa, non da vedere, ma da vivere in tutto e per tutto, una vera e propria opera d'arte sotto forma di film. Ad iniziare dalla maestria con cui dirige, grazie ai bellissimi piani sequenza, vero e proprio cavallo di battaglia del regista, passando da una fotografia in bianco e nero che definire sublime non sarebbe ancora abbastanza; come del resto non si può non accennare alle magnifiche interpretazioni dei due attori protagonisti, János Derzsi e Erika Bók, o alla colonna sonora (composta da unico brano musicale ripetuto in vari momenti) capace di far percepire allo spettatore quel senso di disagio e pesantezza necessari per accompagnare una pellicola il cui tema principale, a detta dello stesso Béla Tarr, è "la pesantezza dell'esistenza umana". Estenuante, faticoso, spossante, debilitante: il degrado dell'esistenza, la pesantezza della vita, non c'è altro da fare se non rimanere seduti, aspettando la propria fine.

Badu D. Lynch  @  14/04/2013 23:27:38
   10 / 10
A Torinoi Lò (Il Cavallo di Torino) è il canto del cigno di Bela Tarr. Un film straordinario e immenso, che inquadra la quotidianità dell'essere umano ; la ripetitività dei gesti giornalieri e l'aspettativa inconscia che qualcosa di nuovo succeda, che la normalità venga stravolta e si modifichi in qualcosa di diverso - non necessariamente migliore o peggiore, ma semplicemente con l'aspettativa silenziosa che arrivi un giorno che abbia un aspetto differente, come una ventata d'aria fresca. Tutto ciò si sviluppa come se fosse una sorta di malattia esistenziale ; un continuo ripetersi e susseguirsi delle stesse azioni, stessi movimenti e stessi atteggiamenti. E' quasi un virus primordiale, un cancro cosmico che caratterizza l'uomo ; non viene rappresentata la morte, ma la vita in tutta la sua lentezza devastante, in tutto il suo procedere lento e goffo, come fosse un cataclisma abituale che non devasta le nostre giornate, ma le rende dannatamente ordinarie e identiche l'una con l'altra. Un film che inquadra la pesantezza della vita umana : focalizza e risalta gli strascichi interiori ed esteriori che ci portiamo dietro da tempo remoto, che appartengono alle radici della nostra esistenza ; tutto questo ripreso con totale realismo, sintetizzato nello strazio e nella difficoltà di compiere anche le attività più comuni e banali, ad esempio : andare a prendere l'acqua dal pozzo, cucinare, vestirsi, guardare fuori dalla finestra ; tutto questo è accompagnato da una tristezza vitale e un malessere primigenio che costringe lo spirito a degli sforzi disumani che il nostro subconscio nasconde sapientemente. La pellicola ci (di)mostra quindi, che in ogni tipo di esercizio, fisico o mentale che sia, c'è qualcosa di sbagliato - l'errore sta alla base del mondo.
In tutto questo disagio terreno, il vento ha l'aspetto del disastro ultraterreno, una sorta di punizione indefinibile, un destino avverso inspiegabile, che è in realtà la continuazione degli sbagli delle persone di questo pianeta ; la tempesta rallenta ciò che è già rallentato, consuma ciò che è già consumato. A chi vogliamo dare la colpa? All'uomo o a Dio? Forse ad entrambi?
A Torinoi Lò è lo specchio filmico che il regista pone davanti allo spettatore, e mostra, senza finzioni hollywoodiane, un evoluzione inconsistente e banale, la consapevolezza passiva dell'abisso, il ripetersi del nulla, il propagarsi del vuoto giornaliero che diventa pesantemente sostenibile. Questa meravigliosa opera è, simbolicamente, la risposta a 2001 : A Space Odissey. La pellicola di Kubrick terminava con una spinta filosofica, un invito a proseguire il viaggio, il cammino dell'essere umano ; Il Cavallo di Torino è la risposta a questa spinta, la prosecuzione di questo viaggio : l'uomo blocca il suo percorso evolutivo e patologicamente parlando, decide di perpetuarsi sotto forma di azioni meccaniche e cicliche - giorno dopo giorno, all'infinito - senza più nessun tipo di ambizione, ma aspettando che qualcosa di inconsueto accada, senza però fare il minimo sforzo perché ciò avvenga. Il lungometraggio è sostanzialmente la fine di tutto o, se volete, l'inizio di nulla. Una pellicola che ha il fascino dell'apocalisse, come se fosse l'ultimo e definitivo urlo disperato del cinema, la non-risposta a tutte le domande, la conclusione risolutiva.
Il film esprime un concetto semplice e limpido, che Bela Tarr trasforma in un'opera fantasticamente inquietante e drammaticamente riflessiva.

Capolavoro incommensurabile.

4 risposte al commento
Ultima risposta 23/04/2013 10.39.12
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gianfry  @  09/07/2012 09:18:01
   10 / 10
A Torinòi Lò: l'Apocalisse secondo Bèla Tarr, il suo Testamento (stando alle proprie dichiarazioni) al mondo della Settima Arte dopo il Monumento eretto con Satantango (1994), passando per Damnation (1988) e Le Armonie di Werckemeister (2000), giusto per citare i titoli che compongono la poetica che porta direttamente a questo suo Ultimo, Imponente e Irreversibile sguardo sul Mondo. Gli ultimi 6 giorni (ma ne vedremo praticamente 5) dell'esistenza terrena vissuti da un padre, sua figlia e un cavallo... quel sopracitato cavallo che portò il filosofo Friedrich Nietzsche alla pazzia... e di cui non si seppe più nulla.
Ed è proprio il Nulla più inquietante (il buio totale), che avvolgerà all'inizio del sesto giorno quella fattoria decadente dispersa tra le campagne, avvolta dalla miseria più nera, dove ogni azione quotidiana diventa quasi un rito di sopravvivenza (la vestizione, l'acqua al pozzo, le patate, la finestra). Il tutto viene ripreso come di consuetudine del regista, con estenuanti ma ipnotiche carrellate e piani sequenza: fin dalla prima inquadratura (un uomo, un cavallo, 6 minuti di viaggio verso casa), Tarr ci introduce lungo un tragitto in continua discesa, dove il capolinea è rappresentato dal cataclisma più silenzioso che si sia mai visto sullo schermo.
Un luogo, un tempo, un futuro.
Un luogo già escluso dal resto del mondo, spezzato unicamente da due, fondamentali componenti sonore: l'ipnotica e ossessiva soundtrack composta da Mihály Víg, che accompagna con perfetta scansione il continuo e incessante soffio del Vento. Simbolo di una Natura che si ribella con tutta la sua furia al degrado dell'umanità, capace di aumentare con prepotente intensità nel momento in cui la figlia esce di casa per andare verso il pozzo, e di arrestarsi solamente al calare dell'oscurità eterna.
Un tempo indefinibile, anch'esso scorporato dalla quotidianietà odierna, avvolto da una straordinaria fotografia in bianco e nero che sembra farne un film d'altra epoca. Un fascino talmente retrò da rendere The Turin Horse, non solo un modello "anti-hollywoodiano" per eccellenza, ma addirittura una pellicola di difficile inserimento anche in quel cinema contemplativo contemporaneo di cui, in fin dei conti, fa parte.
Un futuro però certo, qualunque sia il tempo o la zona che esso rappresenti. Un futuro da cui è impossibile fuggire: inutile, per padre e figlia, racimolare le poche cose che le restano e incamminarsi, con carretto e cavallo al seguito, attraverso vallate e alberi spogli in direzione di un altro luogo. Dappertutto sarà uguale, in nessun posto ci sarà salvezza! Gli animali lo sanno, ancora dal primo giorno: "i tarli hanno smesso di farlo", pronuncia il padre a sua figlia. Il cavallo ha smesso di mangiare e non vuole più muoversi, esattamente come il cavallo di Justine in Melancholia (2011), che non vuole attraversare il ponte, captando che di lì a poco, la Terra cesserà di esistere...
L'unica cosa che resta di fronte alla potenza della più totale oscurità, è la consapevole e disperata rassegnazione: con lo sguardo rivolto verso il tavolo, davanti a due patate bollite e a un lume che si spegne lentamente...
Capolavoro del Buio e del Silenzio!

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  03/03/2012 16:16:41
   7 / 10
E' stato difficilissimo arrivare fino alla fine perchè è un film che richiede un impegno non infifferenze, rigoroso in maniera maniacale con una grande regia a suo supporto che con pochissimi stacchi di montaggio e lunghissimi piani sequenza racconta un conto alla rovescia verso il Nulla. In sei giorni dove le azioni si ripetono secondo precise ritualità si assiste allo spegnimento della vita, all'annullamento degli elementi base dell'esistenza. Terra, Aria, Fuoco e Acqua si esauriscono. Rimane solo oscurità e oblio eterno. Un pessimismo estremo che si digerisce malvolentieri. Non è un film che rientra nelle mie corde, ma che può trovare estimatori perchè di spunti ne offre tantissimi.

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