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Thriller a sfondo psicologico con protagonista "Helena", una donna che deve superare i traumi di un'infanzia difficile e cercare di dimenticare lo stato di inconscia segregazione a cui l'ha costretta il padre violento e manipolatore. Il passato come sempre non muore mai e i fantasmi del passato ritornano per essere riaffrontati. Niente di originale ma "The Marsh King's Daughter" si lascia vedere tranquillamente. Daisy Ridley e Ben Mendelsohn come gli altri comprimari reggono le parti e l'ambientazione nel mezzo dei boschi e' particolarmente affascinante. Finale abbastanza scontato.
Sarebbe stato sorprendente che la protagonista abbia riabbracciato il padre e fuggita con lui, ma come le aveva insegnato quando era ragazzina proteggi sempre la tua famiglia.
Un conflitto di odio/amore tra Padre e figlia con spiegazioni mai ricevute riguardo a quel periodo del passato vissuto nel bosco, che si scoprira' essere un periodo di segregazione vero e proprio.
Il film non offre spunti originali e la trama è piuttosto convenzionale ma il lavoro del regista non è da buttare, malgrado si conosca ogni passo successivo riesce a rendere la storia avvincente.
Non tutto da buttare anche se non è un film che verra' ricordato.
Il lascito scomodo di un padre. Adorato nel periodo dell'infanzia, dalla cui ingenuità non emerge la sua reale natura. Un padre che ha rapito la madre, ha concepito una figlia, catturato ed imprigionato, poi evaso e forse morto. La vera ombra non è quel nomignolo che il padre attribuiva alla figlia (Piccola Ombra), bensì quella di una figura scomoda con cui bisogna fare i conti per chiudere definitivamente il passato ed uscire una volta per tutte dal mondo della palude che l'aveva tenuta in ostaggio, sia da piccola, sia da grande, metaforicamente parlando. In bilico fra due mondi e l'ostacolo definitivo per l'ultima scelta. Burger è un regista che non ha mai spiccato il volo, come questo film. Non brutto, piuttosto lineare, con buoni attori. Non abbastanza per essere ricordato.