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Film abbastanza modesto di Keighley che fa un po' il verso ai gangster movie dell'era proibizionista che Hawks, LeRoy e Wellman avevano codificato, il problema però è una messa in scena abbastanza blanda, che viene salvata soltanto dalla presenza di due leggende del genere come Robinson e Bogart, il primo ai tempi forse addirittura più famoso del secondo che doveva esplodere - era l'anno di "The petrified forest" e l'anno dopo ancora realizzerà "Dead End" con Wyler - che sopperiscono ad un impianto eccessivamente teatrale che appiattisce un po' tutte le sequenze, l'azione ridotta al minimo, la regia standardizzata su primi piani e campi medi, lontana dalle suggestioni delle grandi opere del gangster movie anni trenta che usava molto anche il sonoro e le ombre fuori campo, insomma nel complesso risulta un po' deludente, eccessivamente basato su lunghissimi dialoghi, seppur ben interpretati e nonostante una sceneggiatura valida che gioca tanto con lo scambio di ruoli e le infiltrazioni, un gioco di apparenze portato avanti dal personaggio di Robinson che inizialmente inganna pure lo spettatore e vive da infiltrato della polizia nel sottobosco del racket, però la regia non riesce quasi mai a creare una vera tensione, nonostante i grandi rischi che si prende il protagonista, la cosa che rimane più impressa è il suo duello con Bogart, che dipinge un personaggio meschino e arrivista, senza ideali e disposto a tutto per ottenere soldi e potere, potenzialmente il percorso di qualsiasi gangster descritto sullo schermo a quei tempi, capace di far fuori tranquillamente anche il suo capo per sostituirlo.
Nel complesso è un film gradevole, soprattutto per gli interpreti in gran forma, ma aggiunge ben poco al genere e si concentra un po' troppo sui dialoghi, per intenderci, è il classico film che dopo qualche giorno non ricordi più una sequenza, perché tutte molto simili, finale a parte, che riesce ad essere emotivamente forte, comunque una sufficienza stiracchiata se la merita.
Un buon noir, non dotato di particolare doti registiche, conferma, neanche a dirlo, di Bogart...e ora ascolto i Fugazi. Red medicine è il loro album migliore