Vole è accusato di aver assassinato una ricca vedova. Il testamento dell'uccisa, steso pochi giorni prima della sua morte, costituisce erede di una notevole sostanza il presunto assassino. La situazione di Vole è resa ancora più delicata dall'atteggiamento ambiguo della moglie Christine, una tedesca, ch'egli, inglese, ha incontrato ad Amburgo ed ha sposato durante l'ultima guerra. Il caso di Vole interessa vivamente un celebre avvocato, sir Wilfred Roberts, il quale, convinto dell'innocenza dell'imputato, malgrado la sua età non più giovane e le sue precarle condizioni di salute, ne assume la difesa.
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Wilder non delude mai: da uno dei racconti meno conosciuti della geniale penna di Agatha Christie, il grande regista americano tira fuori un giallo processuale straordinariamente ben scritto e recitato, giudicato dalla stessa Christie addirittura la migliore trasposizione cinematografica di una sua opera. La fenomenale sceneggiatura di Larry Marcus, Harry Kumitz e dello stesso Wilder delinea alla perfezione tutto lo svolgersi della vicenda, inserendo una divertentissima vena umoristica, quando non del tutto comica, che si insinua per tutta la durata tra le pieghe del film, alleggerendo il clima di drammaticità e di tensione creata dal mistero del delitto con spassosi siparietti che sempre al punto giusto scatenano nello spettatore più di una risata di gusto, tramite personaggi a metà fra il serio e il faceto - vedi le litigate fra sir Wilfried e Miss Plimsoll, le movenze e gli strani modi di fare della governante Janet, che mi ha ricordato molto i personaggi della nostra Tina Pica, e scene quasi tipiche della slapstick comedy come la caduta della trave nel locale della Dietrich ad Amburgo -. Si intravede tra le righe una critica al costume sociale, emerge (come due anni dopo in A qualcuno piace caldo) il tema dell'amore vero in rapporto allo squallido interesse personale ("Io ti ho tirato fuori dalla guerra, tu mi hai salvato da questo impiccio: siamo pari, direi"), ma forse nel profondo degli intenti di Wilder si trovava la volontà di mettere in ridicolo il mondo forense, illustrato come un sistema popolato di frasi ed espressioni stupidamente solenni e personaggi che ben poco hanno di austero (si vedano l'avvocato dell'accusa e il giudice), un meccanismo facilmente ingannabile e di per sé, quindi, inaffidabile (non c'è alcun dubbio che da qui risalga l'ispirazione di Hoblit per Schegge di paura). I personaggi, memorabilmente delineati ed interpretati, completano il puzzle del capolavoro. Il sir Wilfried di un Charles Laughton in stato di grazia si candida come una delle figure più di avvocato più memorabili mai portate sullo schermo, grasso, anziano, malato eppure irriverente ed animato dall'ardore dell'azione e del "vizio"; Christine Helm si propone - almeno all'apparenza - come l'imperscrutabile femme fatale tipica del cinema classico statunitense, e Marlene Dietrich, fra le massime esponenti della Hollywood delle grandi dive straniere, dona al suo personaggio quel sapore austero tipicamente tedesco (ricorda la Ninotchka di Greta Garbo nel famoso film di Lubitsch) in una delle sue non migliori, ma comunque ottime, interpretazioni, e Tyrone Power se la cava egregiamente nel suo ruolo di ignaro cittadino perseguitato coinvolto in un affare più grande di lui. Donano il giusto condimento al piatto i già citati personaggi secondari, su tutti la iper-apprensiva miss Plimsoll e la scorbutica Janet McKenzie. Dramma sentimentale, trial film, giallo "whodunit", commedia irriverente: vari stili e generi si mischiano in una perfetta amalgama che tiene letteralmente incollato allo schermo lo spettatore per due ore, tra dialoghi brillanti, situazioni divertenti ed una ricca dose di suspense da scoperta della verità, per arrivare ad una resa dei conti finale al cardiopalma in un turbinio di capovolgimenti di prospettive e svolte inaspettate. Da vedere e rivedere.