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"Un certo giorno" appartiene alla serie di film, apparsi alla fine degli anni '60, in cui si certifica la crisi del sistema di valori borghesi (lavoro e famiglia) che fino ad allora erano stati le basi della società italiana. Nello stesso periodo erano usciti nelle sale "Teorema" di Pasolini e "Dillinger è morto" di Ferreri. Fellini stesso con "Giulietta degli spiriti" certifica a modo suo la crisi etica borghese. Il punto di vista di Olmi è come al solito un punto di vista interiore, di coscienza, di rapporti interpersonali. Il succo è che i meccanismi lavorativi e sociali moderni alienano profondamente le persone, portandole all'insoddisfazione, alla perdita di senso e di valore nei rapporti reciproci e nel giudizio di se stessi. Il protagonista è un uomo di mezza età, sposato con prole. Si capisce durante il film che non trova più soddisfazione interiore nella vita familiare, nonostante l' affetto e la cura per la moglie e la figlia. Sente il bisogno di evadere, fuggire in campagna in compagnia dei cani, oppure cedere al fascino (anche sensuale) di una donna intelligente e spigliata. La possibilità di fare carriera lo porta a identificarsi con gli interessi della ditta di pubblicità in cui lavora, con corollario di stress e forti pressioni psicologiche. A far precipitare il tutto arriva un incidente d'auto in cui involontariamente provoca la morte di un povero diavolo. I guai alla fine vengono risolti, ma nella coscienza e nell'animo del protagonista rimane dolore, rimorso, vertigine, ben espressi in lampi onirici, riprodotti tramite montaggio alternato. A differenza di "Dillinger è morto" non esistono atti estremi o vie utopiche di fuga. C'è solo la resa e il rientro nei ranghi, Insomma non ci sono vie d'uscita. Intorno al protagonista c'è un mondo in cui agisce sempre di più la riduzione dell'essere umano a puro oggetto o meccanismo (vedi i discorsi dei pubblicitari). Le persone di una certa intelligenza e consapevolezza vivono amaramente, rendendosi conto della profonda solitudine dell'individuo, anche e soprattutto in quanto espressione della società moderna. Olmi ci regala nel film degli splendidi campo-controcampo durante scene-confessione che sembrano presi di peso da un film di Bergman. Vedendo questi film mi rammarico di come nel nostro sentire comune si sia completamente persa la cognizione della natura predeterminata del nostro modo di vivere (allora si aveva il coraggio di guardare alle cose come stavano) e di come noi del XXI secolo ci siamo completamente arresi all'alienazione, ne siamo diventati profondamente e drammaticamente vittime assuefatte.
Dopo tre lungometraggi sulle classi più umili e uno sul Papa (il "povero dei poveri"), con "Un certo giorno" Olmi rivolge la sua attenzione all'alta borghesia (vi ritornerà prepotentemente con "Lunga vita alla signora!"). La struttura narrativa è lineare ma il montaggio fin troppo audace, con flashbacks e flashforwards spesso ingombranti. L'incipit è macchinoso e bisogna pazientare molto prima di individuare il protagonista della storia. Lo svolgimento della trama è dominato da una costante apatia e da toni dimessi che castrano il rapporto causa-effetto contenuto nel titolo (incidente-reazione interiore) e il risultato finale perde vigore. Olmi si dimentica che la sua marcata prospettiva umanistica ha bisogno di opportuni accorgimenti comunicativi nei confronti dello spettatore, altrimenti ne viene fuori una mattonata di una mestizia infinita e neanche troppo incisiva.
Un certo giorno… avvertire distrattamente un rumore, notare delle macchie sul finestrino, lungo una strada come tante altre, rendersi conto d’avere tolto la vita ad un uomo. Un comune incidente. Poteva capitare a chiunque. Capita, nel film di Olmi, ad un affermato pubblicitario sul punto d’un elevazione professionale (non a caso, è un borghese che investe un umilissimo operaio) e implicato in un rapporto extraconiugale.
Già come in “Vivere” di Kurosawa, è una disgrazia a smuovere l’adagiamento d’un uomo alle soglie della vecchiaia. Lo conduce, dalla fredda pacatezza dei meccanismi del mondo pubblicitario (resi benissimo da Olmi, che prosciuga la pellicola di tutta la propria poesia), ad una considerazione più profonda, scaturita da una nuova attivazione: non fisica e caritatevole, come accadeva al protagonista di “Vivere”; ma riflessiva, personale, stressata dai procedimenti legali e al contempo concretamente impegnata a rivalutare il valore degli affetti familiari sopra le ambizioni professionali. La fiamma di Olmi è quella mesta d’una candela, che consuma solo sé stessa senza ardere nulla di ciò che ha intorno; origine d’una luce asciutta e accostabile a quella presente negli ultimi lavori di Bresson.
Sedere accanto alla propria moglie, davanti al televisore, nella quiete della propria casa in campagna, assopirsi sul divano, la sera… avere ucciso un uomo, un certo giorno… non poterselo mai dimenticare…