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Is there anybody going to listen to my story?
Era il 1963 quando faceva capolino sulla scena musicale inglese il singolo "Please please me", scoppiettante preludio beat di una band che, nell'arco di appena sette anni, stravolgerà il modo di concepire e creare musica.
John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr ben presto si trovarono a disagio nel frivolo nome che avevano scelto per il proprio progetto – "The Beatles", storpiatura in chiave beat di "beetles", "scarafaggi" – virando verso altissime vette pop, rock e sperimentale e finendo per rappresentare lo specchio e la colonna sonora di un decennio attraversato da violenti scossoni e profonde contraddizioni ideologiche.
Appare quindi piuttosto credibile il progetto della regista americana Julie Taymor, già sugli schermi con l'adattamento da Shakespeare "Titus" e con il biopic "Frida", di raccontare le vite di un gruppo di adolescenti dei sixties immergendole nel tessuto sonoro della band di Liverpool e permeandole del suo intenso profumo di libertà
Found my way upstairs and had a smoke, and somebody spoke and I went into a dream.
La storia è quella di un giovane operaio di Liverpool, Jude, che decide di partire alla volta degli Stati Uniti in cerca del padre che non ha mai conosciuto.
Una volta a destinazione stringerà amicizia con un ragazzo scapestrato ma d'animo gentile, Max, ed incontrerà l'amore di Lucy, sorella di questi; il tutto in una New York sconvolta dai disordini e dalle manifestazioni contro l'intervento militare statunitense in Vietnam ed attraversata da personaggi peculiari di una stagione sopra le righe.
Somebody calls you, you answer quite slowly
E' evidente come la storia non brilli per originalità, né si presti ad articolate soluzioni di sceneggiatura; ciononostante Julie Taymor riesce a confezionare un musical lieve quanto piacevole, una vera rivelazione nella sua soave spensieratezza.
Alla Taymor riesce infatti la delicata alchimia tra musica, coreografie, caratterizzazioni e ritmo narrativo, evitando con cura di ricadere nel citazionismo fine a se stesso e nella mera esaltazione agiografica; dosando efficacemente gli ingredienti a propria disposizione e giocando astutamente su stilemi comuni non solo generazione dei sixties, la regista americana riesce a rendere universale un prodotto potenzialmente appetibile ai soli fan dei Beatles.
Turn off your mind relax and float down-stream.
Molti sono stati i precedenti tentativi volti a portare sul grande schermo la musica dei Beatles, con risultati altalenanti: si ricordano a tale proposito i musical "A hard day's night" del 1964 ed "Help!" dell'anno seguente, entrambi diretti da Richard Lester, lo strampalato "Magical Mystery Tour" del 1967, che vide i Beatles impegnarsi direttamente nella regia, ed il cartoon "Yellow Submarine", il cui interesse è perlopiù circoscritto ai soli fan. Più interessante da un punto di vista qualitativo e decisamente più vicino a quello che sarà poi lo spirito di "Across the Universe" sarà invece "Mi chiamo Sam", diretto da Jessie Nelson nel 2001, in cui Sean Penn interpreta Sam, un padre affetto da menomazioni mentali in lotta per evitare che gli venga portata via la figlia Lucy.
La colonna sonora di "Mi chiamo Sam" è interamente composta da pezzi dei Beatles, eseguiti - inter alia - da interpreti come Ben Harper, Eddie Vedder, Aimee Mann e Nick Cave; a rispecchiare la passione di Sam per i fab four, ogni brano scandisce un momento della vita del protagonista, amplificandone la portata simbolica.
What would you do if I sang out of tune?
In "Across theUniverse, come in "Mi chiamo Sam", la musica dei Beatles diventa ideale tappeto sonoro per la storia portante, fungendo però non solo da semplice sottofondo quanto da vera e propria architrave strutturale del film: ogni emozione, ogni delusione, ogni avvenimento è sorretto ed al contempo veicolato dalla musica di Lennon e McCartney.
A tale proposito, è immediatamente evidente la particolare attenzione dedicata alla scelta dei trentaquattro brani utilizzati dalla pellicola. Si tratta di adattamenti sobri e funzionali di alcune tra le più raffinate perle del repertorio dei Beatles, evitando di cedere alle invitanti tentazioni mainstream: non c'è traccia alcuna di "Yesterday", "Love me do" o "Help!", mentre i pezzi più noti al grande pubblico sono comunque utilizzati con onestà e rigore stilistico; non stona quindi l'inserimento nella colonna sonora di "Let it be", "All you need is love" o "Hey Jude".
You may be a lover but you ain't no dancer.
Un importante ruolo nella riuscita di "Across the Universe" è giocato dalle ottime coreografie che accompagnano le esecuzioni dei brani: si segnalano in particolare la scoppiettante "With a little help of my friends", che omaggia nella parte finale la nota cover che ne fece Joe Cocker, appena prima di ritrovare lo stesso Cocker protagonista dell'ottima ed intensa interpretazione di "Come together"; straordinarie poi le coreografie di "I want you" e "Being for the benefit of Mr. Kite!", mentre merita di essere ricordato l'autoironico cameo di Bono degli U2 nel ruolo di Dr. Robert , alle prese con una fedele e fedelmente surreale "I am the Walrus", intonata a bordo di un autobus che tanto ricorda quello del "Magical Mystery Tour". Lo stesso Bono interpreterà poi "Lucy in the sky with diamonds" sui titoli di coda, ideale saluto ad un mondo tanto scanzonato quanto affascinante.
La migliore delle coreografie è però quella orchestrata per "Happiness is a warm gun", che vede protagonista una sensuale Salma Hayek – che aveva già lavorato con la Taymor in "Frida" – in mise da infermiera.
Words are flying out like endless rain into a paper cup.
Convincente il cast, in cui spicca la giovane Evan Rachel Wood, nota per il controverso "Thirteen" e per una altrettanto controversa liason con il cantante Marilyn Manson, ma in cui non demeritano i due co-protagonisti Jim Sturgess (Jude) e Joe Anderson (Max); Mr. Kite è invece interpretato dal cantante ed attore comico britannico Eddie Izzard, noto per i suoi travestitismi
Living is easy with eyes closed.
E' con vivo entusiasmo che si saluta pertanto un musical finalmente intelligente, brillante e brioso, libero sia di quella fastidiosa ruffianeria che ha afflitto tutte le più recenti produzioni hollywoodiane, sia di quell'aura modaiola patinata che incombeva sul pur originale "Moulin Rouge". "Across the Universe" è un prodotto rivolto a chiunque abbia voglia di avvicinarvisi, e non necessariamente ai soli fan dei Beatles; certo, questi ultimi si diletteranno nel cercare di individuare le innumerevoli citazioni di cui è infarcita la pellicola, ma il profumo di un campo di fragole è inebriante per chiunque abbia la voglia e la pazienza di lasciarcisi condurre.
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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 12/11/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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