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Primo lungometraggio di Yann Samuell, ex disegnatore di fumetti francese, il film è un altro felice o infelice esempio, a seconda dei gusti, della anarchia dei distributori italiani che non hanno tenuto conto minimamente del titolo originale "Jeux d'enfants- Giochi infantili", falsando così le intenzioni del regista.
Giochi infantili -anche se alle volte un po' crudeli- come solo i bambini riescono a essere più o meno inconsapevolmente, sono quelli tra i due piccoli protagonisti all'inizio della storia, due bambini con alle spalle situazioni difficili, l'emigrazione e la difficoltà di accettazione da parte di un mondo dove è poco possibile non essere "uguali" e la malattia della madre complice e amica. Così anche i due diversi si ritrovano uguali e incominciano a prendersi beffe della vita e di se' stessi in un crescendo a volte comico a volte drammatico, tra sogno e fantasia, ricostruzione fiabesca e immagini oniriche alla Marc Chagall, il tutto facendo uso di primi piani ravvicinati e panoramiche, ispirandosi un po' alla tecnica e allo stile di Jeunet per "Il favoloso mondo di Amélie".
Amélie, però, è una disadattata felice che coglie l'aspetto pascoliano del fanciullino che è in lei, invece Sophie e Julien (i due protagonisti del film) sono due "bambini dentro" che, per sfuggire alla vita adulta, riescono a fare e a farsi del male anche senza essere apparentemente pienamente consapevoli di questo.
Tra azioni di durata dilatata e decenni trascorsi in pochi attimi, come solo nelle fiabe può avvenire, il film scorre in maniera trascinante nella sua prima parte dedicata alle marachelle dei piccoli protagonisti per poi rallentare e turbare quando i due interpreti ormai adulti trasformano i loro giochi in distruzione e autodistruzione, dando l'impressione a chi guarda di non essere più due eterni fanciulli, ma piuttosto due adulti problematici da psicanalizzare, sostituendo l'amoralità propria di chi non sa di far male con la vendicativa cattiveria di chi è pienamente capace di intendere e volere il bene e il suo contrario.
Accompagnato da innumerevoli versioni de La vie en rose, caratterizzato da accelerazioni, una svariata gamma di colori forti, il film sembra essere stato concepito quasi come un cartone animato e ha come fonti di ispirazione oltre a Jeunet (malgrado la iniziale smentita da parte del regista) anche Chaplin, René Clair e Frank Capra.
La storia è irriverente, ironica, audace e solleva un velo su tutte le deviazioni e le provocazioni che ognuno di noi nasconde nel proprio intimo per lasciarsi affogare in una vita monotonamente di routine, inoltre parla di Eros e Thanatos uscendo dal clichè di tragedia che gli è sempre stato riservato.
In conclusione un plauso particolare a Joséphine Lebas-Joly e Thibault Verhaeghe, alias Sophie e Julien da bambini, assolutamente perfetti.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 02/03/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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