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Secondo Andy Warhol ognuno di noi ha diritto ad avere quindici minuti di notorietà, ma i quindici minuti durano poco e invece quello che conta davvero è avere imperituro successo.
Per il successo si può fare qualsiasi cosa: vendere il proprio corpo (e i recenti scandali ci possono dire qualcosa), mettere in piazza segreti e vergogne di famiglia, arrivare a perdere la propria vita.
I protagonisti di "American Dreamz" seguono alla lettera questo imperativo categorico: avere successo a tutti i costi, non importa se sentimenti e persone ne vengono travolti o calpestati.
Cinico e spietato è Martin Tweed, presentatore di un programma che potrebbe essere la versione stelle e strisce (quindi peggiore al cubo) del già pessimo "Amici": volto di Hugh Grant, a cui il superamento della boa dei quaranta ha donato un'espressione facciale che ne fa il "bastardo" per eccellenza, altrettanto cinica risulta essere Sally, una concorrente della sua trasmissione, al secolo la brava Mandy Moore, viso da Barbie e mentalità da arrampicatrice sociale, cinico è il consigliere del presidente USA (un irriconoscibile Willem Dafoe con il trucco da Dick Cheney).
Il programma di Tweed (ricalcato su American Idol, programma USA seguitissimo) sfrutta i casi umani per fare audience e loro, le vittime, stanno al gioco, obnubilate dalla possibilità di arrivare al vertice. Ma c'è anche chi, pur essendo al vertice, rischia di venirne scalzato a causa di un "calo di popolarità": è il caso del presidente degli Stati Uniti (uno strepitoso Dennis Quaid, "physique du rôle" perfetto per interpretare il suo inebetito personaggio).
Quaid è affiancato da una moglie tanto fedele quanto troppo pericolosamente somigliante alla vera first lady ed è in tutto e per tutto un fantoccio teleguidato dal suo più stretto collaboratore alla stregua della giovanissima Ambra all'epoca di "Non è la Rai".
La satira politica e quella sociale si inseguono continuamente in questa pellicola acida e pungente: tra i concorrenti finali della trasmissione "American Dreamz" c'è un rapper ebreo e un giovane iracheno, parente di una famiglia di ricchi immigrati. Il giovane è un aspirante kamikaze, a suo modo un'altra originale maniera per a vedere il proprio nome stampato per sempre nell'immaginario collettivo.
Non manca la critica a chi, sempre in nome della gloria vera o presunta, decide di partire volontario per la guerra in Medio Oriente, consapevole che basta poco per poter dire "c'ero anch'io".
Il giovane regista Paul Weitz, reduce da pellicole interessanti ("About a boy" e "American pie"), non risparmia zampate graffianti a nessuno ed è un peccato che questa pellicola sia uscita praticamente a fine stagione perché di spunti ne offre davvero tanti.
Si potrebbe obiettare che è dai tempi di "Eva contro Eva" che gli aspiranti al successo sono disposti a passare sul cadavere dei propri parenti stretti pur di arrivare a sfondare, o che anche Moore ha mostrato al mondo la vera faccia del presidente USA (stranito e intento a leggere fiabe in un asilo mentre a New York le torri gemelle si sbriciolavano) e che di trash tv si parla da decenni, ma vedere tutto il marcio insieme è un pugno nello stomaco e alla mente.
Con il suo film dal ritmo incalzante, Weitz fa ridere e pensare. Non offre rimedi ovviamente, anzi mostra l'arrivismo all'ennesima potenza e l'instupidimento di massa davanti a programmi creati ad hoc per impedire pensiero e azione, moderna edizione del panem et circensem di romana memoria. Purtroppo anche se la lezione è stata recepita non basta una satira ben fatta per cambiare tutto.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 16/10/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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