I migliori anni della nostra vita.
"Diari" affronta con originalità un tema che in Italia è stato affrontato sporadicamente e che non ha mai dato vita a un vero e proprio filone. Il cinema, qui da noi, ha spesso raccontato il mondo scolastico e adolescenziale prendendolo a spunto per la comicità pecoreccia delle commedie scollacciate Anni '80, e talvolta con risultati peggiori, attraverso il prisma di una critica sociale moralistica e politicizzata: tra i registi che hanno fatto eccezione, oltre a Lina Wertmuller e Daniele Luchetti, ricordiamo Nanni Moretti in "Bianca", anche se la caricaturale (e preveggente) ricostruzione ambientale di un istituto scolastico è in gran parte funzionale alla figura del protagonista.
"Cahiers", diari appunto, di Attilio Azzola si inserisce piuttosto nella tradizione classica del cinema francese che, da Jean Vigo in avanti, al filone adolescenziale ha dedicato attenzioni particolarmente sincere; l'approccio stilistico del regista milanese infatti ricorda quello di maestri d'oltralpe come Truffaut (e più recentemente Abdel Kechiche con "La schivata") che hanno saputo dare al loro cinema giovanilistico, una ineffabile, poderosa leggerezza. Ed è proprio questa apparente lievità dei toni, misurata da un equilibrio che non fa mai trascendere i sentimenti in sentimentalismo, che il film riesce a commuovere e divertire, senza cadute di stile o furbizie di sorta.
Le tre storie di Eleonora, Alì e Michele si intrecciano con una originale struttura narrativa che riunisce nel terzo "atto" i due precedenti e che dà al film una forte unità "circolare", un po' come ne "Il cerchio" di Panahi.
Nel primo episodio, "Storia di Leo", la protagonista si riavvicina al padre che l'aveva abbandonata da piccola. Frequentando un corso di recitazione, tenuto proprio dall'inconsapevole genitore, si sfoga apertamente e senza filtri e liberandosi del suo peso recupera almeno in parte il rapporto.
Nel secondo Alì è un giovane tunisino appassionato di manga che si innamora di una compagna di scuola. La seduce con chat anonime e la incontra in un giardino - o piuttosto un labirinto simbolico - che sembra incantato (azzeccata la irreale luminosità dei verdi) ma che tale non è, proprio come l'età di mezzo fra infanzia e maturità.
Il terzo racconta l'amore perduto di Michele Mancia, un anziano ed elegante professore, tenero e commovente ruolo che ricorda, in forma più poetica, le migliori interpretazioni di Fernando Rey nei panni degli ossessivi personaggi di Luis Bunuel.
Tre storie che ci parlano di un mondo a parte dove assenze affettive e presenze familiari troppo ingombranti sono all'origine di insicurezze e incompatibilità generazionali e in cui le relazioni fra genitori e figli, amici e amanti, sono affidate a mezzi sostitutivi al semplice utilizzo diretto della parola. Tutti i personaggi cercano di aggirare la comunicazione diretta, con l'eccezione di Leo, e perfino il vecchio professore, che continua a pagare da decenni la sua esitazione nel dichiararsi, insiste ad affidarsi a lettere che non saranno mai lette dalla sua amata Maria.
"Raccontato" con movimenti di macchina discreti e personali, senza inutili sperimentazioni che in questo caso sarebbero risultate inappropriate, "Diari" fa venire in mente i dettami dei pionieri dei Cahiers du cinema sulla "camera stylo" che doveva muoversi come una penna stilografica in mano al regista (per Bazin il cinema era "linguaggio della realtà" ed espressione diretta dell'Autore) e, anche in questo caso, equilibrio e leggerezza la fanno da padrone, in totale coerenza con la poetica del film. Gli attori non professionisti (ennesima norma teorizzata dai Cahiers), ma di certo dal comportamento in scena altamente professionale, si prestano perfettamente a questo gioco di pedinamento e si rivelano pertinenti e credibili, proprio come sceneggiatura e fotografia che aggiungono spessore all'opera prima di Azzola e del suo giovane gruppo di lavoro.
Premiato a Cannes 2008 nella categoria Ecrans Juniors, in cui una giuria composta da giovani appassionati seleziona i migliori film che trattino storie adolescenziali, nell'anno della Palma d'Oro assegnata al francese "Entre les mures", che tratta un tema riconducibile al nostro "Diari", e dei premi a Garrone e Sorrentino, il valore di questo riconoscimento si carica di ulteriore significato per il nostro cinema, finalmente in grado di perseguire strade nuove e, come in questo caso, molto promettenti per gli anni a venire.
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Recensione a cura di fabrizio dividi - aggiornata al 11/06/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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