Recensione dream house regia di Jim Sheridan USA 2011
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Recensione dream house (2011)

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locandina del film DREAM HOUSE

Immagine tratta dal film DREAM HOUSE

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Immagine tratta dal film DREAM HOUSE
 

Siamo in inverno, New York giace silenziosa su un soffice prato di neve, nell'ufficio di uno dei numerosi e suggestivi grattacieli di Manhattan, Will Atenton (Daniel Craig), editor di grande fama, firma le dimissioni dal proprio lavoro; ai colleghi increduli dichiara di voler occupare il suo tempo per scrivere un nuovo romanzo ed essere più vicino alla famiglia.
Will, la moglie Libby (Rachel Weisz) e le loro due bambine vanno ad abitare in una bella casa di legno a due piani, comprata in una cittadina del New England. L'abitazione, un po' troppo isolata dalla città, nasconde però un tragico fatto: cinque anni prima una madre è stata uccisa insieme alle due figliolette. Il padre delle bambine e marito della donna, di nome Peter, all'arrivo della polizia, subito dopo i fatti di sangue, era fuori di sé, giaceva ferito sul pavimento, con le mani strette sulla testa sanguinante per un colpo di striscio di arma da fuoco e venne ricoverato in un istituto psichiatrico carcerario addetto alla cura dei detenuti con problemi mentali.
Peter fu immediatamente sospettato del triplice omicidio, ma non fu mai riconosciuto colpevole, sia per mancanza di prove che di moventi. L'uomo dopo una trafila burocratica lunga cinque anni, intervallati da cure psichiatriche, ottenne la libertà.

L'editor Will preso possesso della nuova casa fa poi conoscenza con la vicina Ann (Naomi Watts), che è in lite con il marito separato Jack (Marton Csokas), il contrasto verte sull'affidamento della figlia. La donna conversando con Will getta un po' di luce sui tragici avvenimenti che hanno interessato la casa appena acquistata, vicende su cui Will, inaspettatamente, mostra un interesse quasi morboso senza sapere lui stesso perché. Più in là Ann darà prova di essere al corrente di diverse vicende di Will, cosa che lascerà l'uomo stupito, è un po' come se in passato la donna lo avesse in qualche modo già conosciuto e frequentato.

Il comportamento di Ann con Will presenta anche delle asimmetrie sul piano visivo, lei sembra osservare la casa di Will in modo diverso da lui; alla donna lo stabile non appare bello e accogliente ma vuoto e solitario, tanto che un giorno Ann porta un pasto caldo a Will compatendolo per la situazione in cui si trova, trattandolo come se fosse un singolo sull'orlo della disperazione, abitante in un appartamento fatiscente lasciato andare in rovina. Perché allora Will e lo spettatore vedono la casa così splendente e confortevole?

Jim Sheridan, regista di grande talento, conferma in questo film tutta la sua straordinaria capacità nell'incuriosire e agghiacciare lo spettatore con intrecci dal tono familiare che, per improvvisi innesti di elementi stranianti, si trasformano in contrasti apprensivi di alto pregio emotivo. Questi contrasti si sviluppano su diversi piani psichici, consci e inconsci, coinvolgendo anche il super-io dello spettatore che viene costretto a prendere posizione rispetto a qualcosa che lo tocca direttamente inquietandolo.

L'effetto d'insieme del film è di rara bellezza spettacolare ed efficacia catartica, purificatrice di un senso di colpa inconscio di origine primaria, un effetto prezioso per l'intensità delle emozioni che procura allo spettatore. Il film si avvale anche di un finale del tutto imprevedibile nonché arricchito di una particolarità di alto valore letterario legata a forme di mistero radicate nel reale, una sorta di sintesi risultato di un gioco ad effetti che coinvolge sia i sensi normalmente riconosciuti sia quelli inconsueti che pochi dimostrano di avere, come le capacità mediatiche di comunicare con i morti.
Quest'ultime non hanno potuto ancora essere accettate in pieno nel sociale perché per lo più sono premonitrici di paure, mal sopportate dalle istituzioni religiose e paradossalmente cozzano contro ogni sorta di pregiudizi superstiziosi provenienti dalla scienza, dal costume più evoluto e dalla laicità più atea, cioè proprio da quei mondi noti per rivolgere spesso l'accusa di superstizione a chi opera nel campo metafisico dei medium paranormali. Questi aspetti sono comunque positivi perché contribuiscono a creare nel film una dialettica provocatrice che è produce pensieri critici.

Il film porta nello stile, nella sintassi visiva con cui si esprime, la firma inconfondibile di Sheridan, al di là del fatto che in questa opera il regista ha dovuto fare con il suo produttore diversi compromessi, cedendo sul desiderio del finanziatore di rivedere parti del film, pur tra la protesta dei protagonisti stessi. I compromessi riguardano tagli e inserimenti di scene secondo logiche di marketing di livello poco qualitativo, ma non sembra che abbiano influito più di tanto sullo stile e la scorrevolezza dell'opera.

Ricordiamo con stima Sheridan in film come "Il mio piede sinistro" (1989), drammatico, "Il campo" (1990), drammatico, "Nel nome del padre" (1993), drammatico, "The Boxer" (1997), drammatico, "Get rich or die tryin'" (2005), Azione, "Brothers" (2009), drammatico.

In questo film dal genere ambiguo, che potrebbe essere definito con un non facile neologismo cinematografico un thriller ghost a sfondo psicanalitico, giocano diversi elementi narrativi non tutti facilmente assimilabili in una direzione di stampo letterario classica, humus quest'ultimo da cui dovrebbe sgorgare l'effetto estetico di fondo di molti film thriller, qualcosa cioè di elaborato sulla base di un sapere cinematografico aperto e ben acquisito, in grado di volta in volta con delle opportune specificità inventive di lasciare con il fiato in sospeso lo spettatore; in questo film ci sono idee guida psicologiche, psichiatriche, letterarie, paranormali, inserite in un racconto dove pesa molto anche l'aspetto sociologico dominato dalla classe borghese, unica vera protagonista perché portatrice dell'eterno sogno americano.
Una classe quella borghese su cui ruotano le maggiori pulsioni di identificazione dello spettatore: attratto dalle case ben arredate, dalle ville da favola, dall'amore trasparente dei personaggi per la vita, dal fascino e dalla facilità delle relazioni borghesi, dalla bellezza delle cose con cui la classe borghese giunge a contatto, dai progetti professionali di successo.

Ma fare spettacolo con delle tensioni o suspense efficacemente costruite, avvalendosi unicamente delle cose belle è impossibile, ecco quindi la necessità di mettere in scena dei contrasti, con delle logiche che favoriscono riedizioni inconsce anche turbolente che ciascuno nel profondo ha, mettendo per un attimo in secondo piano la sfera conscia spostata in una zona temporale di standby. Con ciò l'effetto spettacolo e l'interesse filmico- culturale è garantito. Sheridan lo fa senza rinunciare alla sua verve inventiva, evitando il peso del già visto, in virtù di un racconto nell'insieme originale rispetto a quanto è stato prodotto finora nella storia del cinema.

In questo film la bellezza della classe borghese con tutte le sue problematiche negative, in parte psicologiche, in parte psichiatriche vicine al paranormale, viene ridimensionata, si crea un quadro di contrasti che avvince lo spettatore medio.
La prima parte del film è molto fascinosa, è quella che ruota intorno alla presentazione di un uomo di successo, che è protagonista dal nome Will con tanto di famiglia tipo, bella e operosa, presa in un progetto di vita avvincente. Poi via via arrivano le verità più scomode sul personaggio appena illustrato fino al punto che il congegno identificativo dello spettatore passa dall'invidia alla commozione e poi al compatimento fino a quando l'identificazione viene abbandonata e lo spettatore sposta la sua attenzione sull'attesa del finale, rimanendo catturato in una logica immaginaria che ha cambiato rotta, apparendo ora più sul versante della proiezione del sé sullo schermo.
E' un cambio emotivo non facile, auspicato, necessario per dare complessità e dinamismo al film facendolo approdare poi in una zona temporale "sciogli macchia", che rimane segreta fino all'ultimo e che con gli ultimi eventi del tipo "deus ex machina" dovrà suscitare negli spettatori trepidazione, stupore e raccapriccio, seguiti da una riconciliazione inconscia con il proprio super-io chiamato in precedenza in causa per gli spettatori a giudicare gli altri e se stessi.

Il film nel battage pubblicitario, più che nel contenuto e nella forma, deve molto al film "Shining" di Kubrick, avendo messo come richiamo sulle locandine della distribuzione le immagini di due bambine dalle sembianze simili a quelle del film di Kubrick, uccise dal padre in un raptus di follia all'Overlook Hotel.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 31/08/2012 16.33.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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