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«Samhein non né il diavolo né dio né una strega, non è altro che l'abisso del nostro inconscio, tutti abbiamo paura del lato nero che è dentro di noi»
Esattamente 3 anni dopo il capolavoro di Carpenter, "Halloween - La notte delle streghe", Rosenthal decide di produrre un sequel che riprenda la storia proprio dove era finita, dando così vita ad un secondo "tempo", utilissimo ampliamento del nucleo originale, che ci permette di capire maggiori aspetti sul sanguinario omicida Michael Myers.
Sono passati esattamente 15 anni da quando Michael uccise - in età adolescenziale - la sorella per motivi sconosciuti ed ora la minaccia di un pericolo incombente si diffonde nella città di Haddonfield, dove giunge la notizia che il "mostro" è uscito dal manicomio criminale in cui era rinchiuso, per attuare una vedetta, uno sterminio, un qualcosa di indescrivibilmente macabro, proprio nella festa di "Ognissanti", quel 31 Ottobre da tutti i pargoli festeggiato con tanto di scherzetti alla "Trick or Treat". Il Dr Loomis, psicologo che ha assistito da vicino Myers durante la sua permanenza nel manicomio, intuisce subito che bisogna fermare la sua avanzata, ma non sa come: sei colpi di pistola e la caduta da un balcone non bastano per ucciderlo, invulnerabile come è. Intanto per Laurie Strode inizia un lungo calvario, essendo lei la vittima "preferita" del mostro (nonché sua "sorellastra") ed evocando in lui immagini del suo passato e dei suoi legami con la famiglia. L'ambientazione è quella di un ospedale, dove Laurie è in cura, dopo le ferite ricevute, con l'assistenza di un "equipe" molto fornita di infermeri ed è proprio qui che si consuma una sanguinosa tragedia dove nessuno si sottrarrà all'ossessione omicida del "villain".
Per tradizione i sequel sono sempre un buco nell'acqua, neanche lontanamente paragonali ai predecessori per stile e raffinatezza, il che è osservabile soprattutto quando si verifica un "cambio" di regia. Imitare Carpenter è un'impresa quasi impossibile, ma Rosenthal ha sfiorato il successo e ha realizzato una pellicola comunque bella ed emozionante, proprio come il prequel, riuscendo a creare delle atmosfere tipicamente horror, piene di suspense e contando su un'ambientazione, quella dell'ospedale, che suscita angoscia e senso di claustrofobia (soprattutto quando inizia a giocare con i giochi "luce-ombra" e con i movimento istantanei della macchina da presa). Addirittura, in certi momenti, cita alcuni cult del cinema passato: la soggettiva iniziale dell'assassino è presente anche nello slasher "Black Christmas", mentre l'omicidio della parte centrale è un piacevole richiamo alla pellicola di Dario Argento, "Profondo Rosso". Essendo questo uno slasher anni 80, non mancano tutti gli ingredienti "tipici" di questo genere (come le scene di "sesso"), topoi che ricorrono cioè spesso e che possiamo trovare in altri film dello stesso periodo (pensiamo anche a "Venerdì 13").
Questa II parte non si dilunga in noiose spiegazione psicologiche, è diretta, ben congegnata e mostra da subito una certa volontà di "rappresentare" (idealmente) il male, inteso come un qualcosa di indistruttibile ed immorale, che ricresce continuamente senza mai "morire" definitivamente. Un male che si rifà a tradizioni ancestrali, quali quelle celtiche, banchetti durante i quali si compivano sacrifici per evocare il "demonio" e per attirare l'attenzione degli dei, ma più nello specifico per entrare in contatto con un abisso che è il nostro inconscio. Shamein quindi non è che un concetto "ideale", un culto celtico che ritorna nella società consumistica americana, a rappresentare un male che si annida nei meandri della mente.
Si supplice tranquillamente alla mancanza di Carpenter e si "amplia" con un approfondimento innovativo il suo nucleo, la base. La notte delle streghe è infatti considerabile l'inizio del male, il punto in cui inizia a germogliare, con una percezione graduale che va di pari passo all'arrivo di Michael Myers: c'è meno azione,oltre che un'ambientazione domestica. Mentre questo proseguimento di Rosenthal è tutto fondato sull'adrenalinico movimento della macchina da presa, sulla copiosità di sangue e di omicidi, sulla camminata lenta ma incessante di Myers: ormai il male ha attecchito nello "spaccato" sociale e non c'è soluzione alcuna se non quella di aspettare la fine della notte, l'arrivo dell'alba che porta la luce (quindi "idealmente" il bene).
Caustica, inquietante è la figura del villain, anche se un po' inverosimile (colpa di una sceneggiatura in parte approssimativa, dove la mano di Carpenter è quasi invisibile). La sua invulnerabilità è spiegabile solo formalmente con questa interpretazione metaforica del "male che non muore mai", ma dal punto di vista della sceneggiatura è un' incoerenza bella e buona, oltre a rasentare l'assurdo in certi punti. Non mancano le ingenuità dei personaggi che, anziché fuggire dall'ospedale dell'orrore, si nascondono aspettando l'arrivo del loro amichetto Michael oppure si fanno una scappatella tutti insieme appassionatamente dentro la vasca da bagno, con tanto di luci spente.
Difetti però che troviamo se non altro in quasi tutti film horror e che quindi hanno poco valore sul giudizio complessivo dell'opera, rafforzata dalla recitazione magistrale di Jamie Lee Curtis, molto brava nel ruolo di Laurie Strode.
Well done, Rosenthal...
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Recensione a cura di dubitas - aggiornata al 26/06/2013 15.28.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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